Checco Curci è un musicista di Noci, nella Murgia barese. Suona da sempre, e ha portato con sé la sua passione anche quando ha studiato a Venezia e Milano. Non ha lasciato l’Università, anche se ora si trova dall’altra parte della cattedra: insegna urbanistica al Politecnico di Milano, ma il lavoro non lo allontana dalla musica. Ora, all'età di 40 anni, pubblica per Dischi Uappissimi e Nonsense il suo primo album, intitolato Anche solo per un saluto. "Mi sembra qualcosa di miracoloso”, commenta. Il disco miscela sonorità alternative rock, cantautorato e armonie avvolgenti, per un panorama a tratti malinconico ma a tratti ipnotico.
Ma non si fermano qua le mille passioni di Checco Curci. Proprio a Noci, tra il 2009 e il 2018, ha curato il BucoBum Festival ed è riuscito a portare nella sua città artisti come Maria Antonietta, Il Pan del Diavolo e Dimartino. E per non farsi mancare niente alleva anche cavalli, in particolare le razze originarie del Sud Italia. Un modo per rimanere legato alla sua terra. Scopriamo con lui le mille facce della sua storia e del suo nuovo disco.
Come hai iniziato a suonare?
Ho iniziato a studiare il pianoforte a 9 anni, abbandonandolo ben presto per passare al violoncello, strumento che avevo visto suonare a Ernst Reijseger rimanendone folgorato. A 15 anni ho formato la mia prima band il cui repertorio spaziava dai Blur ai Radiohead, dai Rem ai Green Day. Nel frattempo, ho ripreso a suonare il pianoforte anche per accompagnare mio padre col suo sassofono. Ho così potuto approfondire l’armonia e fare anche esperienze di musica improvvisata. A 20 anni ho iniziato a scrivere e cantare in italiano in un mio trio chiamato OOVOO.
Chi ha collaborato al tuo disco?
In questo album ho avuto il piacere e l’onore di collaborare con Giacomo Carlone, che ha prodotto l’album e suonato le batterie, Riccardo Sinigallia, che ha fatto da supervisore artistico e partecipato al missaggio di alcuni brani, Leo Steeds, che ha partecipato alla scrittura e alla produzione di due tracce dell’album, e Piero D’Aprile, con il quale collaboro da sempre e che nel disco ha suonato il basso e le chitarre.
Che tipo di musica è la tua?
Credo che parlare di cantautorato non sia sbagliato nel mio caso. Non solo per i contenuti e il tipo di testi che scrivo, ma anche per il legame che in generale sento di avere col secolo scorso. Mi considero tuttavia anche un “compositore” contemporaneo – con tutte le virgolette del caso – che fa ricerca, sperimenta e esplora svariati mondi musicali e sonori, dentro e fuori dalla forma canzone.
E a chi ti ispiri?
Ascolto tutto quello che riesco a intercettare e che mi incuriosisce, senza fanatismi e senza pregiudizi, ma mi lascio catturare e influenzare solo da ciò a cui riconosco un chiaro valore artistico, indipendentemente dal genere. Seguo volentieri i consigli dei miei amici che sono ascoltatori più colti e attenti di me. L’ispirazione, però, la cerco in tutte le forme d’espressione artistica che mi attirano, a prescindere dal motivo per cui lo fanno, e non solo nel campo musicale.
Com'è nato il tuo album?
È il mio primo album, quindi sono un esordiente a livello discografico, nonostante l’età. Visti i tempi lunghi che mi ci sono voluti per arrivare a pubblicare un disco, parlare di genesi non è affatto semplice per me. Posso però dire che ho affrontato un percorso piuttosto tortuoso per arrivare ad affinare le canzoni e far sì che mi rappresentassero al meglio. A ben guardare ho avuto davvero molta pazienza, ma almeno posso dire di non avere rimpianti. Ciò non toglie che per questioni caratteriali non sono e non sarò mai pienamente soddisfatto di quello che faccio. Quanto al significato dell’album, provo a sintetizzare quello che a posteriori mi sembra il concetto di fondo che attraversa la maggior parte dei brani: ci sono tante piccole cose che ci legano agli altri e che troppo spesso trascuriamo, per distrazione o per egoismo, ma che racchiudono l’essenza di quello che siamo e che ci determinano molto più delle cose apparentemente importanti che dominano i nostri percorsi individuali.
Qual'è il live che ti ha colpito di più?
Mi piace suonare in situazioni intime, davanti a pubblici attenti ed eterogenei, anche dal punto di vista anagrafico. È fresco il ricordo di una serata di poesia e canzoni organizzata insieme al poeta Stefano Modeo all’Arci Gagarin di Taranto. È stato particolarmente emozionante eseguire per la prima volta Wind day nella città a cui quella canzone è dedicata. Avevo un certo timore perché il tema è sempre caldo e non avrei mai voluto rischiare di banalizzarlo agli occhi (e alle orecchie) dei tarantini. Ricordo anche con piacere un altro momento di musica e poesia a cui ho preso parte in occasione del Festival de “La luna e i calanchi” di Aliano. Ricordo soprattutto l’atmosfera che si respirava in paese e il piacere di condividere quei momenti con i miei amici.
Hai già degli altri progetti?
Suonare dal vivo, in luoghi congeniali alla mia musica, le canzoni dell’album che ho appena pubblicato. Mi piacerebbe poi collaborare a nuovi progetti con altri artisti che stimo.
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L'articolo Checco Curci, canzoni per ridisegnare la città di Redazione è apparso su Rockit.it il 2023-01-31 12:19:00
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