Rosaluna - e-mail, 02-06-2006

I Rosaluna non ci sono più. Erosi da problemi di ordine economico, hanno alzato bandiera bianca lasciando come canto del cigno un album, “Musicomio”, che ha sorpreso tutti per l’abbandono dello “stereotipo folk” al quale avevano legato il loro immaginario. Un addio con qualche polemica, ben riassunta da un comunicato stampa che ha fatto molto discutere. Di questo e altro parliamo con il chitarrista Marco Ambrosi.



La band si è sciolta per motivi economici. Il quadro che avete dipinto nel vostro comunicato di addio non è dei più idilliaci. L’impressione che date è che ci sia un Moggi anche nel mondo della discografia…
Uno?!? Secondo me ce ne sono tanti… Non tra gli indipendenti magari (spero…), ma tra coloro che gestiscono “veramente” la discografia, cioè dove girano i soldi. Sicuramente ce ne sono e non devo essere io a dirlo. Come ci sono tra chi gestisce il mercato ortofrutticolo o delle televisioni, per non parlare del mondo politico che rilascia finanziamenti alle aziende… Voglio dire che dove girano soldi c’è qualcuno più furbo degli altri che ha in mano il potere decisionale ed economico. Affermare una cosa del genere, però, è banalissimo come una discussione in ascensore che inizia con “Non ci sono più le stagioni di una volta” e finisce con “Il sistema è corrotto”. Non volevamo assolutamente intendere questo… Il nostro comunicato punta il dito contro chi pensa che il “male” stia solo tra le major e non tra noi, cosiddetti alternativi! Volevamo puntualizzare che se non hai i soldi per andare avanti, se sei precario nel lavoro di tutti i giorni, lo sei ancora di più nella musica. I dischi ce li paghiamo noi musicisti, per un concerto non ti vengono dati più di 300-400 Euro, come fai ad andare avanti?

Sono estremamente convinto che chi inizia da indipendente e arriva a vivere di musica ce la fa solo perché o ha una forza di volontà oltre la norma che lo porta a lavorare tutto il giorno, e poi andare a suonare magari dormendo tre ore a notte, o perché è ricco di famiglia e non si pone alcun problema economico. Noi abbiamo fatto tre album distribuiti nei negozi e incassato dalla vendita di questi 500 euro di royalties, suonato da Sondrio a Reggio Calabria per un totale di 150 concerti, riuscendo solo a pagarci le spese. Sicuramente non meritavamo di più, ma non eravamo neanche gli ultimi arrivati, intanto non abbiamo mai avuto riscontri economici.

Non credete che il vostro possa essere un messaggio negativo per i musicisti, parlo di quelli più giovani, che tentano di farsi largo?
Credo sia un messaggio positivo, invece. Molto spesso chi arriva a pubblicare un disco per una qualsivoglia label indipendente è convinto che “ce l’ha fatta”, mentre è solo l’inizio. In Italia se non insisti per almeno dieci anni non arrivi a guadagnare le cifre che ti permettono di vivere, infatti se vedi i grossi nomi della musica “alternativa” italiana hanno tutti intorno ai 35 anni.

I più giovani escono direttamente con una major, con un bel progetto fatto a tavolino. Questo è lo stato delle cose e chi inizia a suonare sperando di diventare gli Afterhours o i Subsonica deve saperlo. Lo scioglimento del progetto è una provocazione, perché per noi può andare benissimo che per realizzarsi economicamente nella musica bisogna fare questo tipo di gavetta, ma diciamolo… Diciamolo che quando si pubblica un disco non si parla solo di arte ma anche di economia e se non rientri con le spese non puoi andare avanti… Diciamolo che la maggior parte dei dischi ce li facciamo per noi e gli amici o per gli addetti ai lavori, che non se la passano meglio di noi. Quanti giornalisti, soprattutto che scrivono sul web, guadagnano per la loro professionalità? Lo stesso vale per le piccole etichette discografiche… Io ho curato tre compilation, omaggi a De Andrè, Gaber e Battisti, e ne sto preparando una quarta su De Gregori, tutte per il Mucchio Extra. Non sono mai stato pagato per questo, perché il giornale non se lo può permettere, tanto meno gli artisti hanno avuto soldi per registrare il master. E questi cd hanno venduto tra le 10000 e le 15000 copie per uno nelle edicole italiane! Questo non è un esempio di un ambiente che non sta tanto bene?

Insomma, diciamo chiaramente che, benché ci si atteggi come fossimo tutti in chissà quale mondo discografico, il nostro è un mondo di appassionati, professionisti non pagati della musica!

Ci fai qualche esempio di truffa o fregatura che vi sono capitate in giro?
Nessuna truffa, tutto quello che ci è capitato in questi anni non è stata una sorpresa. Ti posso dire che in generale oggi un’etichetta ti pubblica il disco senza darti neanche un soldo per il master registrato. Se ti paga l’ufficio stampa devi comunque corrispondergli le edizioni dei brani. Per quanto riguarda la stampa, se la pagano loro ti impongono di comprarti un certo numero di copie a un sovrapprezzo che praticamente è la stessa cosa che pagarsi la stampa da soli, forse peggio… Chiunque suona e fa dischi queste cose le sa e gli vanno bene perché se i dischi non si vendono come potrebbe essere altrimenti? Per non parlare dei booking… Magari ti fanno firmare un contratto di esclusiva nazionale e poi ti trovano dieci concerti in un anno e gli altri quaranta se li è trovati il gruppo. Logicamente però si corrisponde la percentuale su tutti e cinquanta i concerti! Ma siamo stati sfortunati noi o va veramente così??!

Mi sembra di capire che ci sono accuse anche per la “Wild Flowers”, la vostra ultima etichetta discografica.
Non ci sono accuse per loro, è lo stato delle cose…

C’è una frase del vostro comunicato stampa di addio che vorrei sottoporti: “crediamo che sia una sconfitta prima di tutto per Marco, Pasquale, Manuel e Giuseppe, ma anche per tutta la musica che gira intorno…”. Non ti sembra che lasci trasparire un po’ di megalomania?
Nessuna megalomania, è solo per dire che noi abbiamo tanta voglia di dare in questo ambiente, non siamo neanche gli ultimi arrivati ma, causa di forza maggiore, non possiamo portare avanti il progetto perché la situazione musicale non ti permette di andare avanti, soprattutto se ti capita qualche imprevisto per la strada come è successo a noi, vedi la dipartita di due cantanti.

Che effetto ha avuto lo scioglimento dei Rosaluna? Qualcuno dei vostri colleghi ha fatto sentire la sua vicinanza, avete ricevuto attestati di stima, messaggi di solidarietà?
Molti! Anche musicisti e giornalisti che non conoscevamo direttamente… Questo mi fa capire ancora di più che non abbiamo tutti i torti quando segnaliamo questa situazione. Vorrei aggiungere una cosa che forse non si è capita: non ci siamo assolutamente arresi, anzi...

E arriviamo a “Musicomio”. Un disco molto diverso dai precedenti, non trovate?
Sicuramente sì, abbiamo sentito l’esigenza di allontanarci un po’ dallo stereotipo di musica folk che ci era stato affibbiato. Anche se poi i brani (magari con arrangiamenti diversi) non differiscono molto come struttura e armonie da quelli dell’album precedente…

Nella sua recensione, il nostro Antonio Belmonte si è fatto una domanda: i veri Rosaluna sono questi? A te la risposta.
Penso che A. Belmonte, come altri che hanno mosso più o meno le stesse critiche, se avessero ascoltato “Musicomio” senza sapere che eravamo noi a suonare, avrebbero scritto tutt’altro. Invece siamo noi, come siamo noi quando suoniamo quattro tarantelle seduti a terra nelle piazze o quando stiamo tutta la notte a suonare sulla spiaggia con senza nessuno che ci ascolti… La musica va vissuta e noi la viviamo in innumerevoli modi!

Come siete arrivati a questo tipo di suono?
Attraverso i live. Prima di entrare in studio, a Reggio Calabria, abbiamo fatto una tournée nel sud Italia di quaranta concerti in festival e piazze, così è venuta fuori la nostra anima più dura, come se avessimo bisogno di alzare il volume.

Ci sono state resistenze all’interno del gruppo o il fatto di dare una virata alla vostra estetica è stata presa con l’accordo di tutti?
Ogni scelta, che poi si sia rivelata giusta o sbagliata, è stata presa all’unanimità. È venuta fuori ancora di più la nostra inquietudine, come se tutti sentivamo che nella nostra vita stava cambiando qualcosa… Abbiamo espresso i nostri sentimenti attraverso i nostri strumenti.

Mi sembra che sia un condensato di tantissime cose, ci sento molto gli anni ’70 o sbaglio?
È un Musicomio! Effettivamente la musica degli anni ’70 fa parte del nostro background così come la musica etnica, solo che questa volta, rispetto al disco precedente, è venuta più fuori la parte rock progressive che quella etno-folk…

I Gatto Ciliegia da dove sono usciti fuori?
Siamo da sempre estimatori della loro musica, era tanto che volevamo chiedere di partecipare a un nostro album… Una sera siamo andati a Torino e, davanti a qualche bicchiere di vino, ci siamo ascoltati insieme “J.B.” e abbiamo chiesto loro di riarrangiarla. Siamo stati felicissimi del risultato e anche molto orgogliosi di averli avuti nel nostro dischetto.

Pensandoci bene, un titolo come “Musicomio” mi sembra ricalcare il vostro pensiero nei confronti della discografia, quasi come fosse un rifugio per matti…
Eh sì! Non possiamo che essere tutti matti per fare tutto questo… Magari se non avevamo la musica, se io te non stavamo facendo quest’intervista, se non ci incontriamo tutti al Mei o al Mi Ami, eravamo a spendere un sacco di soldi da qualche psicologo… La musica ci appartiene e quando si prova l’ebbrezza di conoscerla e capirla, in qualsivoglia forma, non te ne puoi liberare, se no impazzisci davvero!

Il dopo Rosaluna è già cominciato con i Sazizz Trio e altri progetti. Ma tornerete prima o poi?
Non credo… I Rosaluna non torneranno con un nuovo album, non utilizzeremo più questo nome, è una storia finita. Però Marco, Giuseppe, Manuel e Pasqualino non staranno certo fermi… Credo e spero vivamente che presto qualcosa di simile ai Rosaluna nascerà di nuovo, anche se con un altro nome…

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L'articolo Rosaluna - e-mail, 02-06-2006 di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2006-08-11 00:00:00

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