Giuseppe Vitale è uno che nella vita ha girato un po' per tutto lo Stivale: nasce a Napoli, cresce a La Spezia, poi girovaga fino a stabilirsi a Reggio Emilia. Nella vita di tutti i giorni lavora nel settore educativo della prima infanzia e nell’editoria come illustratore e autore, occupandosi principalmente di linguaggi espressivi applicati allo sviluppo, ma anche di formazione per insegnanti e design di giocattoli. Insomma, una mente creativa molto eclettica, tanto che viene declinata anche nella musica: Giuseppe è anche un cantautore, sotto il nome d'arte di Deut. È da poco uscito il suo primo album From the Other Hemisphere, dieci tracce di un affascinante folk intimista dalle venature dark. L'abbiamo incontrato per fare qualche chiacchiera con lui.
Quando hai cominciato a fare musica?
Tutto è cominciato molto presto, ero davvero piccolo… ogni palco era una bella scusa per mettermi alla prova, ma non sapevo fare molto altro se non quello. Disegno e musica sono stati da sempre i miei canali espressivi preferiti. Hanno provato a farmi studiare pianoforte, poi sassofono con scarsi risultati. Poco dopo ho scoperto la musica punk, le chitarre elettriche di mio padre e crescendo ho suonato in gruppi di generi davvero diversi tra loro, dal teatro canzone al prog-metal. Nel tempo ho provato a cimentarmi in molti strumenti da autodidatta mantenendo sempre un approccio giocoso all'apprendimento.
Con chi collabori?
Principalmente con David Campanini, che produce i miei brani e da forma alle idee più strampalate che mi saltano in mente. Grazie ai nostri punti di vista diversi abbiamo dato forma sonora a questo progetto. Nei due dischi hanno suonato altri amici e musicisti come Alessandro Messina, Emiliano Bagnato e Sofia Bianchi. Brisilda Gjashi mi ha accompagnato dal vivo nel piccolo tour del primo ep. Inoltre ha curato i video e attraverso il suo occhio speciale abbiamo concretizzato l'immaginario dei testi.
Come definiresti la tua musica?
Un folk alternativo? Alternato tra pop e sperimentale? Come molti, mi sento lontano dalle definizioni e le vivo come confini. Credo però che la mia non sia una musica complessa e virtuosa, ho scelto di limitare molto la vena barocca percorrendo una strada più diretta e spontanea. Naive forse... si può dire naive-folk? Dark? Sì, anche un po' dark-qualcosa.
Quali sono i tuoi ascolti e a chi ti ispiri?
Nel momento presente ascolto molto i War On Drugs e gli Arcade Fire per motivi diversi. Sono sempre alla ricerca di realtà musicali come Dan Mangan, Sharon Van Etten o The Building, guardo le nuove generazioni con Sam Fender e Nothing But Thieves. Rimango anche sui Kings of Leon e gli ultimi lavori dei The Killers. In contemporanea macino i dischi della Gondwana Records, dischi Hip-hop, Deep House e parecchio Folk dell’est.
Genesi e significato complessivo del tuo ultimo lavoro?
Nasce banalmente dalla necessità di esorcizzare qualcosa di personale, nel tempo è diventato un dare forma alla contemporaneità. Perché il personale è comunque in qualche modo collettivo. Mi piacerebbe avesse un significato comprensibile, aperto alle interpretazioni più diverse. Scriverlo è stato come scoprire parti di me che non conoscevo o con cui non avevo un dialogo, ha aperto qualche porta e spero possa farlo arrivando ad altre orecchie. Certo non lo pretendo, ma è anche per questo che l'ho reso pubblico, facendolo ascoltare mi sono accorto che parlava di altro e di altri.
Qual è il momento più bello che ricordi di un live?
Ricordo di essermi esibito in un piccolo locale nella città dove abitavo e in quel posto si erano riuniti molti amici e conoscenti, persone con cui sono cresciuto e gli amici di una nuova vita. Mi sono detto che sarei potuto morire lì, così, felice.
Cosa vorresti per il tuo futuro artistico?
Dedicarmi ad una ricerca registrando suoni e nuove idee, avere dei vuoti dove poter scrivere e collaborare in qualche progetto anche lontano dalle mie corde e dalla forma della canzone.
---
L'articolo Deut sopra e sotto l'Equatore di Redazione è apparso su Rockit.it il 2023-03-01 14:00:00
COMMENTI