Cesare Chiodo è un autore di musica pop e uno tra i bassisti più richiesti da una moltitudine di artisti. Ha lavorato con Laura Pausini, Adriano Celentano, Vasco Rossi, Mina, Andrea Bocelli, Nek, Ivana Spagna, Raf, Ornella Vanoni, Anna Oxa, Gigi D'Alessio, Anna Tatangelo, Marco Masini, Luca Carboni, Gianni Morandi, Giorgia, Fiorella Mannoia, Antonello Venditti, e non siamo nemmeno a metà della lista.
Gli abbiamo chiesto come si fa a scrivere una canzone pop da classifica, com'è lavorare con i mostri sacri, come funzionano davvero i talent, la SIAE e la discografia. Il mainstream non ha più segreti.
Ciao Cesare, sei di ritorno da un tour?
Sì, da quello di Raf.
Come sta andando?
Bene, con lui è una garanzia, ha uno zoccolo duro di fan che lo seguono da tempo e grazie alla mole di singoli passati per radio nel corso degli anni, anche i giovanissimi che magari lo conoscono meno si trovano a cantarne le canzoni.
Praticamente sei stato in tour con tutti i cantanti italiani più famosi, giusto?
In realtà ho sempre prediletto l’attività in studio, il costruire una sinergia con l’artista. I tour li ho fatti con Raf, Marco Masini, Fiorella Mannoia e Laura Pausini, per dirne alcuni. Lì mi diverto sempre, perché scelgo persone con cui lavorare che stimo e di cui fondamentalmente mi piace la musica. Tieni presente che suonando per un artista ti metti al suo servizio, quindi mantieni la tua personalità ma la plasmi un minimo per venire incontro alle canzoni e alla persona con cui lavori. Se volessi suonare per me, non andrei in tour. In ogni caso sono più preso dall’attività di produzione.
Avverti una forte pressione quando lavori per gente del calibro di Adriano Celentano o Mina?
No, anche perché i mostri sacri vengono raramente in studio. Quando lavoro con Adriano mi diverto da morire perché è veramente una persona entusiasta, imprevedibile e molto aperta, quindi con lui puoi sperimentare e proporre. Con Mina ho suonato una volta sola ed è una persona che va dritta all’essenza delle cose, rapida e decisa. Una personalità fuori della norma. Ho lavorato anche per Vasco, ma lui in studio non c’era. Comunque nessuna pressione supplementare, casomai accrescimento del bagaglio personale.
Com’è che un giorno sei diventato autore?
È una cosa che è nata per gradi. Ho iniziato a scrivere canzoni da ragazzino, già a 15 anni. Nel tempo, con l’esperienza sul campo a stretto contatto con autori, produttori ed artisti, ho affinato la tecnica fino a scrivere vere canzoni pop. Collaborando con i miei amici Bungaro o Saverio Grandi, sono potuto entrare all’interno di questo mondo che poi ha preso il sopravvento sull’altro, quello del musicista. I risultati sono arrivati e sto continuando con entusiasmo.
Quali sono gli obiettivi che tieni a mente quando scrivi una canzone pop?
Il primo obiettivo è la comunicatività, l’immediatezza. Deve essere bella ma semplice. Semplice ma non banale. Originale ma riconoscibile. Sembra facile ma non lo è affatto. Certo, ci sono delle regoline matematiche per comporre una canzone: l’intro non deve essere troppo lunga, la voce deve arrivare nei primi 20/30 secondi, il ritornello poco dopo. Il grande autore Giancarlo Bigazzi mi ha insegnato che ‘la canzone non ti deve mollare mai’. Non ci dev’essere un momento in cui ti distrai, non deve avere un punto debole. Non deve dare mai la possibilità all’ascoltatore di cambiare stazione.
Quindi esiste una regola aurea per scrivere una canzone da classifica?
Quelle cose lì le senti a pelle. Quando ascolti un pezzo capisci se ci sono errori di stesura, comunicazione testuale debole. Scrivere una canzone pop è una cosa strana, il testo è sempre a metà tra il poetico ed il colloquiale, quindi da poche frasi deve trasparire bene il concetto. Il linguaggio conta. Oggi ho 49 anni e mi trovo più a mio agio a scrivere per Fiorella Mannoia che per un ragazzino. Nell’ultimo caso mi faccio aiutare da autori più giovani.
Ci sono stati dei singoli di successo che secondo te se ne sono infischiati delle regole?
Tra gli italiani non tanto, questi successi arrivano più dall’estero. Più che altro nell’arrangiamento, meno consueto, più originale. Ti porto l’esempio di “Viva la vida” dei Coldplay, con la cassa in quattro e gli archi. Quello ha ispirato la costruzione dei pezzi di tanti cantanti e cantautori del nostro paese. Qui in Italia, uno degli arrangiatori più originali è Ferdinando Arnò, primo produttore di Malika Ayane. Quando stavamo lavorando su una giovanissima e sconosciutissima Malika, io avevo già lavorato coi più famosi produttori italiani, ma Ferdinando ha avuto un modo del tutto diverso di affrontare le canzoni, con un tocco geniale. Anche Cesare Cremonini nell’ultimo lavoro ha utilizzato synth che vengono dalla dance al servizio della canzone pop. È un bell’esempio di come si possa prendere spunto dagli stranieri senza copiare. Oggi, nelle mie canzoni, mi spingo ad usare dei suoni che fino a due anni fa non avrei mai usato. Però poi dipende per chi scrivi. Sto producendo il nuovo disco di Masini che uscirà ad anno nuovo e Marco, dopo aver sentito le mie ultime produzioni per ragazzi più giovani che sperimentano con l’elettronica, si è premurato che io non arrangiassi i suoi pezzi così!
Quindi l’attenzione di un autore pop italiano è volta molto all’estero?
Ti faccio di nuovo l’esempio dei Coldplay, ogni loro uscita porta qualcosa di nuovo, sdogana un genere. Anche se magari perde qualcosa a livello compositivo, a livello realizzativo c’è sempre una novità che ti sorprende. C’è uno studio continuo su sonorità e arrangiamento, tipico della mentalità inglese, nella quale queste componenti sono importanti tanto quanto la composizione, mentre noi in Italia siamo più portati a guardare l’essenza, la musica col testo e poi vestirla con l’arrangiamento. Nel nostro paese i network promuovono musica più di facile consumo. Qui è possibile sperimentare rimanendo però adesi all’ossatura pop. Per esempio Elisa è una bravissima cantante che fa musica internazionale con l’arrangiamento pop rock all’italiana.
La canzone parte sempre dalla chitarra o dal pianoforte?
A volte sì, altre volte invece ascolti una base elettronica e ci tiri fuori un pezzo micidiale. Gli americani lavorano più così, prima la base, poi costruire il pezzo sopra di essa. Quando ascolto “Unconditionally” di Katy Perry, avverto proprio che la melodia sia stata scritta dopo la base e dopo l’arrangiamento.
Gli artisti intervengono mai nell’arrangiamento dei loro brani?
Sì, man mano che la loro carriera va avanti, quasi tutti sentono il bisogno di iniziare cofirmare le loro canzoni, di stare in studio a parlare dell’arrangiamento. È un’evoluzione naturale, anche se uno è solo un interprete, passa la maggior parte del proprio tempo con autori e musicisti. La Pausini e Marco Mengoni sono due esempi calzanti.
Per una major è più prolifico prendere un autore a contratto e farlo scrivere per un anno anche senza mai piazzare un pezzo oppure investire in una band che ha un progetto suo?
Bisogna distinguere tra il discorso editoriale e quello discografico, le due cose sono molto distinte. La major che ha un catalogo editoriale importante può scegliere se chiamare autori conosciuti, che quindi costano molto di più, oppure puntare su quelli giovani che costano meno e che possono regalare belle sorprese se sono talentuosi. Quindi il direttore artistico dell’etichetta è anche una sorta di talent scout. Per quanto riguarda invece la discografia, oggi si investe purtroppo quasi esclusivamente su prodotti che hanno già una promozione insita nel progetto. Un artista che esce da un talent come Amici, X Factor o The Voice ha già avuto un’esposizione televisiva tale da poter permettere alla major un investimento minimo di promozione perché il cantante è già conosciuto, quindi poterlo presentare alle radio e al pubblico come un progetto già in essere. La casa discografica è agevolata economicamente perché non deve spendere più di tanto per far conoscere il nome nuovo.
La prima canzone pubblicata in un disco, per chi l’hai scritta?
Credo sia stata per Raf, sul disco “La prova” degli anni '90, ma non sono sicuro al 100%. Poi ho continuato a scrivere per lui e per Laura Pausini, Nek, Alessandra Amoroso, Marco Masini, Fiorella Mannoia, di cui sono coautore del singolo uscito in questi giorni, intitolato “Le parole perdute”. Ho scritto anche per la vincitrice di Amici, Deborah e per i Dear Jack, anche loro provenienti dal talent della De Filippi. Chiaramente mi sono legato ad una società editoriale che mi sostiene nel lavoro.
Per piazzare un pezzo in un album di Laura Pausini si deve fare a spallate?
Più che spallate, bisogna avere talento. Laura riceverà quindicimila proposte per brani e avere la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto non è da tutti. Ma se il talento non ce l’hai, puoi provarci quanto vuoi, non piazzerai nemmeno un pezzo. Io sono stato fortunato perché ero già nel giro, avendo lavorato con gli autori e gli artisti in studio.
Quanto si guadagna con un pezzo in un album di Laura Pausini?
Non pensare di diventarci ricco. Scrivere per Laura dà l’opportunità di sfruttare anche mercati diversi da quello italiano e un po’ di più ti entra. Poi dipende quanto sei autore di quel brano, esempio se hai 12 punti è un conto, se ne hai 3 è un altro. (Le ripartizioni Siae si danno a seconda del punteggio che si ha in una canzone, e il punteggio si calcola in base a quanto si è autori di quella canzone: se solo del testo, della musica, o di parte di entrambi, ndr) Dei brani che ho scritto per lei ero autore quasi totale, perché c’era solo Laura a cofirmare una piccola parte di testo con me. Mi sono arrivati diritti sostanziosi che però sono cifre che rimangono nella normalità.
Niente villa al mare quindi?
Assolutamente. Forse ti compri la macchina. Poi certamente, se hai la fortuna di firmare un singolo che ha successo mondiale, la cosa cambia. Penso a Biagio Antonacci con “Vivimi”, che ha avuto successo planetario, è stata pure la sigla di una telenovela in Sud America. Anche se non ho visto i rendiconti, quel pezzo lì gli ha probabilmente fatto avere un buon guadagno.
Hai scritto due pezzi nell’album della Pausini che ha vinto il Grammy Latino, “Resta in ascolto”. Quando vinci un Grammy con un album coi testi tradotti, la Siae paga l’originale?
I diritti di base rimangono quelli italiani, la Siae paga solo una piccola quota all’autore che ha tradotto il testo. Il fatto di vincere un Grammy è semplicemente un credito in più che ti dà prestigio ma non influisce sui rendiconti Siae.
Parliamo invece dei talent show. Il tema è controverso anche per te che ci lavori?
Chiaramente c'è un lato negativo. L’artista talentuoso e dotato di forte originalità ma non adatto ad un talent, così non verrà mai fuori. Oggi, un genio come Lucio Dalla o un bravissimo cantautore come Samuele Bersani avrebbero molta più difficoltà ad incidere per una major.
Prendi l’ultimo X Factor vinto da Michele Bravi, che a me piaceva molto. Lui non è il solito cantante con la voce pazzesca, che dà il meglio di sé nell’esposizione canora e finora non ha funzionato. In quel caso ha vinto aiutato da un percorso molto brillante guidato da Morgan, che in questo lavoro è molto capace, e poi dalle logiche manageriali che hanno inciso. Il pezzo inedito era di Tiziano Ferro e quello ha aiutato molto la vittoria finale ma mi permetto di dire che, retrospettivamente, è stato un errore, perché un pezzo così connotante dato ad un artista emergente crea confusione. Rischia di oscurare il percorso svolto e di spersonalizzare il cantante. Ascoltando il pezzo, te lo immaginavi cantato da Tiziano. Anche l’anno prima ha vinto il pezzo di un artista di successo, Eros Ramazzotti, cantato da Chiara Galiazzo, però in quel caso il brano era perfetto, cucito sulla vocalità importante di Chiara e lei ha poi avuto successo. Anche lì però non si è mai ripetuta su quei livelli di clamore, a parte nel brano con Mika, che già viaggiava su un binario privilegiato. Nel caso di Chiara comunque, il pezzo era di Ramazzotti con Luca Chiaravalli e Saverio Grandi che sono due grandissimi autori italiani che sanno molto bene come portare successo ad un artista emergente. Quello è stato un esempio di operazione fatta perfettamente da professionisti del settore. Quando invece si fanno le cose un po’ superficialmente solo perchè c’è il nome dietro, si rischia di fare dei danni.
Diciamolo, su. Nei talent chi vince si sa da prima?
No, il talent è una cosa vera, non è truccato. Per questo capitano esempi come quello di prima. I discografici si ritrovano a dover far uscire un disco con un inedito in breve tempo perché sanno chi sta andando in finale esattamente quando lo sa il pubblico e presi dalla fretta non hanno il tempo di sperimentare, di capire quale sia la cosa migliore. Non è nemmeno colpa loro, essenzialmente è che la logica della televisione si sposa con quella della musica a volte bene e a volte male, perché se da una parte ti aiuta, dall’altra ti frega.
Oltre al pezzo della vincitrice di Amici, hai scritto il pezzo di Cixi, arrivata quarta ad X Factor 2012. Per quelli che non vincono poi è un problema rientrare nel giro?
A parte Noemi, che è riuscita ad emergere e a trovare un suo percorso forte, la maggior parte di quelli che arrivano secondi o terzi a X Factor te li dimentichi. A volte ti dimentichi anche i primi. Cixi aveva una bella personalità e un’ottima voce, ma era giovanissima e la lontananza da casa, insieme alle regole televisive del talent, le hanno fatto perdere punti. È chiaro che una volta fuori dal giro, per rientrarci devi davvero avere la proposta giusta, altrimenti si fa prima ad optare per un nome del tutto nuovo.
Uno che oggi farebbe fatica ad uscire da un talent è Marco Masini. Retrospettivamente, sei riuscito a capire il motivo dell’enorme successo di pubblico che quella proposta portò negli anni '90?
Il grande successo iniziale di Marco sta proprio nel fatto che lui si è preso carico di argomenti che non venivano trattati, nei quali una grandissima fascia di persone si è identificata. Argomenti come la depressione, raccontati da un cantante figo possono essere meno credibili, se invece te ne parla quello della porta accanto, assumono un altro tipo d’importanza. Questa è anche stata una strategia vincente del produttore Giancarlo Bigazzi, che aveva idee molto chiare in merito. Col successo però arrivano anche i nemici e quando sono girate storie negative nei suoi confronti, riguardo la sfortuna, Marco ci ha sofferto tantissimo, ci soffre tutt’oggi. Nonostante questo è andato avanti e ha cercato di cambiare un po’ il suo percorso, il taglio di produzione, cosa non facile quando sei già un artista affermato. Lui ci è riuscito, si è riposizionato, poi anche a causa del ricambio generazionale non ha più i risultati di vendita che aveva prima, ma quando suona dal vivo i teatri si riempiono sempre. In ogni caso, negli anni ’90 c’era più attenzione al testo di una canzone, e invece col tempo c’è stata una diseducazione, la televisione contiene programmi che ti fanno regredire. Se vuoi proporre qualcosa di serio nel testo, devi davvero trovare il contesto giusto, altrimenti le radio non ti passano. Per il pop, le televisioni musicali non esistono praticamente più, il Festivalbar ha chiuso i battenti e la fruizione dei brani è sempre più veloce.
(Cesare Chiodo in studio con Marco Masini)
Che cambiamenti ci sono stati in Siae da quando Gino Paoli è presidente, per voi autori?
Forse è un po’ presto per dirlo, però ho visto che la Siae si sta muovendo per agevolare i giovani autori, convenzionandosi con studi di registrazione o alberghi per chi come noi si muove spesso. Non so se dipenda dalla presenza di Gino Paoli o meno ma dei piccoli segnali ci sono.
Hai sentito parlare della class action intentata da un musicista indipendente alla Siae per una più equa ridistribuzione dei diritti?
Sì ma non ho mai capito realmente come vorrebbero regolamentare. Anche tra noi autori, tra gli editori e tra i produttori ci sono varie scuole di pensiero. Nel momento in cui dovevamo fare la votazione in materia, c’erano delle fazioni opposte. Sono stato chiamato da entrambe le parti e sono stato realmente confuso sul da farsi.
Conosci qualche artista indipendente?
Mi piace molto Giochi Per Bambini. Lui si chiama Marco Burroni, ha fatto uscire un cd che rivela un enorme potenziale. Magari può essere lavorato meglio, ma di fondo si sente che c’è una scrittura importante con degli arrangiamenti originali.
Negli ultimi tempi, anche musicisti con alle spalle una carriera indipendente si sono scoperti autori pop. Mi viene da pensare a Dimartino per Arisa oppure Alessandro Raina per Emma Marrone. È auspicabile un ponte più solido tra due realtà che coabitano lo stesso mondo?
Penso che ci sia già. Io sono sempre stato nel pop, mi piace quel mondo, mi piace quel tipo di musica. Ma quando arriva un ragazzo talentuoso che scrive in maniera originale, lo metto subito nella mia scuderia, anche se non viene dal pop. Una mano ci serve proprio, per aggiornare il linguaggio, per poter fare più cose. A me piace scrivere tanto, quindi se trovo collaboratori pieni di imput, possiamo creare dieci canzoni al mese invece che cinque e il lavoro diventa più stimolante. Chiaramente, se vieni da un altro stile musicale devi tener presente l’immediatezza comunicativa del pop ed imparare a scrivere in quel modo. Dovrai prendere la tua visione delle cose e dirigerla verso un altro obiettivo. Dal mondo del mainstream a quello dell’indipendente non c’è davvero nessuna preclusione.
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L'articolo Come si scrive una canzone da classifica. Intervista a Cesare Chiodo. di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2014-10-15 08:42:00
COMMENTI (1)
Mengoni è anche autore, per la cronaca ;)