Anna Bassy, italo-nigeriana nata e cresciuta a Verona, ha di quelle voci che staresti ore e ore ad ascoltare. Canta come fosse nata per farlo (e probabilmente è proprio così). In inglese (per ora), si autoproduce, e affonda le radici nel soul, tra reggae, R&B e gospel, a tratti richiama il folk, a tratti esplora le sue origini africane.
Could You Love Me e Wind, Rain sono i suoi due singoli all’attivo, ma a breve arriverà un EP d’esordio. Che la giovane 33enne sta ultimando insieme alla band – un trio formato da Pietro Girardi alla chitarra, Andrea Montagner al basso e Pietro Pizzoli alla batteria – e al produttore Duck Chagall (Francesco Ambrosini).
Uscirà a settembre e il titolo sarà probabilmente Keep On Singing, che è anche di uno dei brani contenuti al suo interno. Tutte le tracce parleranno di paure espresse o latenti, come quella del mondo che ti circonda, o della paura e le difficoltà di riuscire a volersi bene per davvero (in Could You Love Me, il primo singolo già fuori).
Nel suo primo disco ufficiale Anna affronterà la paura del passato, intesa anche come ansia, quella che ti blocca e non ti fa essere pienamente te stessa (vedi Wind, Rain). Nell'EP suoneranno anche le paure più irrazionali, come quella del buio: "Allo stesso tempo i brani parleranno di come le angosce si possono abbracciare e vincere, se si ha il coraggio e la fiducia di chiedere aiuto", conclude.
Bassi è il suo vero cognome, con una "i" finale sostituita da una "y": "Volevo qualcosa che fosse strettamente legato a me, che rimanesse piuttosto 'autentico' e, quindi, ho aggiunto la 'y' un po’ per gioco, un po’ per farmi trovare (di Anna Bassi è piena l’Italia!). Ma anche per riuscire a includere nel mio nome d’arte le mie origini nigeriane", dice la giovane. "Bassy, bassey", deriva da "abasi", che in lingua Efik (un’etnia della Nigeria) significa "Dio, creatore", mi spiega.
L’Africa, la Nigeria, è parte fondamentale della vita, dell’anima, della musica di Anna Bassy. Anche se la giovane è nata e cresciuta in Italia: "Mio padre adottivo (beh, mio papà) ascoltava Adriano Celentano e i Nomadi. Ed è questa la mia impronta", racconta. Ma la Nigeria si è fatta sentire con il tempo: "Durante l’adolescenza, quando i CD potevo comprarli con i miei soldi e fare scelte più consapevoli a livello musicale, mi sono avvicinata al mondo della black music. Lì trovavo voci e stili in cui finalmente sentivo di rispecchiarmi a pieno".
Negli anni la ricerca si è affinata e Anna è approdata nel "suo altro continente", nel "suo altro Paese d’origine", come lo chiama lei. Forse, l’influenza africana non è stata diretta, ma l’indagine sulla sua identità l’ha riportata in Nigeria, il Paese di suo padre biologico. "Anzi, mi ci sta riportando: il viaggio è ancora molto lungo", dice la cantautrice.
Lungo e complicato, come la storia dei suoi genitori. "O forse lo è per me", aggiunge Anna: "Mia madre è italiana, mentre mio padre naturale è nigeriano. Non l’ho mai conosciuto: ha scelto di non fare parte della mia vita. Il mio rapporto con la Nigeria è piuttosto labile sulla carta, ma è davvero forte dentro di me. So che sono di etnia Igbo e mi piacerebbe un giorno provare a inserire questa lingua nei miei brani", dice.
"Le mie origini, la mia vita, tutto questo è finito nella musica", aggiunge: "Che esprime tra le note la voglia di intrecciare mondi diversi e risalire alle mie radici", spiega Anna, che tenta di mettere insieme i vari pezzi che la compongono anche attraverso la sua arte.
L’Africa è una fonte di ispirazione continua per lei: "Tra i miei riferimenti ci sono Ayo e Nneka, alle quali mi sento molto vicina", dice la cantautrice. Entrambe di origini nigeriane e vissute in Germania, l’hanno colpita per la loro capacità comunicativa, essenziale e genuina, autentica. "Altre artiste sono Aṣa, Fatoumata Diawara, l’icona Angelique Kidjo. E, ovviamente, Miriam Makeba".
Verona, invece, è la città in cui è cresciuta. Che, in effetti, l’ha influenzata in vari modi, riflette: "Da una parte mi ha spinta paradossalmente a voler uscire, a ricercare, perché i riferimenti che proponeva (soprattutto fino a qualche anno fa), erano molto distanti da quella che sono. La scena musicale lì è piuttosto viva e devo dire che in qualche modo ha effetto su quello che faccio".
"Sicuramente con gli artisti della scena veronese c’è uno scambio molto fitto", dice. Magari non si tratta di vere e proprie collaborazioni, ma sicuramente c’è confronto, sostegno reciproco, c’è un legame. Anna fa qualche nome: C+C = Maxigross, Duck Baleno, Anna e L’Appartamento, Amaranto. Poi, c’è Pietro Pizzoli, Pietro Girardi e Andrea Montagner, che sono i musicisti che accompagnano la sua voce. La sua band, e il produttore Duck Chagall (Francesco Ambrosini), che l’aiuta nelle produzioni.
A livello concettuale scrivere per la giovane artista italo-nigeriana è una ricerca: nella sua musica ci sono tentativi di risposta e domande. O meglio, anche lì ("per non essere troppo ottimisti", dice), tentativi di domanda. A livello musicale, invece, nei suoi lavori c’è un po’ tutto quello che ha ascoltato nella vita. Adriano Celentano di cui si parlava prima, il soul, il reggae, il pop, il folk. Un background che si è arricchito con quello della band che affianca la cantautrice.
Anna sperimenta la scrittura fin dall’adolescenza, ma i testi sono sempre rimasti delle bozze. Fino al 2016, circa, quando la voglia di scrivere si è fatta sentire in maniera inequivocabile: "È diventato un modo essenziale per decifrare me stessa e ciò che esiste intorno a me. Condividere i miei brani con gli altri è il mio modo di comunicare", dice.
"La chitarra è la mia alleata quando devo comporre, ma di accompagnarmi da sola, davanti a un pubblico, proprio non me la sento", sorride Anna. Il loro è un rapporto piuttosto travagliato, dice a proposito della chitarra: "Il mio strumento preferito rimane comunque la voce. Alcuni brani li ho scritti solo con quella, voce dopo voce a creare l’armonia del brano".
Wind, Rain è l’ultimo dei due singoli di Anna Bassy. Un brano che parla di pensieri che girano nella testa, così veloci che ti fanno perdere l’orientamento, non ti permettono di muoverti: "Un movimento interiore che paradossalmente provoca una stasi. Il brano prova a descrivere questi attimi, per conoscerli e riconoscerli e farsi trovare preparati quando si ripresenteranno", spiega.
Ma è anche un appello alla Natura. Una celebrazione, perché l’elemento naturale (qui rappresentato da vento e pioggia), sa offrire riparo e sollievo nei momenti di confusione: "Ti riconnette con l’essenziale, ti permette di sperimentare il silenzio intorno a te e fare, di riflesso, lo stesso dentro di te”.
Could You Love Me, invece, canta di quanto sia difficile amare se stessi profondamente: "Il titolo è un appello, una preghiera, una richiesta d’aiuto, che viene ripetuta più volte nel brano. Si rivolge all’Universo, a chi mi sta più vicino o a chi non lo è, ma può, se vuole, provare ad esserlo. È anche semplicemente un reminder per tutti noi, perché non dobbiamo dimenticarci di amare se stessi e gli altri".
Come si fa ad essere amati? E ad amare? "Mi ci vorranno altre mille canzoni per capirlo", ride Anna, "le mie, quelle degli altri, poi le poesie, i libri. E senz’altro la vita. La risposta sarà sempre incompleta". L’unica certezza è che ci vuole coraggio nel riuscire a dire di sì, ad affidarsi, fidarsi: "Tutto bello, ma nella pratica, che fatica!", continua a sorridere, "ed è vero solo in parte: a volte amare è anche dire no, per non fare del male a se stessi o agli altri", conclude.
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L'articolo Tra l’Africa e Celentano, le radici di Anna Bassy di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2021-08-10 12:00:00
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