Squilla il telefono e dall'altro capo sento che stanno suonando insieme, a distanza. Migliore inizio non poteva esserci. Sono Colapesce e Dimartino, i due cantautori siciliani che hanno fatto un disco a quattro mani dal titolo I mortali, in uscita il 5 giugno. Il giorno prima, alle 21.30, tutti quelli che effettueranno il presave del disco sul sito potranno assistere in streaming al cortometraggio I mortali: un live movie di COLAPESCEDIMARTINO, realizzato in collaborazione con i videomaker siciliani Ground's Orange e che viene descritto come l'episodio pilota di una serie tv che nessuno ha mai avuto il coraggio di girare.
Il disco è prodotto da Federico Nardelli e Giordano Colombo, Frenetik & Orang3, Mace, Mario Conte, ma suona organico, come se fosse registrato da una band rodata e non da due dei più bravi cantautori che abbiamo in circolazione, che non avevano mai collaborato insieme prima d'ora.
Ricercati e pop, romantici e provocatori, sperimentatori e tradizionali, potremmo trovare mille definizioni per i due e sarebbero sempre l'una il contrario dell'altra, un po' come gli stessi Colapesce e Dimartino nella copertina dell'album, uno vestito di bianco e l'altro di nero.
I mortali è un disco che celebra la vita attraverso la consapevolezza della morte. Esce nel momento tristemente perfetto...
Colapesce: Sì, non era voluta la cosa, anzi, quando è scoppiata con forza la pandemia ci siamo chiesti se fosse stato il caso di cambiarlo o meno. È una sorta di titolo profetico, che sottolinea con più forza il momento che stiamo vivendo ed è un cappello ideale per tutti i pezzi del disco.
Perché l'avete pubblicato ora che non potete fare promozione attiva?
Dimartino: Ci piaceva il fatto che la musica, in un mondo in stand by, potesse continuare. Ci siamo detti: "Se fermiamo anche il disco in uscita, oltre ai concerti e tutto, è finita, non succederà più nulla".
Colapesce: Non volevamo applicare troppe strategie commerciali all'uscita del disco. Essendo un progetto non mio né di Antonio, ma di entrambi, aveva senso pubblicarlo comunque. Insieme potevamo affrontare meglio un momento del genere.
Dimartino: È un bell'esempio di condivisione in un momento in cui tutti tendono a chiudersi nelle proprie isole.
I dischi collaborativi, a parte nel rap, non si fanno quasi più. Anni fa erano la prassi, si pensi a De Gregori con Venditti o con De André, Ornella Vanoni con Toquinho...
Dimartino: Gran disco quello!
Colapesce: Penso a Guè e Marra di due-tre anni fa, per un esempio più moderno. È un'esperienza di condivisione molto bella ma richiede tanta affinità, e oggi sono cambiati i rapporti tra le persone rispetto agli anni '70, si tende a lavorare da soli, la musica liquida ha sottolineato ancora di più questo aspetto della solitudine, sia nella produzione che nella scrittura. Per noi è stata una bellissima esperienza e un modo moderno di lavorare: abbiamo sfruttato ogni tipo di tecnologia disponibile per comporre insieme a distanza. Ci siamo consigliati a vicenda dischi, libri, film.
Dimartino: Neanch'io ricordo molti dischi collaborativi degli ultimi tempi, se non per rilanciare artisti che stavano per tramontare a livello discografico. Erano più trovate commerciali delle case discografiche. In questo caso la collaborazione è come se l'avessimo meditata nell'arco di 10 anni ed è totalmente astrusa da qualsiasi tipo di regola. Abbiamo avuto la fortuna di essere appoggiati dalle etichette, perché se ci pensi, un disco a quattro mani se non lo fanno due artisti veramente grossi, non ha grande appeal commerciale.
Però in realtà io sento spesso Luna Araba alla radio!
Colapesce: Sta andando benissimo, credo sia anche in classifica, sta girando parecchio. A volte quello che sulla carta sembra un possibile fallimento, poi invece si rivela una vittoria. Fortuna che abbiamo avuto dei partner che hanno investito sull'operazione in maniera diversa rispetto anche allo nostre produzioni indipendenti. La Sony ci sta lavorando molto bene a livello discografico.
Perché avete voluto il feat. con Carmen Consoli?
Colapesce: All'inizio non c'era l'idea di fare collaborazioni con altri cantanti, però da qualche anno con Carmen ci siamo incrociati per varie vicissitudini e in Luna araba sentivamo l'esigenza di una voce femminile nel ritornello che sapesse cantare la Sicilia. Ci sono dei riferimenti a dei luoghi precisi. C'è una grande stima artistica e umana fra di noi, se ci fai caso non è un feat. classico, piuttosto un intervento quasi da band.
Dimartino: È una vera collaborazione artistica, mentre scrivevamo "È un istinto primordiale, riuscire a non farsi male", ce la immaginavamo proprio cantata da Carmen. È stato abbastanza naturale pensare a lei.
Mi fa ridere quando alla radio lanciano quel pezzo come "Omaggio a Franco Battiato", solo perché ci sono parole più ricercate rispetto ad altri testi...
Colapesce: Quando uno mette le parole strane è sempre "Omaggio a Battiato" (ride, ndr). Di sicuro ci sono dei tratti di sicilianità che abbiamo tutti e quattro, delle inflessioni e dei modi di appoggiare la melodia che inevitabilmente ricordano anche quella cosa lì, ma negli ultimi 10 anni ne abbiamo scritte parecchie di canzoni con questo immaginario.
Dimartino: Sicuramente Battiato è stato un artista che ha descritto la Sicilia in maniera non banale, quindi se qualcuno mi dice che somiglia a Battiato, lo reputo un complimento!
Ascoltando I mortali, sembra davvero che siate un'entità unica, a volte si fatica a capire chi canta cosa. Come avete fatto ad essere così coesi?
Dimartino: Rispetto alla scrittura abbiamo sperimentato, ci siamo messi ognuno nei panni dell'altro. Ogni tanto Lorenzo scriveva qualcosa a cui non avrei mai pensato, ma mi affidavo a lui come lui si affidava a me e, semplicemente, ci siamo fidati. Per fare un esempio, in Majorana lui dice di iniziare la strofa con "Passa, non è che hai mangiato pollo", che è la frase che si dice quando uno si tiene troppo una canna. È una frase che non avrei mai messo in una canzone, non ci avrei neanche pensato, però c'ho visto altro dietro. È bello quando qualcuno ti mette delle parole in bocca che non ti saresti messo, in qualche modo. È nata una bella alchimia.
Però ne Il prossimo semestre, la descrizione che fate del cantautore è impietosa. Autobiografica?
Colapesce: È una meta-canzone e ha vari riferimenti, sia io che Antonio siamo anche autori di canzoni per altri interpreti e ci piaceva mettere in luce i cliché che girano nell'ambiente: trasferirsi a Milano, scrivere una mina, il riferimento al prossimo semestre che è il semestre SIAE... È una sorta di omaggio a Il merlo di Piero Ciampi, in cui il cantautore dialoga con il volatile e gli chiede una melodia per portarla all'editore, farsi dare l'anticipo e comprarsi una bella bottiglia di champagne. Un piccolo tributo a un cantautore che amiamo.
I rapper si odiano ma poi collaborano sempre, i cantautori invece si amano ma tengono la propria roba per sé. Vi ci ritrovate?
Colapesce: Sì, infatti abbiamo lavorato come se fossimo una band. All'inizio volevamo chiamare il progetto sotto un altro nome, che fosse quello di un gruppo, tanta era la diversa modalità di lavorazione, di scrittura e produzione. Viene meno la parte autobiografica presente nei nostri dischi. Abbiamo dovuto trovare dei trucchi per non fare la canzone che parlasse di noi stessi, perché dovevamo identificarci in due nei testi. Anche quando parliamo di un tema abusato come l'amore, mettiamo come protagonisti Rosa e Olindo. Abbiamo inserito un immaginario diverso rispetto ai nostri dischi solisti.
In Rosa e Olindo vi siete messi nei loro panni come ha fatto Sufjan Stevens con John Wayne Gacy, in qualche modo?
Dimartino: Ci siamo detti spesso che ci piace mettere a disagio l'ascoltatore. Siamo fan delle canzoni in cui c'è un elemento di disturbo che ti fa affezionare al pezzo. In questo caso ci piaceva raccontare l'amore in cui nessuno di noi due era coinvolto in prima persona e che descrivesse un sentimento che andasse al di là di qualsiasi limite, anche della legge. Ci ha fatto sorridere la frase di Olindo, quando è stato condannato, di volere una cella matrimoniale, come se non fosse l'ergastolo la condanna maggiore, ma la separazione.
I produttori con cui avete lavorato come li avete scelti?
Colapesce: Mace, Nardelli e Frenetik & Orang3 li abbiamo conosciuti attraverso il nostro lavoro di autori per altri, stavamo già collaborando per altre cose in studio, quindi è venuto abbastanza naturale. Mario Conte invece è il mio produttore da tanti anni: volevamo suoni diversi e variegati, anche se poi il disco è molto omogeneo, sembra prodotto da cinque persone insieme.
Dimartino: Il disco è omogeneo perchè molte delle canzoni che avevamo scritto, già sapevamo come avrebbero dovuto suonare, quindi ci siamo affidati ai vari produttori supervisionando il lavoro, per evitare che uscisse fuori una compilation.
Il lockdown, oltre a rinviare il tour, vi ha costretto ad allungare la vostra collaborazione. Come la vivete questa cosa?
Colapesce: Alla fine devo dire che lo sopporto bene Antonio! Non è un dramma, anzi, io sono lento a fare i miei dischi, che escono ogni tre-quattro anni, quindi non avevo in mente di uscire a breve con un lavoro. Sei mesi in più mi cambiano poco.
Dimartino: Abbiamo trovato un modo per approfittare del momento di fermo, scrivendo a distanza con più frequenza. Non mi era mai capitato di scrivere una canzone su Skype.
Quando pensate che tornerete a suonare dal vivo?
Colapesce: Quello è un lavoro di squadra con tecnici, agenzia, manager, che al momento non possiamo fare e abbiamo un po' di pensieri contrastanti. Io sono per aspettare tempi migliori, perché le nuove normative ti obbligano a dimezzare i costi, quindi non puoi fare lo spettacolo che avevi in mente, con i tuoi musicisti, i tuoi tecnici e tutto il resto. Logicamente riducendo di molto la capienza dei posti, riduce anche il ricavo, quindi alcune spese andrebbero per forza tagliate. Stiamo valutando se fare qualcosa di acustico per l'estate, ma non vediamo l'ora di fare il vero tour.
Dimartino: Lo Stato non ha dato neanche risposte precise, siamo in balìa di leggi che non esistono e che stanno tentando di adattare a un sistema musicale che già aveva i suoi problemi, se pensiamo a come Conte ha parlato degli artisti in conferenza stampa...
Pare siano molto "divertenti"...
Dimartino: Eh, se ci metti pure l'emergenza, i pareri scientifici discordanti e nessuna sicurezza, è un momento in cui nessuno può prendere una posizione chiara, potrebbe cambiare tutto anche tra 10 giorni. Abbiamo una voglia incontenibile di ricominciare a suonare sul palco.
Colapesce: Io sono notoriamente un pigro, quindi ho meno fretta!
Dimartino: Proprio qualche giorno fa ricordavo il MI AMI dell'anno scorso, di come eravamo spensierati, quasi un'esplosione dei sensi, quindi ritrovarmi l'anno dopo in questo stato mi pesa.
In questi giorni ci sono un sacco di assembramenti in giro: le destre estreme, i gilet arancioni. Perché a loro è permesso e voi non potete suonare?
Dimartino: In Italia la stupidità è sempre permessa. Questa cosa l'ho vista postata anche dagli amici tecnici, che non stanno lavorando. Io me lo domando anche per le Messe: come mai le chiese hanno aperto il 18 maggio e i teatri no? Di sicuro la cosa è legata alla visione che gli italiani hanno degli artisti: relegati in un angolino della società, come se la musica non producesse indotto, non facesse girare l'economia. Se non si rifonda totalmente il sistema dell'arte in generale, queste scene si ripeteranno.
Colapesce: Mi auguro che verranno analizzati anche i vizi pregressi al virus, nell'ambiente musicale. Mi piacciono La musica che gira e altre associazioni che sono nate in questo momento per tutelare la parte più debole della musica, che sono i tecnici e le maestranze, ma anche tanti musicisti professionisti che non sono regolamentati. Da lì parte tutto: l'innovazione, la sperimentazione, la creatività sono sempre venute dal basso. Quella parte della musica va tutelata, e invece mi sembra sempre dimenticata, favorendo solo alcuni ambienti musicali del pop, che non hanno questo tipo di problemi.
La musica che parte dal basso, in questo momento è fondamentale. Che fine sta facendo?
Colapesce: Mi riferisco a loro quando parlo di aiuti e tutele concrete, più che a noi che comunque riusciamo a fare bei tour. Quelli del baretto sotto casa, che potrebbero avere ingaggi in nero e nessuna assicurazione, loro sono le fondamenta. Anch'io, se non avessi avuto la possibilità di suonare nei localini a Catania nei primi 2000, non avrei mai fatto questo mestiere. Se salta quella fascia lì è un problema, e mi sembra che oggi o sei gigante o non esisti. A Catania hanno chiuso tantissimi piccoli club che facevano musica dal vivo, ben prima della pandemia e quello è un dramma. Mi fa impressione quando i ragazzini mi domandano: "Ma come si fa a incominciare a suonare?". Sembra assurdo rispondere: "Si va a suonare nei locali", perché non ce ne sono quasi più. Questo sentimento di frustrazione ha fatto esplodere fenomeni tipo la trap, che anche se non la ascolti è comunque interessante da analizzare, e che parte dalla necessità di esprimersi senza avere spazi adatti per farlo.
Dimartino: È un problema degli ultimi anni: io ho iniziato nel '98 con la mia band e c'erano molte occasioni per suonare, dalle Feste dell'Unità alle pizzerie. Ci siamo pagati i primi dischi andando a suonare nelle pizzerie dell'entroterra siciliano, della provincia di Agrigento, negli angoli dei paesi, e ci hanno dato l'opportunità di fare esperienza, di imparare a suonare meglio. Un ragazzo l'altro giorno ha messo su YouTube un concerto mio del 2004 che sembra un video degli anni '60: suoniamo davanti alla saracinesca di un bar con mezzi di fortuna, però c'era la possibilità di farlo. Oggi è cambiato anche il pubblico, e molti piccoli locali hanno perso la speranza. Dopo questa catastrofe, non c'è alternativa: dobbiamo costruire tutti insieme, artisti, lavoratori, giornalisti, produttori, manager, etichette, un nuovo modo di pensare la musica, la fruizione e l'educazione musicale, partendo dalle scuole medie. Anche ripensare la musica in televisione, che dava un ruolo più istituzionale all'artista, lo faceva arrivare alla gente.
Lo streaming?
Colapesce: Quello fatto in casa da un certo punto di vista mi sembrava un'umiliazione della musica. Non abbiamo voluto fare dirette durante il lockdown per non stare in cameretta o in sala con la chitarrina, mentre si sente una merda, a suonare. Capisco i molti che l'hanno fatto per stare vicini al loro pubblico, ma non fa per me. La musica liquida funziona, ma ha anche bisogno di spazi che la influenzino fisicamente, come scriveva anche David Byrne in Come funziona la musica.
Questi sono giorni di grande caos. Che sta succedendo al mondo?
Pensiamo sia il momento di dire le cose. Chi non è mai stato inserito nelle discussioni e non ha mai aperto bocca, oggi prende parola. C'è un bisogno forte di argomentare, negli ultimi anni ci siamo soffermati sui titoli, sulle battute, senza mai approfondire veramente. È il momento in cui ogni cittadino deve prendere parte alla comunità, per ricostruire.
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L'articolo Colapesce e Dimartino: "È arrivato il momento di dare voce a chi non ce l'ha" di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-06-04 16:30:00
COMMENTI (1)
bellissime idee