La terza estate dell’amore è la conferma ufficiale di parecchie cose. Anzitutto dell’importanza di Marco Jacopo Bianchi in quanto musicista contemporaneo e un passo avanti e pure, lasciatecelo dire sì, intellettuale. E poi è la conferma della necessità di uno stravolgimento, di un'insurrezione musicale: con questo disco Cosmo vuole farci ballare fino a dimenticare ciò che è stato. E vuole preparare con le canzoni il terreno a quando potrà esplodere in una rivoluzione fatta di corpi, di rapporti reali e di abbracci (e di concerti dal vivo).
A tre anni da Cosmotronic, il quarto album di Cosmo colpisce per la potenza del suono. La completa fusione tra techno e cantautorato (già presente nel precedente album) ha preso una forma ancora più radicale. Le "cazzate" di cui l'artista piemontese si prendeva gioco (dopo esserne stato succube) non sono più nemmeno degne di essere raccontate: il mondo è cambiato in modo estremo, e c’è solo bisogno di cantare l’essenziale, l’alleanza dei corpi e la spontaneità animale.
La terza estate dell’amore è un’ora di musica senza controllo, freno o ricerca di lucidità, solo una grande trasparenza emotiva. Emergono gli spigoli e le provocazioni di una persona che continua ad elaborare un’idea di vita il più possibile svincolata, il più possibile alimentata dal piacere, salvifico sempre.
Una libertà lirica piena di confusioni, gelati e frutti proibiti, immagini poco chiare, ma significative – "Dietro la farmacia c’è la cattedrale" –, fino al limite quasi futurista raggiunto in Fuori, vero e proprio bombardamento realizzato in collaborazione con Silvia Konstance, l'unica "voce in più" del disco.
Ho fatto quattro chiacchiere con Cosmo, che al termine della prima notte insonne con la terzo genita neonata, mi ha raccontato degli abbracci repressi, dell’incazzatura per la situazione dei live in Italia e del tipo di vecchietto che vuole diventare. Senza nessuno scontro generazionale, ma con estrema, infinita empatia per le ragazze e i ragazzi più giovani (che conosce molto bene, grazie al passato da professore).
Nei tuoi lavori precedenti c'era una lotta ad armi pari tra cantautorato ed elettronica, ma stavolta è come se volessi abbandonarti al suono che produci e lasciarti trascinare. Questa struttura è venuta da sola, o l’hai decisa?
Non è stato semplicissimo. Ho puntato ancora di più sulla ritmica delle strumentali, e questo, secondo me, è il mio disco più ballabile, ritmicamente il più coinvolgente. Scriverci sopra è stata un’operazione non immediata perchè ho cercato di decostruire il mio solito modo di scrivere.
Cioè, meno cantautoriale?
Sì, ma non solo. Ho cercato di superarmi in una dimensione ancora meno cantautoriale, ma che seguisse il flusso naturale della canzone. Sembra una cosa semplice (e penso suoni spontanea), ma che invece ha richiesto un bel lavoro di tentativi, di fallimenti e di ripensamenti. Volevo fondere ancora di più l’elemento ritmico di produzione e anche lasciarlo andare in libertà, nel senso che non mi sono posto limiti anche temporali come prima. E non mi sono messo a dire: "Questo pezzo è troppo lungo". Se mi veniva, lo lasciavo così. Costruirci le canzoni dentro, e scriverci, è stata un’operazione diversa. Il mio obiettivo era fare pezzi che riuscissero a trascinare, pur non avendo una forma classica.
Una "forma classica" però è rimasta in alcuni pezzi, sbaglio?
È vero, ad esempio in La Musica Illegale. Il fatto che ci sia una strofa e un ritornello più classico è venuto naturalmente, perchè certi pezzi lo richiedono, mentre in altri mi sono lasciato andare in maniera diversa. I cantati sono diventati un gioco di produzione a loro volta: esattamente come giocavo con le ritmiche o i synth, ho giocato con le parole e il modo in cui le dicevo e la ritmica su cui le piazzavo. A volte sforando nel parlato, nel recitato, nell’urlo. A volte cantando di più, a volte bisbigliando. Ho cercato di sforare questa cosa della voce cantata sempre, così come la regolarità, i giri che durano 8 o 16 battute: ho seguito il flusso libero e ogni volta vedevo dove mi trovavo alla fine della strofa. Ho fatto un lavoro fantasioso di produzione anche sulla voce, non solo sulle strumentali.
Infatti, per come hai "effettato", tagliato ed editato alcune tracce vocali, sembra quasi un disco di remix di canzoni che non avevo ancora ascoltato.
È un po’ quella l’idea, sì. Anche il risultato è quello: sembrano dei remix. Mi capita spesso di ascoltare e pensare: "Caspita, sono molto meglio dell'originale". Quindi ho detto: "Perchè no?", faccio direttamente io.
Gundala è completamente sussurrata. Anche tu credi nella forza della parola sussurrata più che della parola urlata?
Lì non è nemmeno sussurrata, di più. Per registrare quella voce, mi ero messo seduto alla scrivania dello studio, ho poggiato il gomito sul tavolo, e la testa sulla mano, tutto storto, e ho messo il microfono vicino alla bocca mentre ero praticamente piegato, e ho cercato di cantare più piano possibile. Mi piace molto, quella cosa l’ho usata anche in Buccy Bom, dove sussurro un paio di frasi. Sto iniziando ad esplorare anche questa cosa qui, mi piace. Per questo disco, a livello di voce, mi sono chiesto: "Cos’è che non ho ancora fatto?". Non ho mai bisbigliato negli altri dischi, ho sempre cantato tutto forte, e adesso l’ho fatto. È per esplorare tutte le possibilità timbriche. Penso che il sussurro lo userò ancora.
La Musica Illegale è la canzone più "tormentonesca" di tutte, ma è anche quella con dentro i concetti più rivoluzionari. Perché?
È paradossale che quella roba sia rivoluzionaria, no? Piuttosto sottolinea un paradosso del presente, ossia che la musica sia diventata un problema. In questa situazione pandemica ancora di più, ma in generale la musica in giro dà fastidio. Nella canzone parlo di chi si lamenta della musica e chiama la polizia, che invece tutto il giorno sente i rumori delle macchine, e quell’inquinamento acustico gli va bene. È paradossale ribadirlo, ma mi sembrava interessante sottolinearlo, e inneggiare alla musica libera che possa essere suonata, ballata ovunque, anche in contesti che non sono neanche alla luce del sole: è un po’ un inno a una resistenza musicale.
È quello che hai fatto nell’anteprima del disco: mettere la musica a suonare a prescindere dalle persone che si trovavano in quel posto.
L’idea nasce da un brainstorming fatto con Emiliano Colasanti, il mio manager. Emiliano ha citato i Beastie Boys, ma il mio primo spunto erano i Boards Of Canada, che avevano fatto questa anteprima con delle coordinate in un punto desertico, la gente andava lì e trovava una roulotte e un impianto che suonava il disco nuovo. Abbiamo cercato di espanderla, scegliendo luoghi che sono stati chiusi in maniera coatta da tempo: club, parchi, tutti spazi in cui la musica è stata vietata.
Per ribadire il fatto che la musica deve e può suonare ovunque?
Esattamente. Non abbiamo organizzato eventi musicali in cui io suonavo, abbiamo messo un impianto a suonare in giro. Ogni volta devi cercare di ritagliarti tutto quello che puoi da fare. È possibile mettere un impianto a suonare lì? Si. Non ho fatto un evento, nessun assembramento, ho soltanto messo un impianto a suonare lì. È venuta fuori una cosa bella, era bello vedere degli impianti suonare così, in ambienti più o meno deserti, oggi.
In quest’anno abbiamo forzatamente vissuto la musica soltanto incisa. Tu mentre scrivevi il disco lo pensavi per il live, o l’album è vittima dell’ultimo anno e mezzo?
Dal punto di vista dei concerti l’album sicuramente vittima, ma con voglia di rivalsa. Nel disco c’è e si respira, questa voglia di mettere in evidenza le crepe del presente, le contraddizioni. Inneggiare a un concetto di vita, di festa, di aggregazione, che è stato cancellato. Il disco è stato pensato molto per il live, immaginandolo proprio perchè fosse il più possibile di impatto e coinvolgente dal vivo, anche in maniera meno scontata. Ho esplorato altre ritmiche: un po’ più backbeat, electro. Ho esplorato anche dinamiche più basse. È nato in un contesto di isolamento, ma con la voglia di tornare ed essere un momento esplosivo nella mia vita e in quella di chi verrà ai concerti.
Sei un artista molto fisico: sul palco ti dai completamente, fai stage diving, c’è molto corpo nel tuo live. E anche ne La Terza Estate dell’Amore c’è una frase manifesto in cui dici: "Ho amici che è meglio se stai attento, che se ti prendono ti abbracciano", come se dovessimo avere paura degli abbracci, ormai. Come mai queste citazioni (anche ai corpi nudi o al fisico come arma)?
Le ho messe apposta. Ho pensato: visto che c’è questa repressione voglio spingere tantissimo su questa cosa, va ribadita. C’è stata una narrazione sull’estetica dello star lontani, non potersi abbracciare, non toccarsi, ma io non faccio parte del CTS né del governo, non ho responsabilità: sono un artista. Quando sento che l’anima della società sta andando a pezzi, devo ribadire concetti opposti, che ci potrebbero salvare. Inneggio al corpo perchè c’è già un bombardamento mediatico che va nella direzione opposta.
Sei un artista: quindi, cosa puoi fare? Cosa puoi dire?
Io, da artista, posso permettermi di ribadire l’opposto di quello che viene raccontato. Non sono assolutamente negazionista e voglio fare il vaccino il prima possibile, però le parole sono importanti, le parole fanno esistere le cose. Se le cose non esistono nelle parole, si rischia di farle scomparire pian piano, quindi son lì a fare da contraltare. Soprattutto perchè immagino il momento in cui ci sarà il ritorno ai live, che non vedo neanche così lontano, sebbene in Italia ci siano ancora un po’ di tabù nel parlare di serate, di discoteche, di concerti in piedi. Non esistono i protocolli, ancora. Lo trovo un pregiudizio ideologico di chi comanda. Sono state chiuse le discoteche ad agosto senza ragionarci, perchè se apri le serate in cui la gente va a ballare devi pensare prima a fare un tracciamento, dei test: ma andavano fatti un anno fa.
La tua agenzia ha proposto alle regioni degli show sperimentali, non è vero?
Sì e io volevo fare da cavia per sperimentare i protocolli per portare di nuovo le persone a ballare ma le regioni stanno ancora tentennando, quando altrove hanno fatto sperimentazioni belle estese. Per fortuna tra poco inizieranno a farle anche qui però bisogna darsi una mossa. Adesso basta con questa cosa che non si deve parlare di noi, del nostro settore, e i concerti vanno fatti seduti. Io purtroppo i concerti non posso farli seduti, c’ho tutto un mondo musicale che non può essere vissuto da seduto.
Come ti sei sentito quando l’industria dei live era stata dimenticata dalle logiche della ripresa?
Rabbia totale, una grandissima offesa. Ho trovato offensivo come un ministro della cultura di sinistra ribadisca certi cliché che hanno rovinato la sinistra, quei concetti da sinistra radical chic. Per lui la cultura rimangono i teatri, al massimo i cinema, ma non concepisce l’esistenza dei club. Allora ho pensato: "Cazzo, tu che fai parte di una forza di sinistra dovresti essere ben consapevole di come si muove il sottobosco culturale. Dovresti sapere che non è neanche un sottobosco, perché è un indotto importante". Sono rimasto proprio offeso da questa ignoranza totale.
È il momento di riconoscere i club, e tutti i luoghi di cultura?
Assolutamente. È giunto il momento, come è successo a Berlino. Bisogna mettere sul tavolo che club e musica dal vivo sono luoghi di cultura. Per chi fa proposte originali, non la chupiteria che mette le hit in sottofondo. Ci siamo trovati in mezzo a una pandemia, e tutte le maestranze non avevano alcuna rete di sostegno, vanno sostenuti come lavoratori della cultura. Un lavoro di per sè già intermittente prima, ora c’è stata la goccia che fa traboccare il vaso. Siam stati i primi a chiudere, e saremo gli ultimi a riaprire. Siamo stati stigmatizzati: sono molto incazzato ed offeso.
Colpa di una parola: la "movida". Cosa ne pensi?
C’è stata una stigmatizzazione dei giovani terribile. Saranno anche gli ultimi a vaccinarsi, anche perchè sono meno fragili, ma la società ha avuto un punto di vista malato. Non voglio fare lo scontro generazionale, però mi fanno un sacco tenerezza i ragazzi e le ragazze più giovani.
Più che scontro generazionale, hanno dato la colpa ai giovani pensando che il sistema economico del live, del clubbing fosse roba da ragazzini, ma è una cultura che è cresciuta e non sono più ragazzini, sono adulti con le famiglie.
Son lavoratori. C’è stata una sottovalutazione. Poi sai cosa? Ho sempre pensato: "I ragazzini fan meno attenzione al distanziamento, alle mascherine". È vero, ma si può dire che è naturale? Non trovo niente di scandaloso in questo. A parte che i ragazzini sono stati molto rispettosi, ma se l’energia viva, carnale, del corpo dell’adolescenza dovesse sparire completamente dalle generazioni future questo paese non avrebbe un futuro, saremmo veramente fregati: non sarebbero più i giovani. Non so se avessero imposto condizioni del genere alla gioventù degli anni ’60, che cazzo avrebbero fatto – ride, ndr –, te l’immagini? Gente che protestava in continuo, altro che questa generazione che è stata colpevolizzata. Probabilmente quelli che li colpevolizzano, se fossero stati chiusi in casa, avrebbero lanciato le molotov in piazza. Questa generazione è stata schiacciata, da tanti punti di vista invisibili e sottili.
In Puccy Bom dici: "Come finirà, manco Dio lo sa", che è un po’ l’opposto di "Andrà Tutto Bene".
Sai, in realtà, quella frase non è negativa. Significa: "Il futuro è aperto", non si sa in che direzione si andrà, in futuro. La canzone conclude con: "Ma il capitalismo Bla Bla Bla", come a dire che tutto doveva continuare ad andare così, non si sa quali saranno i risvolti futuri. Il futuro va conquistato, è frutto di un campo di battaglia.
E tu dove vorresti andasse il futuro?
Le direzioni che sono emerse ultimamente iniziano a farmi ben sperare, ecco. Mi piacerebbe un futuro in cui il sistema sociale venga ripensato all’insegna dell’uguaglianza, dei diritti, dei servizi, della sostenibilità ambientale, come adesso si strombazza a destra e a manca: penso che sia quello il futuro. Una regolamentazione molto violenta dei mercati, soprattutto finanziari, una tassazione molto più giusta di questa, imbrigliare un po’ di più le multinazionali, farle pagare il giusto. Anche e soprattutto prevedere che una vita sociale felice è una vita di aggregazione con spazi per ritrovarsi insieme. La pandemia ha isolato ancora di più le persone, forzatamente, ma anche la struttura delle città.
Perché bisogna lottare?
Per rendere le nostre città vivibili, sennò diventano solo dei giganteschi centri commerciali: delle strade per andare dal punto A al punto B per consumare, comprare. Si sono riaperti per prima cosa i negozi, quindi potevi uscire solo per commissioni o comprare delle cose, no? Ridurre a questo la vita è la fine, invece vanno pensati degli spazi in cui la gente si ritrova. Piazze, parchi, luoghi liberi, con la possibilità di organizzare eventi, di occupare spazi inutilizzati per iniziative sociali e culturali. Ci vuole questo, perché l’alternativa è lasciare la città alla speculazione, al commercio, all’inquinamento. Bisogna ripensare proprio gli spazi in cui si vive.
È il "riprendiamoci le strade" che ricorre nel disco o che dicevi nel discorso agli Stati Popolari, la manifestazione di Aboubakar Soumahoro a Roma, lo scorso 5 Luglio. Lì dicevi: "Ho 38 anni e faccio il musicista". Dovrebbe essere una cosa normale, ma mi stupì. Era un discorso di grande civiltà.
Capisci che sono tutte cose che dovrebbero essere scontate? E invece ti stupisci che uno dica: "Ho 38 anni e faccio il musicista". Certi pregiudizi vanno eliminati, per tutti.
In effetti molte persone a 38 anni hanno venduto gli strumenti e si sono abbandonati al posto fisso. A te invece come è andata?
A me è andata abbastanza bene, se non fosse andato così bene L’Ultima Festa, avrei continuato a suonare, ma avrei insistito con l’insegnamento e altri lavori. Il mio piano di vita era quello, per due o tre anni ci ho provato un po’ di più con la musica ma non andava molto bene, quindi alla vigilia de L’Ultima Festa mi sono detto: "Dopo questo disco, basta", anche perchè stavo via tanto a suonare, anche con i Drink To Me facevo 80 date l’anno e non portavo tanti soldi a casa, e già convivevo. Insomma, era una cosa che mi piaceva, mi riempiva di gioia, mi aveva insegnato tantissimo, ma a un certo punto ho detto: "Ok, l’ho fatto, ho fatto un sacco di esperienza bellissima, ma torno al mio primo intento che era fare l’insegnante nella vita", e poi è andata così. Sicuramente avrei continuato a suonare, e la musica sarebbe rimasta una grandissima passione, perchè se hai qualcosa da dire, continui a suonare anche dopo.
Oltre una passione, cos'è la musica per Cosmo?
Un investimento per la serenità nel futuro. Può sostituire gli psicofarmaci in vecchiaia. Mi piacciono i signori anziani che suonano la fisarmonica, la chitarra, la tromba, cantano, sono bellissimi, vedi che hanno un fuoco che li tiene vivi. Sarà che sto invecchiando, ma ci penso a cosa sarò, cosa voglio essere da anziano. Anche questa cosa di aver fatto un’altro figlio, una bimba nata adesso, ci pensavo durante il lockdown: non so, forse avrei dovuto metterne al mondo altri, più di tre.
Ti piacciono le famiglie numerose?
Sì, e mi piace pensare che diventerò nonno, tutte cose che ti tengono vivo. Sembra egoistico detto così, ma è un atto d’amore. Io invecchierò: come voglio invecchiare? Io come musicista mi immagino di invecchiare con la mia musica, non mi immagino fare dischi come La Terza Estate Dell’Amore, a 50 o 60 anni. Cambierò, cambierà la mia musica che invecchierà con me, con il mio corpo che sarà un po’ meno energico e farò altre cose. Mi piace l’idea di invecchiare con la mia musica.
Non potrai più fare stage diving.
Eh, capisci? Fare il super giovane non lo so, io mi tengo abbastanza bene, ma bisogna accettare che si invecchi, bisogna ragionare in quella prospettiva: che vecchietto voglio diventare?
E come pensi avresti reagito, da professore, a com’è andata la scuola nell’ultimo anno?
Mi sarei battuto per superare qualsiasi tipo di barriera. Anche al ritorno in classe, non avrei massacrato i ragazzi di compiti in classe. Sono stati in DAD per mesi, e poi quando tornano hanno l’angoscia perchè hanno le verifiche. Voglio fare altro, dobbiamo stare insieme. Avrei cercato di ribaltare completamente gli schemi perchè andavano ribaltati gli schemi, in questa situazione straordinaria. L’educazione non è soltanto somministrare le cose e portare a casa il programmino. Non so come avrei gestito la DAD, però: quella è tosta. Mi sarei dovuto reinventare, non soltanto sul mezzo tecnico, su cosa dire e cosa fare. Non so, forse avrei creato dei video, dei contenuti.
Avresti messo in campo l'arte?
Sì, soprattutto sul rientro, avrei cercato di prendermi la mia responsabilità, portarli in un cortile, stare insieme. Avrei cercato di dare supporto, di farli sentire amati, vicini, e non in classe, massacrati di compiti. È un fallimento del sistema scolastico. Ora vogliono fare questo centro estivo per attività integrative, e pochissimi insegnanti aderiscono, pur essendo pagati. La deontologia professionale è ridotta ai minimi termini, solo una minoranza degli insegnanti ha la vocazione. Fanno il compitino, no? Anziché chiedere sacrifici solo ai ragazzi, si potevano sacrificare anche gli insegnanti. Bisognava lavorare sull’autostima, sull’ascolto.
Tu alzavi la voce, da insegnante?
Se mi dovevo incazzare, sì. Ero severissimo. Perchè, sai, essere liberi e in amicizia presuppone il rispetto di una forma, no? Quindi dopo aver messo bene in chiaro i nostri ruoli, poi scherzavo io per primo. Dovevi vedere i ragazzini un po’ viziatelli che non capivano o facevano finta di non capire il ruolo istituzionale, allora diventavo durissimo, sospendevo i ragazzi. La rivoluzione parte dalla disciplina interiore e poi dopo, quando c’è quella, puoi anche smarcarti. Infatti io con i ragazzi ho mantenuto un rapporto bello, ma il mio ruolo era quello, insegnavo in un professionale: o mantenevo l’ordine o era il caos totale, era sopravvivenza. Poi li ho fatti sempre lavorare, si parlava di tutto, anche di attualità. C’erano tanti berlusconiani, allora, quando insegnavo. E io, non berlusconiano, li ascoltavo, mentre i miei colleghi di sinistra si incazzavano, sbraitavano. Non è della libertà assoluta che hanno bisogno i ragazzi.
Di cosa hanno bisogno i ragazzi, gli studenti?
Del rispetto, dell’amore e anche della disciplina. Se gli fai sentire rispetto e amore, ti danno più retta. Con i più bulletti andavo d’accordo, perchè capivano la mia natura, e mi rispettavano magari più di certi ragazzi con un profilo più viziato.
Davi loro delle regole da sovvertire?
Certo, perchè devono scontrarsi, hanno bisogno di un muro. Lo testavano, volevano trovarlo, ‘sto cazzo di muro. I genitori che non hanno il coraggio di togliere a un bambino, magari piccolo piccolo, un telefonino di cui sta diventando palesemente dipendente, perchè altrimenti urla e si dimena, per me è una roba impensabile. Devi trovarlo il tuo muro, a quell’età. Ad esempio gli proponi un sacco di cose che lo distraggano, gli mostri il mondo, i libri.
I tuoi figli leggono molto?
Un sacco. Mio figlio ha quasi sei anni e legge, ancora deve andare alle elementari e già legge, anche lo stampatello minuscolo. Passiamo tempo nella natura, i weekend li hanno liberi tutti, basta avere voglia. A tavola si parla, si ride, si scherza tutti insieme, senza il telefono appoggiato. Quando c’è un no, è un no. Una volta stabilità questa cosa puoi concentrarsi sulle cose essenziali, che sono l’amore, l’ascolto.
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L'articolo Cosmo: "Il nostro campo di battaglia è il futuro" di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2021-05-21 11:15:00
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