Dente - I cantautori non vendono più

Un disco lungo (20 canzoni) e pieno di autocitazioni, che Dente ha scritto e suonato interamente da solo. Un disco forse difficile da apprezzare al primo ascolto, che ha bisogno di tempo per crescere e fermentare.

Dente nuovo album "Canzoni a metà"
Dente nuovo album "Canzoni a metà" - Tutte le foto sono di Gabriele Ferraresi

Un disco lungo (20 canzoni) e pieno di autocitazioni, che Dente ha scritto e suonato interamente da solo. Un disco forse difficile da apprezzare al primo ascolto, che ha bisogno di tempo per crescere e fermentare. Un disco praticamente senza ritornelli.
Dente ci racconta "Canzoni per metà"

 

Il disco parte con “I cantautori non vendono più”: non male come dichiarazione d’apertura.
Non solo i cantautori non vendono più, non si vende più e basta. Quel pezzo si chiama “Canzoncina” e in realtà è un latrocinio, visto che è la versione italiana di un pezzo di Willie Nelson che si chiama “Sad Songs and Waltzes” in cui lui dice: “ho scritto una canzone per te, ma non preoccuparti perché le canzoni tristi e i valzer quest’anno non vendono”. L’ho presa da lì ed è un canzone che facevo anni fa dal vivo come introduzione a “Scanto di sirene” durante i live chitarra e voce. L’ho ripescata dalla memoria e poi l’ho lasciata lì con anche la canzone nella coda. In realtà non è vero che i cantautori non vendono più, anzi: da un po’ di tempo c’è una sorta di rinascita, come si dice in questi casi. Però in generale non si vende più ed è un problema.

Però in compenso si passa tanto in radio, basti pensare a Deejay e alle canzoni che ha messo questa estate. Una volta un passaggio era un miracolo, adesso siamo all’alta rotazione.
Secondo me si sono livellate le cose. Noi forse siamo diventati più bravi a fare canzoni di un certo tipo e loro hanno abbassato la guardia e si sono aperti a un mondo come il nostro, che è lo stesso mondo loro, ma è più difficile entrarci. È una bilancia che inizia a bilanciarci, è giusto che sia così in un paese civile, normale. E normodotato.

Tra tutti i tuoi album, questo è quello con i pezzi meno orecchiabili e arriva in un momento in cui la routine disco-promozione-tour avrebbe potuto dare i frutti migliori. Come ti poni da questo punto di vista, anche pensando proprio ai passaggi radiofonici di cui stavamo parlando?
Forse era anche voglia di cambiare la routine, di inventarsi qualcosa di nuovo e di diverso, che è un ritorno indietro, ma anche un guardare avanti. È un disco che comincio ad apprezzare e capire in questi giorni. Qualche anno fa avevo detto che stavo lavorando a un disco fatto in casa ed era questo, anche se ho finito per registrarlo in studio perché non volevo che suonasse male. Sono canzoni che sono uscite così, sono sincere e hanno pari dignità: quella da 50 secondi e quella da 5 minuti senza ritornello.

Ecco, perché il ritornello non c’è?
Il ritornello non c’è perché non devo per forza trasformarla in qualcosa di diverso, nel singolo orecchiabile per la radio. Non mi interessa farlo o almeno non mi interessa adesso. Detto questo, le canzoni più orecchiabili che ho fatto in passato non le ho fatte per andare in radio, ma perché mi uscivano così. E me ne sono uscite altre così che non ho ancora pubblicato, anche perché ho già materiale per il prossimo disco. In questo ho raccolto tutte quelle canzoni che, pur essendo molto diverse, dovevano stare nello stesso contenitore perché sentivo che doveva essere così. Alcune sono state scritte in periodi molto lontani, ma questa è una cosa che ho sempre fatto: in “Almanacco del giorno prima” c’era “Meglio degli dei” che avevo scritto nel 2005. Io le canzoni le raccolgo quando penso che possano stare bene insieme, che siano 5, 10 o 20, come in questo caso. Quelle che restano fuori so che le userò prima o poi. Non ho mai scritto per un disco nel senso “faccio dodici canzoni”, scrivo quando scrivo e le metto dove mi pare. E questo doveva essere un disco in cui stessero bene canzoni registrate così come erano sbocciate, canzoni a cui non fregasse nulla di quello che succede fuori da casa mia.

Quindi è un disco più per te che per il pubblico?
Tutti i dischi che ho fatto sono soprattutto per me. È una cosa brutta da dire ai fan, ma è così. Poi il fatto che piacciano mi fa molto piacere e sono contentissimo, per l’amore di dio. Quindi non credo che questo disco non piaccia ai miei fan, forse non è un disco per tutti i palati, ma in fondo anche l’Almanacco aveva pezzi come “Miracoli” o “Cuore di pietra” che sarebbero potuti stare dentro questo disco. Ho sempre avuto delle canzoni più bizzarre delle altre e questo forse ne raccoglie tante. Fa un effetto straniante ascoltarle tutte insieme, perché 20 sono molte: ci vuole tempo per assimilarlo e come dicevo anche io sto iniziando ad apprezzarlo davvero ora. Che è strano, come se fai un figlio e inizi a volergli bene quando ha dieci anni.



Sei pronto al fatto che tanti non avranno voglia di metterci questa pazienza?
Certo, anche perché oggi come oggi la pazienza nell’ascoltare musica è sparita. Ha canzoni brevi e quindi ha il pregio di non stancare, però va ascoltato più del normale. Non sono spaventato, perché comunque il disco mi piace. Ho fatto una cosa che volevo fare e la prenderanno come lo prenderanno.

Uno degli aspetti che rendono “Canzoni per metà” diverso dagli altri tuoi dischi sono le citazioni dirette. Oltre a “Scanto di sirene” vengono citati “La battaglia delle bande” e “L’amore non è bello”... se non sbaglio è la prima volta che ti autociti in modo così diretto, rientra anche questo nel discorso di riflessione sui dieci anni di carriera?
Non l’avevo mai fatto e senz’altro c’entra con quel discorso, ma anche con il discorso delle canzoni che stavano tutte bene qui. E le canzoni con le autocitazioni stavano tutte bene qui, semplicemente. Mi sono divertito e ho anche calcato la mano: c’è la citazione in apertura, c’è quella della battaglia delle bande, che in realtà è un pezzo che ho scritto nello stesso periodo proprio de “La battaglia delle bande”, c’è anche “Senza testo 2.0”, che rimanda a “Senza testo” di “Anice in bocca”. Là c’era il suono di una matita che scrive su un foglio, qui c’è il rumore di una tastiera e quindi è 2.0. Comunque sì, è un po’ un cerchio che si chiude.

Capitolo “Anice in bocca”: negli scorsi mesi hai portato in giro le canzoni del tuo primissimo album, per festeggiare il decennale. È evidente che il tour e il fatto di tornare a quell’album sulla lunga distanza abbiano influenzato pesantemente “Canzoni per metà”. Nell’immediato, qual è stato l’impatto riprendendo in mano quel disco?
È stato strano riascoltarlo dopo tanto tempo e capire ad esempio che la mia voce è cambiata, cosa di cui non mi ero assolutamente accorto. Ho fatto fatica a cantarle, ci ho messo tanto a rimettermi nel mood e a ricreare tutti quei suoni con chitarre e pedaliere. Per me è stata una grande cosa, importante. È stato molto bello e mi ha rincuorato anche l’affetto del pubblico: le date sono andate sold-out subito, la gente era supercontenta, anche se un po’ stranita di fronte ad “Anice in bocca”, mentre invece nella seconda parte, quella in cui facevo “i grandi classici della musica italiana”, tutto cambiava. Quel calore mi ha dato grande forza per mettermi al lavoro su questo disco con un po’ più di energia.



Con “Anice in bocca”, l’altra influenza grande è il libro “Favole per bambini molto stanchi”, che hai pubblicato nel 2015 per Bompiani. Ad alcuni di questi testi basterebbe aggiungere la parola “Fine” per metterli nel libro.
Effettivamente c’è un legame con questo libro fatto di storie molto brevi. Io da sempre scrivo cose molto brevi, come ad esempio “Cuore di pietra”. In questo disco in realtà le canzoni corte sono cinque su venti, ma saltano all’occhio perché di solito ne mettevo al massimo una. Il libro è piaciuto tanto e ha venduto tanto, molto più di un disco: è paradossale ma ho venduto più libri che dischi e questo mi ha confermato che fare le cose come piace a me funziona. Il libro non voleva pubblicarlo nessuno, perché tutti mi hanno detto: “È impubblicabile, non sappiamo dove metterlo: scrivi un romanzo”. Che è come se per mi avessero detto: “Non fare un disco di venti canzoni, fanne uno di dieci con i ritornelli”. Poi alla fine il libro l’ho fatto come pareva a me, un editore lungimirante come Bompiani l’ha pubblicato e il libro ha venduto contro ogni aspettativa, anche dell’editore stesso. Ma io sapevo che sarebbe piaciuto: perché quel libro sono io al 100%, così come questo disco sono io al 100%.

Per chiudere questo discorso provo a fare un riassunto di come ho interpretato il disco. L’ho avvertito come una reazione estrema a quello che era “Almanacco del giorno prima”, ovvero un disco quasi di maniera, fatto nel 2014, ma pensato e suonato come se fosse il 1964. Aver ripreso in mano “Anice in bocca” e aver scritto il libro ti ha portato a fare “Canzoni per metà” in questo modo. Ti do atto che sia stato coraggioso da parte tua, perché ci si aspettava un “Faffaraffa” all’ennesima potenza, ma fatico a non considerare questo disco una parentesi prima di tornare a fare un album vero, che non sia fatto di strofe senza ritornelli e da ritornelli senza strofe.
Metterò insieme le strofe e i ritornelli di questo disco e farò un disco di dieci canzoni… era così facile! Allora, questa cosa del decennio che è passato mi ha un po’ preso la mano è evidente. È un cerchio che si chiude e un momento di passaggio, ma “Canzoni per metà” non è un disco minore, non l’ho mai pensato, nemmeno quando ero convinto di farlo tutto in casa. Non è un progettino speciale, è un disco ufficialissimo, con tanto di tour che durerà un anno. Anche questo è un disco vero e voglio che sia percepito come tale. Con il prossimo non voglio tornare indietro a quello che facevo prima, voglio andare avanti. Anche questo in realtà non è andare indietro, ma è mettere una bandierina da qualche parte, in qualche posto diverso da quelli in cui ero stato in precedenza. Perché comunque è diverso da “Anice in bocca” e da tutto quello che ho fatto. Il prossimo voglio che sia ancora diverso, ma non voglio tornare indietro al manierismo, come dici tu. Non so ancora cosa voglio fare, ma voglio che sia una cosa che mi renda felice. Una cosa bella.



Il disco l’ha registrato Appino, ma chi l’ha suonato?
Il disco l’ho suonato tutto io, improvvisandomi bassista, batterista, pianista, tastierista, chitarrista, cantante e autore (ride). Ho fatto così perché questo disco doveva nascere in casa e mi ero messo in testa che dovesse essere mio al 100%, quindi dovevo suonarlo tutto io. Quando ho scelto di registrarlo in studio per avere una qualità migliore, ho comunque voluto uno studio familiare, con persone familiari. Ne ho parlato con Appino e mi ha proposto di andare a Livorno, dove lui ha una parte di studio per le sue produzioni. Appino non ha prodotto il disco, ma l’ha registrato e mixato: forse in pochi lo sanno, ma ha un lato nerd non da poco, è molto bravo anche come tecnico e gli piace smanettare.

Per essere tuo al 100% hai deciso di rinunciare anche a un’etichetta.
“Almanacco del giorno prima” era uscito per Sony, che questa volta cura solo la distribuzione, mentre l’etichetta che mette il marchio è Pastiglie, ovvero la mia etichetta. L’ho fatto per avere più libertà per il dopo: in questo modo il discografico sono io e devo parlare con me stesso, che è una cosa molto più veloce. I neuroni funzionano ancora bene per fortuna. È anche un disco che, con i loro standard, avrebbero faticato a lavorare, visto che hanno canali molto mainstream. Non sarebbe stato facile presentare i singoli che stiamo andando a presentare noi. E per noi intendo noi di Pastiglie (ride).

Momento interpretativo: ascoltando i vari pezzi si sente che in molti testi hai inserito un senso di paura per il fatto che quello che dici non venga capito o vada perso. Ti ci ritrovi?
È sempre bello sentire queste interpretazioni, perché quando faccio un disco non capisco mai se c’è un messaggio subliminale, un tema che attraverso tutte le canzoni. È una cosa inconscia, ma quello che dici tu c’è sempre stato. Ho sempre avuto paura di far sentire le mie cose perché ero sicuro che non sarebbero interessate a nessuno e devo dire che non mi sono ancora abituato, anche se so che molta gente si è immedesimata nelle mie canzoni. Pur sapendolo, non ho mai cercato di strizzare l’occhiolino andando a vedere come si comportava la gente, per cercare di scrivere cose che potessero interessare di più. È uno dei pochi vanti della mia vita. Oggi so che ci saranno persone a cui piacerà quello che faccio, magari anche senza fare caso che sia bello o brutto, perché si sentono legati a me e quindi non riescono più a rendersene conto. Io però me ne rendo ancora conto, per questo voglio fare solo cose belle.



Altro cambiamento portato da questo disco: la band che ti accompagna in tour.
Alla fine dell’ultimo tour ho fatto un discorso con la vecchia band, per capire chi avesse voglia di continuare in modo serio e chi invece fosse troppo impegnato con altri progetti. Ci ho pensato molto e alla fine ho deciso di cambiare. Non è una cosa da poco perché erano la mia band da sempre. Ho iniziato ad ascoltare molte cose e ad andare a concerti e alla fine la scelta è caduta sui Plastic Made Sofa. Sono già una band, quindi hanno sintonia tra loro e mi seguiranno tutti tranne il cantante… perché canto io (ride). Abbiamo fatto una settimana di prove a cui loro si sono presentati sapendo già suonare alla perfezione 23 pezzi. Adesso continueremo a provare un giorno a settimana fino all’inizio del tour, perché qualche canzone vogliamo farla completamente diversa.

Sarà un tour pieno di pezzi brevissimi e stranianti?
Con la band faremo i pezzi più canonici e in realtà nemmeno tantissimi dal disco nuovo, qualcosa chitarra e voce, ma diciamo che il repertorio non mi manca. Non sarà però un concerto alla “Anice in bocca” con dieci pezzi in fila da trenta secondi. Sarà un concerto normale. Anche bello, secondo me.

video frame placeholder

Queste le date dei prossimi instore di Dente:

ven 07 ottobre - MILANO - La Feltrinelli, Piazza Piemonte 2 - ore 18.30 
lun 10 ottobre - ROMA - La Feltrinelli, Via Appia Nuova 427 - ore 18.00 
mar 11 ottobre - FIRENZE - La Feltrinelli RED, Piazza Della Repubblica 26 - ore 18.30 
mer 12 ottobre - BOLOGNA - La Feltrinelli, Piazza Ravegnana 1 - ore 18.00 
gio 13 ottobre - TORINO - La Feltrinelli, Stazione Di Porta Nuova - ore 18.30

Queste le date del tour di Dente, che partirà il 20 ottobre:

gio 20 ottobre - Brescia - Latteria Molloy 
ven 21 ottobre - Correggio (RE) - I Vizi del Pellicano 
sab 22 ottobre - Livorno - The Cage 
sab 29 ottobre - Rovereto (TN) - Smart Lab 
lun 31 ottobre - Molfetta (BA) - Eremo
mar 01 novembre - Sant'Egidio alla Vibrata (TE) - Deja Vu 
sab 05 novembre - Napoli - Lanificio 25 
mer 09 novembre - Milano - Magnolia 
gio 10 novembre - Torino - Hiroshima Mon Amour 
ven 11 novembre - Genova - Teatro dell'Archivolto 
sab 12 novembre - Padova - Mame 
gio 19 novembre - Foligno (PG) - Supersonic
ven 18 novembre - Roma - Monk 
sab 19 novembre - Bologna - Locomotiv 
mar 22 novembre - Bolzano - Teatro Cristallo 
mer 23 novembre - Saluzzo (CN) - Teatro Politeama 
sab 26 novembre - Firenze - Flog 
mer 30 novembre - Parma - Mu 
ven 02 dicembre - Bergamo - Druso 
gio 08 dicembre - Palermo - Candelai 
ven 09 dicembre - Messina - Retronouveau 
sab 10 dicembre - Catania - Ma 
gio 15 dicembre - Fontanafredda (PN) - Astro Club 
ven 16 dicembre - Verona - Pika 
sab 17 dicembre - Ravenna - Bronson 

---
L'articolo Dente - I cantautori non vendono più di Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2016-09-26 12:57:00

COMMENTI

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia