DYD - Quei bravi ragazzi

Un disco, Bad Boys, che non suona italiano ma che è pensato per l'Italia. Ché già si ascolta tanta musica di merda mentre si dovrebbe sapere che c'è di meglio. Intervista densa. I Did si raccontano.

Il ritorno dei DID dopo quattro anni di assenza, con il disco "Bad Boys" nell'intervista a Giovanni Abruzzo
Il ritorno dei DID dopo quattro anni di assenza, con il disco "Bad Boys" nell'intervista a Giovanni Abruzzo - Foto di Chiara Esposito

Raccontano dei pezzi nati in Sicilia, al mare, mangiando pesce tra una nuotata e l'altra. Ma anche di quelli registrati in cantina, coi salami appesi, e di quelli prodotti da Sal P. Naturale che il disco sia così bastardo. Erano una band del liceo, adesso hanno un lavoro vero. E soprattutto dichiarano: "mai stati bad boys". Un universo di contraddizioni apparenti che si risolvono in un disco super-internazionale pensato per l'Italia però, dicono. L'intervista di Giovanni Abruzzo.

Dato che siamo in clima #badboys io inizierei pure parlando della vostra adolescenza torinese.
Eravamo una band del liceo, eravamo tutti in classe insieme. Fare una band in Italia è una cosa molto complicata, all'inizio non hai la più pallida idea di cosa fare, dove andare. C'era solo Myspace, ma neanche così lanciato. Finisce che prima di accorgerti che stai facendo degli errori madornali ci metti quattro anni, non capisci che il concerto nello stesso pub per più di tre settimane non ti porterà da nessuna parte.

Nessuno che faceva a botte, spacciava?
Macchè, credo che nessuno di noi abbia mai fatto una rissa in vita sua. I veri bad boys erano altri. Li ho sempre guardati con grandissima stima sai, avrei voluto essere come loro da grande. Il disco l'abbiamo chiamato così perchè tutti ci hanno sempre affibbiato a torto questo appellativo, e poi finisce che ti senti come Balotelli, quando dice che vuole essere lasciato in pace, che non è vero.

Più che altro mi interessa capire in che modo vi sia tornata addosso questa attitudine. Magari ai tempi dei k-way uno vi guardava e diceva "guarda te 'sti fighetti". Adesso è diversa la questione, l'impatto che avete è molto cambiato...
Questa cosa dei k-way mi ha sempre fatto incazzare, però è vera, ce l'hanno detta in tanti. Il punto è che ai tempi ci siamo semplicemente detti: tagliamo corto e vestiamoci con la cosa più antiestetica che c'è. Poi, da veri sfigati, è successo che il k-way è improvvisamente diventato un indumento di stile, di tendenza, e così ci siamo trasformati agli occhi di tutti in dei fighetti. A parte questo, rispetto ad allora ci sono un sacco di differenze nelle nostre vite. Io ho fatto il primo album che vivevo ancora coi miei, andavo all'università, mi affacciavo a questo mondo dell'indie-rock italiano con la voglia di spaccare tutto, di far sentire la mia voce. La band era la nostra vita. Mentre ora non abbiamo nessuna velleità, siamo molto più sereni, sarà anche che facciamo altro di lavoro. Dopo il primo live per "Bad Boys" a Bologna pensa che ho detto a tutti quanti che non mi sentivo così bene da due anni. Mentre prima, a stare su un furgone, in hangover, al freddo, mi giravano un po' i coglioni.

(Foto di Carla Sportelli)

Il disco suona molto bastardo, fuori dagli schemi, molto diverso da quello che era "Kumar Solarium"...
L'altra differenza di approccio sta qui. Per "Kumar Solarium" avevamo un tot di pezzi, siamo andati a Bologna a registrarli e abbiamo cercato di fare le cose con tutti i crismi. Questa volta ci siamo ritrovati dieci mesi fa con sei pezzi buoni e ci siamo detti scriviamone altri quattro e facciamo un album. Dopo di che siamo andati nella cantina di Andrea a Cavoretto, con i salami appesi, e abbiamo registrato lì le batterie con sei microfoni che ci siamo portati dietro. Poi siamo andati in un altro posto a fare le voci e abbiamo mixato tutto integrandolo con delle registrazioni fatte con l'iPhone. E alla fine ci siamo detti: questo è il disco.

Quello che si percepisce è che c'avete messo dentro veramente tutto quello che volevate.
Ci siamo presi tutto il tempo possibile in effetti, ed è stato il non avere velleità che l'ha fatto uscire così. Andrea dice sempre che l'abbiamo fatto con il cuore, ed è vero. E poi il non avere ansie, non avere fretta. Io l'ho visto con Andrea Tirone, il nostro ex chitarrista, che cosa vuol dire andare a Londra e fare la fame perchè tu credi veramente nel tuo progetto (Mind Enterprises, nda) e quello è il progetto della tua vita. Ci sono i pro e i contro. E i contro è che hai una pressione addosso che va ad intaccare la musica che stai facendo. Se a un certo punto andare in sala prove invece di una sbatta diventa una figata pazzesca allora è lì che hai cambiato l'approccio.

Quanto è importante avere, accanto a quello di musicista, un altro lavoro che ti dia da vivere?
Mi ricordo una volta al MI AMI, nel periodo di "Kumar Solarium", in un'intervista ci fecero una domanda di questo tipo e noi rispondemmo che la musica era la nostra vita e che non vivevamo con nient'altro. Adesso la voglio vedere nell'ottica che sì, se questo disco avesse fatto clamorosamente cagare non mi toglievano il mutuo sulla casa, non avevo quella pressione lì, però questo mi ha permesso di registrarlo come volevo io, perchè non avevo niente da perdere. A maggior ragione che abbiamo deciso di farlo il più strano e provocatorio possibile.

Sicuramente è disorientante. Sono spuntati fuori pochi nomi nelle recensioni che ho letto.
Mi fanno sorridere alcune recensioni, quando leggo addirittura Daft Punk. Di sicuro non esiste una band italiana che faccia questa roba qua, neanche qualcosa di lontanamente paragonabile. Suona molto 2013 in questo. E in generale suona molto Did, perchè il processo è stato questo, abbiamo provato a fare qualcosa di più pop, però alla fine, stringi stringi, quel tocco nostro, un pochino dance, è rimasto. E poi devo dire che nel tempo sono riuscito a trovare questo setup di voce un po' strano, un autotune dentro un delay a sua volta dentro un distorsore. Forse per certi aspetti è proprio quello che rende tutto così originale, questo autotune marcio.


(Foto di Alessia Naccarato)

Te lo ricordi ancora il momento in cui ha iniziato a prendere forma?
I pezzi più vecchi sono di tre, quattro anni fa, poi l'estate scorsa Tirone è venuto un mese a Torino perchè dovevamo andare all'Ypsigrock a suonare, e lì, con Nicola di Foolica che continuava a dirci facciamo questo album, lì è stata fondamentale, perchè allora ci siamo detti proviamoci. A quel punto siamo andati in sala prove, dopo un anno che non scrivevamo nulla, e siamo usciti con due pezzi, che poi sono "Skills" e "You Read Me". E lì ha preso forma "Bad Boys". Poi farlo è stato complicatissimo, perchè ognuno ha registrato per sé, alcune chitarre le ha fatte a Londra Tirone, alcune voci le ho fatte io per conto mio, Prato è andato nella cantina dei suoi coi salami. Quindi non ti dico il giorno in cui abbiamo detto mixiamo, praticamente abbiamo portato gli hard disk e i computer per cercare tutte le take, che erano sparse ovunque...

Ha significato tanto spostarsi da Torino in Sicilia?
In Sicilia è stato fighissimo perchè abbiamo fatto un tour facendo tre date in dieci giorni, quindi la nostra vita era andare in sala prove, andare al mare e mangiare pesce. Quindi lì credo che abbiamo svoltato il disco. E infatti nell'insieme è uscito molto estivo, fai conto che gli abbiamo dato le ultime pennellate, con 15 gradi in sala prove e 40 fuori, un caldo della madonna. Tutti i dischi bisognerebbe scriverli così.

Parliamo delle canzoni. Non avendo scelto finora un singolo voglio chiederti qual è il tuo pezzo manifesto. Il mio è "MVP"...
Anche per me. Conta che se io facessi questo di lavoro e ci avessi dedicato dodici ore al giorno, avrei fatto tutto l'album coi suoni di "MVP", è la cosa più nuova, più fresca, e poi è una delle ultime cose che abbiamo scritto io e Andrea, da soli, quest'anno. Quindi sì, mi farebbe piacere fosse il pezzo manifesto. "You Read Me" anche, è un pezzo che fa parte della nostra storia, è un pezzo Did. E poi anche "Belong To You", che è una roba che ogni tanto mi fermo a pensarci e mi dico che non so se riusciremmo mai a riscrivere un pezzo così.

Com'è stato lavorare con Sal P?
La cosa figa è stata che Sal P è venuto a Torino per registrarci l'EP ("Belong To You", nda) una settimana dopo lo show degli LCD Soundsystem al Madison Square Garden, dove lui aveva fatto l'apertura coi Liquid Liquid. Quindi l'abbiamo conosciuto in un momento in cui potevamo avere la visione completa di quella che era stata la sua carriera. Secondo me sono poche le volte in cui ti devi affidare a un produttore e quelle volte lì sono le volte in cui ti fidi ciecamente. Conta che lui è partito con le tracce separate e poi ci ha mandato l'EP completo, finito, non c'è stata neanche quella parte in cui gli abbiamo detto scusa, alzeresti quella voce, ha fatto tutto lui. Poi l'altra cosa è che, tornato a New York, ha chiesto a Dennis Young, l'uomo che per dire suona la cowbell su "Optimo", l'uomo che per me ha inventato il punk-funk, di aggiungere questa parte di marimba su "Belong To You", clamorosa. E in realtà ora che per il disco abbiamo mixato di nuovo il pezzo, quelle marimbe le abbiamo alzate a un volume atomico. Poi ti dico, il metodo di lavoro, io prima pensavo che una band dovesse avere un immaginario molto forte, dovesse imporlo sul mercato, andare ai festival e spaccare tutto, fare in modo che tutti gli addetti ne parlassero. Invece Sal P mi ha fatto capire che alla fin fine puoi anche registrare male, ma sono solo le canzoni quelle che contano, e lui questa cosa la ripeteva sempre. E quando doveva produrci l'EP, non guardava gli equalizzatori, era più concentrato sulla forza e sulla solidità delle canzoni. E quindi poi dopo abbiamo deciso per colpa sua di registrarlo così quest'album. Molto male (ride, nda).

Ho avuto l'impressione che la prima parte del disco è come se viaggiasse su binari "classici", poi arrivano gli interludi e la seconda parte diventa un giocare a mettere suoni su suoni, decine di schegge impazzite che quasi inconsapevolmente sembra diano vita ai pezzi. C'avete ragionato su questo tipo di disposizione?
Il disco è così: noi abbiamo messo gli interludi come fosse una roba di Justin Timberlake, e dentro gli interludi ci sono "MVP" e "Coin Slot" che sono i pezzi che abbiamo fatto totalmente io e Andrea e sono quelli più pop, nel senso che vanno a 80 bpm, col beat hip hop. E tra l'altro il primo interludio introduce la seconda parte dell'album, c'è questo dialogo tra Woody Allen e Jason Biggs in "Anything Else", dove si dicono che devono mollare tutto e andare in California, perchè succede tutto là, un discorso molto grottesco. E quando siamo rimasti in due anche a noi è successo lo stesso, è stato tutto un adesso o mai più, facciamolo, e l'abbiamo messo apposta nel cuore del disco. "Coin Slot" poi è un pezzo stranissimo, perché lo canta Andrea, e la voce è autotunata e quantizzata, che significa che non può stonare, e tramite un software viene messa automaticamente a tempo. Quindi, dall'essere uno che non aveva mai cantato in vita sua è diventato come Beyoncé. Ed è quello secondo me il senso dell'album, ci siamo noi, che siamo punk dentro, che ci siamo messi a fare la musica pop in un modo anticonvenziale...



Che poi significa passare gradualmente dalla cassa dritta alle ritmiche spezzate.
Esatto, ci siamo detti, andiamo per una volta in sala con l'idea della musica che vogliamo fare. Facciamo musica a 125 bpm, solo percussioni, zero melodia. E sono usciti questi due pezzi. Si vede che i nostri ascolti ultimamente sono quelle robe lì, robe storte, un po' cadenzate.

"Mastroianni Keep It Real" è un titolo stupendo.
Ad Andrea quel pezzo ricordava atmosfere felliniane e mi fa potremmo chiamarlo Mastroianni, Sofia Loren. Io l'ho fermato e gli ho detto subito ok, chiamamolo Mastroianni ma mettiamoci qualcosa di hip hop, quindi mettiamo keep it real. Lo so non è una roba molto intelligente. Però ti dico, da quando Sal P ci ha costretti a mantenere il titolo "Voci Pazze", siamo un pochino fissati a mettere queste radici italiane nei nomi dei pezzi.

Quando è arrivato il momento di chiudere l'album l'essere rimasti in due si è fatto sentire?
No, anzi, è molto più facile decidere le cose, io adesso per decidere una cosa faccio una sola telefonata ad Andrea, è un sogno. Mentre quando eravamo in quattro anche per prendere la decisione più stupida del mondo ci voleva una settimana, ci bloccavamo un sacco. Magari c'è che adesso dal punto di vista della composizione siamo solo in due, però siamo fortunati perchè abbiamo un sacco di amici che ci hanno dato una mano, o nelle registrazioni o nei mix, da Cato dei Bluebeaters a Vaghe Stelle. Non ci lamentiamo insomma. Poi tra me e Andrea ci diciamo che prima o poi ne resterà solo uno. E a quel punto sarà fighissimo, una superdittatura.

Cosa cambia nei live ora?
Live siamo in tre, c'è un nuovo ragazzo alla chitarra, Quirino, che è di Avellino, e io di avere una persona del sud in tour sono felicissimo. Suona le chitarre, il basso, alcune percussioni e noi ci grattiamo la panza. No vabbè, noi spacchiamo le cose (ride, nda). Di diverso c'è che adesso suoniamo delle canzoni e non delle parti dance. L'ho notato dalla pausa tra un pezzo e l'altro. Una volta la pausa tra un pezzo e l'altro per un concerto dei Did era un'ansia, non esisteva. Mi ricordo una volta a un MI AMI ANCORA, al Leonca, abbiamo suonato tre pezzi da quindici minuti l'uno. Invece adesso facciamo delle canzoni, abbiamo dei momenti di riflessione. In passato era un happening di musica dance suonata dal vivo. Ovvio, c'è sempre quella parte, non pensare che siamo diventati Albano. È comunque cambiato l'approccio della band. "Skills" ad esempio è un pezzo che ha un assolo di chitarra e finisce con lo sfumato, che una cosa più pop di così...



Parliamo di politica. Anteprima su Spotify, poca promozione, zero singoli. Che mosse sono?
Abbiamo fatto delle scelte un po' pazze, io non mi sono neanche preoccupato di far girare una promo all'estero per dire. Poi, io non lo so se il mondo dell'indie italiano si merita più niente, però questo disco l'abbiamo fatto solo per l'Italia, almeno al momento.

Spiegami meglio questa cosa.
Allora, il punto è che ci sono chiaramente dei problemi a fare musica in Italia. Io ho fatto concerti negli ultimi due anni, e regolarmente, finito il concerto, il promoter mi raccontava di quanto avesse fallito la missione nella sua città, il fatto che non fosse riuscito a fare quello che voleva fare, che il suo disegno non si fosse realizzato. Siccome mi ci vedo anch'io un pochino, perché per certi versi faccio lo stesso lavoro, questi qua, che poi sono i veri #badboys, ecco questi sono quella piccolissima parte che questo disco qui se lo strameritavano. Questo è il senso, non riesco a esprimerlo troppo bene forse. È un disco che non suona italiano, e volevo che uscisse in Italia soprattutto per quello.

Dimmi allora a chi vuole realmente parlare questo disco dei Did.
"Bad Boys" vuole dare qualcosa in mano a tutti e dirgli, guarda c'è qualcosa che ancora nasce per l'Italia, esce per l'Italia e porta un attimino avanti il nostro discorso musicale. Perchè uno dei più grossi problemi che c'è nel mondo della musica in Italia, un problema che secondo me hanno soprattutto le band di 18enni, è che non c'è una differenza lampante tra la buona musica italiana e quella che invece è merda. Nel senso che, quei pochi sistemi di promozione che esistono in Italia, tendono a promuovere tutto. Ad esempio, il fatto che Rockit faccia troppe poche recensioni negative è sbagliato, perchè esistono band impresentabili in Italia e bisogna dirlo, così almeno le altre band che sono in sala prove e stanno cercando di tirare fuori un EP capiscono cosa è giusto e cosa è sbagliato in una scala di parametri di valutazione oggettivi. La musica di merda è oggettivamente di merda. E poi l'altra cosa che mi fa incazzare è l'invidia, io credo che se un prodotto è fatto bene è fatto bene e basta.
Ti racconto un altro aneddoto. Noi siamo arrivati in RAI a Milano un paio di settimane fa, avevamo appuntamento nell'edificio dove registrano cose della radio, della tv, ecc ecc. Arrivamo coi nostri case marci, il furgone dei Drink To Me che è a pezzi, vestiti come se fossimo appena usciti dalla salaprove. Appena siamo entrati i tipi ci hanno detto, Babylon vero? Voleva dire che tra tutti gli studi di tutte le trasmissioni, facce come la nostra andavano solo a Babylon. In RAI c'è una sola trasmissione che fa suonare gruppi come i Did, come His Clancyness, come M+A e tutte le altre band italiane che si sbattono portando avanti un certo tipo di discorso. In inghilterra il new comer è ospitato regolarmente in più trasmissioni appena ha un piccolissimo cenno di seguito da parte del pubblico, per dire. Ma cosa succede qua in Italia? Una cosa normale, che tutti odiano Carlo Pastore (che scrive e conduce Babylon, NdR). Ma ti sembra normale? Ma avercene dieci così, che cazzo c'è da essere diffidenti. Sembra che vogliamo restare in pochi, invece io vorrei fossimo sempre di più, dei piccoli passi in avanti mi piacerebbe averli. Vorrei che tutti i concerti fossero pieni, ma pieni fino a strabordare di gente. Per questo ti dico, vogliamo ancora provarci? Io, ugualmente, direi di si.

Italia a parte, a febbraio parte il tour europeo con i Breton. Come siete riusciti a imbastirlo? Chi ha contattato chi?
Non abbiamo mai smesso di essere in contatto a dire il vero. Ovviamente sono stati loro a chiederlo a noi, di solito noi non chiediamo nulla a nessuno (ride, NdR). Era molto tempo che volevamo far succedere una cosa del genere, al di la del rapporto professionale tra le due band siamo molto legati a livello personale e per questo e nessun'altro motivo credo che saranno gli show più belli della nostra vita.

 

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L'articolo DYD - Quei bravi ragazzi di Giovanni Abruzzo è apparso su Rockit.it il 2013-11-27 00:00:00

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