Risponde Alberto De Grandis, batterista e compositore dei D.F.A.
Rockit: Come altri ensemble italiani, avete una buona gavetta alle spalle, costruita con sacrificio attorno ad un genere che raramente concede soddisfazioni di tipo monetario. Premesso questo, cosa vi ha portato a scegliere la pubblicazione di un terzo album e perché proprio il live “Work In Progress Live At Nearfest 2000”?
D.F.A.: Il terzo album live era una cosa di cui parlavamo già da un po’ di tempo. Si parlava di un possibile concerto al NearFest in America e sembrava l’occasione migliore… peraltro ci avrebbero dato le registrazioni, traccia per traccia. Comunque sia, il tutto è nato come uno sfizio nostro. Dopo è arrivato Leonardo che è stato determinante …
Rockit: Leonardo Pavkovic della Moonjune records di N.Y.? E’ stato un caso, dunque, l’incontro con lui!
D.F.A.: Sì, sì, sì, un caso! Ha già prodotto noi, i Finisterre, ed Elton Dean, il sassfosonista dei Soft Machine.
Con noi è successo così: mentre eravamo al NearFest, è venuto al nostro banchettino dove stavamo vendendo i CD; si è presentato e abbiamo parlato (era l’unico che parlava italiano), poi ci ha invitato nel suo studio grafico e pian piano è nato anche un ottimo feeling. Leonardo crede molto in noi, ha molti progetti e per questo ci troviamo bene.
Rockit: Avete già in mente quando uscirà l’album nuovo?
D.F.A.: Speriamo di avere il materiale pronto per fine anno. Poi si potrebbe andare in studio o iniziare a lavorarcelo noi, con nostre macchine. L’idea è di arrangiarci il più possibile e arrivare in studio per completare solo qualcosa … che so, il basso e la batteria.
Rockit: Ora, invece, parliamo del live. Ascoltando il cd, si direbbe che il pubblico del NearFest americano vi ha tributato un successo, forse inaspettato. Come vi spiegate questo interesse nei vostri confronti e, più in generale, nei confronti di questa musica italiana?
D.F.A.: Banco del Mutuo Soccorso e Area, ma soprattutto la Premiata Forneria Marconi, hanno lasciato un gran segno in America negli anni addietro. In tutto il continente, più che in ogni altra parte del mondo, la tradizione del prog italiano è esaltata ai massimi livelli. Hanno molto fiducia dei musicisti italiani, dei grandi cantanti e dei grandi tastieristi, soprattutto. Per cui c’era grande attesa anche per noi; Rob Laduca, il leader organizzatore del NearFest, continuava a scriverci dicendo che eravamo attesissimi, che si aspettava solo noi, che si faceva un gran parlare dei D.F.A. italian prog band!. Loro sono molto esterofili e soprattutto sui gruppi italiani hanno molto interesse perché c’è una grande tradizione.
Rockit: Soprattutto per la tradizione… o solo per quella? Oppure c’è anche fiducia nel prog italiano del giorno d’oggi?
D.F.A.: La maggior parte della gente è più nostalgica, legata a Banco del Mutuo Soccorso e P.F.M., però, tra coloro con cui abbiamo interagito, c’erano delle persone che hanno detto: “Finalmente un gruppo italiano che fa qualcosa di diverso, di nuovo”. E’ stata una grande soddisfazione per noi, soprattutto vedere tanti cinquantacinquenni con figlio al seguito e maglietta della P.F.M. essere contenti di sentire prog nuovo.
Rockit: Dallo stesso concerto al NearFest sono stati presi sei brani, interamente composti da voi, con una ricerca armonico-ritmica di disarmante bellezza. Soprattutto soluzioni e sonorità che si discostano dal genere più classico. Un nuovo punto di vista? Il tentativo di svecchiare e ricostruire uno stile obsoleto?
D.F.A.: Sì, possiamo dire un nuovo punto di vista. Va detto però che non cerchiamo un messaggio profondo da dare. Vogliamo godere della funzionalità tecnica, ritmico-armonica del brano, in maniera tale che piaccia prima di tutto a noi, ci faccia vibrare perché il brano è costruito bene. Non c’è una ricerca ossessiva del significato spirituale o filosofico.
Per quanto riguarda lo svecchiamento di uno stile obsoleto, posso dire con sicurezza che non c’è nessun tentativo di questo tipo da parte nostra… ed è forse la nostra fortuna. Quando componiamo o suoniamo, non guardiamo ad un pezzo dei King Crimson o ad un pezzo dei Gentle Giant cercando di imitarli … è venuto naturale dagli altri, poi, dire “ah, questo sembra a quello o a quell’altro”. Capita, è ovvio, quando ascolti un certo tipo di musica.
Rockit: Alcuni vostri brani sono schizofrenici, presentano repentini cambi di visuale, come nel “Ragno”. Ascoltando l’onomatopeica tastiera d’inizio, sembra di vedere l’animale attendere la preda. Quando la preda rimane invischiata nella tela del ragno, la telecamera si sposta negli occhi del malcapitato di turno fino al suo tragico epilogo. Poi di nuovo si torna al ragno, sazio e soddisfatto. Come vedete questa interpretazione? Solo visioni di un maniaco della metafora, oppure costruzione, architettura musicale voluta?
D.F.A.: Come ti dicevo prima, non andiamo molto alla ricerca del significato della canzone ma in certi casi, indubbiamente, alcune immagini si affacciano alla mente. Nel caso del “Ragno” la canzone è nata da un tema mio che avevo fatto al sequencer. Suonando la base ritmica su quel tema, c’era come l’impressione della tela del ragno. Diciamo che la storia l’hai finita tu … forse non l’avevamo pensata così, comunque hai ragione, vince il ragno. Riascoltando la canzone calza a pennello la tua interpretazione.
Un’architettura musicale decisamente più voluta è quella di “Trip On Metrò”; in quel caso mi sono proprio immaginato un viaggio di un personaggio allucinato dall’LSD. Per cui ci sono le visioni distorte del personaggio e in alcuni punti si è cercato di ricreare la situazione, qindi gli incastri ritmici danno l’idea del mondo che gira al doppio della velocità.
Un’altra canzone in cui l’architettura della canzone rispecchia il significato è “La Via”: anche qui il testo ha un suo parallelo nella musica.
Rockit: A proposito di testi:. non credi che per la vostra musica i testi siano superflui.
D.F.A.: Altri ci hanno detto che potremmo fare a meno di cantare perché la musica parla da sola. In particolare, alcuni di noi premevano per metter un testo e anche se all’inizio eravamo scettici, oggi abbiamo rivalutato la parti cantate e ancor di più la voce come strumento. Alcuni testi sono più propriamente progressive, nostalgici come “La via” o “Pantera”...
“Caleidoscopio”, invece, è un testo più diretto, parla di una serata un po’ allucinata, ai confini della realtà che abbiamo passato con una persona, a casa sua … una sorta di viaggio in un caleidoscopio. Alcune liriche, quindi, hanno poco a che fare con il prog in senso stretto. Per quanto riguarda le parole, infatti, stiamo cercando di allontanarci dagli stilemi più cari al progressive. Ti anticipo, invece, che Leonardo sta spingendo per far arrivare un quinto D.F.A. alla voce. Ci ha fatto un paio di nomi e ora decideremo sul da farsi.
Rockit: Che tipo di cantante … un cantante progressive?
D.F.A.: No, no, no! Non lo vogliamo prog, assolutamente. I cantanti progressive che girano sono tutti in stile Marillion, Genesis … e neppure un cantante simile a Dream Teather o comunque prog metal… non una voce che irrompe… una voce equilibrata, poetica magari ma non scontata.
Dobbiamo trovare qualcuno che posso veramente migliorare la nostra musica.
Rockit: Un altro vostro brano, contenuto in “Work In Progress live” si intitola “Escher”. E’ realmente dedicata al sommo maestro dell’inganno visivo? Vi riconoscete nel suo stile? Oppure è una coincidenza?
D.F.A.: Il titolo è stata una conseguenza della musica che è nata per prima. Il tema principale è in 9/16, interpretato in due maniera differenti, una volta terzinato, una volta dritto. Mi sembrava di vedere un quadro di Escher, in cui mettendo a fuoco si vedono prima tutti pesci, poi mettendo a fuoco in altra maniera si vedevano tutti uccelli. Il brano si è sviluppato ma l’idea di base era quella, la doppia interpretazione di un tempo.
Rockit: La vostra musica presenta sprazzi di fusion niente male. E’ corretto dire che nel primo album, “Lavori in corso”, eravate più progressive, mentre ora, prima con “Duty Free Area” e poi con “Work In Progress”, vi state spostando più verso la fusion vera e propria?
D.F.A.: Siamo una cosa diversa … La fusion è un genere catalogabile con Chick Corea negli anni ’80, Omar Hakim, Weather Report. Noi non siamo neanche in grado di fare la fusion perché la suonano musicisti tecnicamente molto più bravi di noi. Forse è più corretto parlare di jazz-rock per i D.F.A.; noi stiamo più verso il rock, la fusion più verso il jazz.
Semmai, a noi piacerebbe fare un jazz-rock più vicino a certi ambienti in stile Hatfield & The North… ecco, in questo caso riesumare un po’ gli anni ’70, ma come strutture e armonia. Le sonorità, poi, ce le facciamo noi. Loro facevano delle cose col rhodes, con la chitarra pulita, col phaser… con degli ambienti morbidissimi, molto belli. Gli Heatfield li abbiamo scoperti tardi, circa tre anni fa. Potrebbe esserci qualcosa nel terzo disco, anche di armonia in senso stretto.
Rockit: King Crimson e Gentle Giant sono, dunque archiviati?
D.F.A.: I Gentle Giant non moriranno mai. Gli incastri ritmici ci saranno sempre. E’ il nostro forte, non dobbiamo abbandonarlo. Partire un po’ nevrotici ogni tanto, per poi distendersi aumenta l’adrenalina.
Rockit: Allora è più giusto considerare “Work In Progress” come una alternativa del progressive più calato nel nostro tempo?
D.F.A.: Io penso piuttosto che sia un disco di passaggio, un album che segna una nostra epoca, dal ’90 ad oggi. A tutti, ora, piacerebbe fare l’album della svolta, sempre sulla rinnovata sonorità di Duty Free Area, ma con lo sguardo proiettato più avanti. Il prog. anni ’70 è definitivamente alle spalle. Con Leonardo ci diciamo spesso di fare un genere che sia jazz, funk, rock, spacey, pop, … un qualcosa di molto contaminato. Soprattutto io, ti anticipo, vorrei fare qualcosa di etno, usando dei campioni, facendo delle collaborazioni con musicisti sardi per una produzione in acustico. E tornare, anche ai vecchi Fender Rhodes, corredandoli di sequenze di batterie elettroniche, jungle, ecc … Anche e soprattutto la registrazione molto curata, che arrivi in faccia, in analogico e con una dinamica spaventosa. Un’AAD, diciamo (A=registrazione in analogico, A=missaggio in analogico, D=editing in digitale). Ci teniamo particolarmente alla registrazione, perché per i precedenti tre lavori non siamo stati soddisfatti appieno e vogliamo rifarci.
Rockit: Una curiosità. Considero, “Space Ace Man” una dei vostri brani più interessanti ma, raramente, è in scaletta. Perché?”
D.F.A. Con “Space Ace Man” abbiamo aperto il concerto al ThunderRoad di Codevilla. L’abbiamo suonata male. Probabilmente la metteremo. In America, senz’altro.
Rockit: America? Il tour che era stato annullato a settembre?
D.F.A.: Esatto. Andiamo dall’1 al 10 marzo. E’ confermato come data di partenza e di ritorno. Dovremmo essere il 2 a Baltimora, il 3 a Philadelphia, il 4 a Pittsburgh … o una cosa del genere. Poi ci spostiamo a Mexicali, vicino a Los Angeles e facciamo il Baja Prog. Che è un superfestival all’aperto con due palchi.
Rockit: “Trip On Metrò”, non manca mai nei vostri live. Tu stesso, in occasione di un concerto, riguardo questo brano, avevi detto: “un brano che abbiamo composto quando eravamo più indisciplinati”. Effettivamente il pezzo in questione è davvero cervellotico. Quanto siete cambiati da allora?
D.F.A.: Un pezzo come “Trip On Metrò”, penso, non lo metteremo mai più in un nostro disco. Quel brano era un po’ una voglia mia, non tanto di strafare, quanto di vedere fino a che punto poteva esserci della pazzia nel comporre un brano. Anche per un discorso di ricerca tecnica, di mia interpretazione della batteria. Poteva essere un pezzo che poteva sfociare in uno studio, in un’esperienza anche individuale: ognuno di noi doveva cercare di ascoltare gli incastri degli altri, fare tempi serrati … mettersi alla prova, insomma! Ci è servito, comunque, perché ci ha sgrezzato a livello tecnico. E’ stata una buona palestra, ma soprattutto divertente, ecco. Penso la suoneremo sempre, anche perché la gente rimane sbalordita quando la suoniamo. In America, in particolare.
Rockit: Abbiamo appena parlato di composizione. Cosa c’è di gruppo nelle canzoni e cosa c’è di tuo e di Alberto Bonomi (l’altro compositore e tastierista del gruppo) nelle canzoni? Cioè, in quale misura il compositore è il compositore e il gruppo l’arrangiatore. In quale misura la composizione è di gruppo?
D.F.A.: Questa è una domanda intelligente … cioè anche le altre (risata di entrambi …) … questa non me l’aveva mai fatta nessuno. In generale siamo più compositori io e Alberto Bonomi, come c’è scritto anche nei dischi. Le idee principali sono nostre, e poi vengono sottoposte all’arrangiamento di tutti e quattro, compreso il chitarrista Silvio Minella e il bassista Luca ‘Baldo’ Baldassari. Io, per esempio, sono sempre stato molto attento a quello che dice il Baldo. A volte gli faccio sentire una soluzione e mi dice che non funzionava … magari non mi sa dire il perché subito. Il giorno dopo, poi, mi spiega il perché e la motivazione è sempre valida, mi dà una buona impressione … i motivi, per tutti, non sono mai dei capricci del tipo “no è brutta” o “no, non mi piace”. Il Baldo, secondo me, ha un grande gusto, sa apprezzare le cose interessanti, le idee. Diciamo che il Baldo e Silvio hanno sempre completato in maniera perfetta, anche con loro giri o riff, le nostre idee. In altre canzoni, poi, ci hanno messo poco o niente, accettando le nostre soluzioni.
Rockit: E ora una domanda da molto più di un milione di euro. Perché band a cui siete stai nel tempo paragonati (Ozric Tentacles, Porcupine Tree, etc.…) vendono e voi, coccolati dalla critica di mezzo mondo, no?
D.F.A.: Diciamo che siamo nuovi, è da poco che siamo nel sistema delle vendite. Si, siamo coccolati e questo mi fa piacere ma non so fino a che punto queste coccole si trasformino in un successo di vendite. Ho letto tante recensioni in questo mese come mai ne ho lette nella mia vita. Quello che hanno scritto del demo, del primo disco e del secondo disco è una millesima parte rispetto a quello che hanno scritto negli ultimi sei mesi. Arrivano recensioni da Israele, Russia, Portogallo, da tutto il mondo. Il merito va senz’altro a Leonardo. Secondo me, quando hai un prodotto in cui credi, è giusto bussare a tutte le porte. Tantissimi sono stati anche i privati che ci hanno dato contattato direttamente, dandoci una carica incredibile e la voglia di spaccarci per fare il terzo disco.
Rockit: Secondo te, con la promozione giusta, la casa discografica giusta si riesce ad arrivare a quello che è il successo, anche underground?
D.F.A.: Si, guarda … non pongo limiti al fatto vendite. Non vogliamo, comunque, pensare al traguardo monetario o alla vendita in quantità, è sbagliato. Preferiamo godere della nostra musica o goderci un’eventuale sorpresa derivante dalle vendite. Fare il terzo disco, comunque, potrebbe essere una bella mossa di marketing.
Rockit: Guardando un po’ al resto della musica, conosci qualche gruppo nuovo e interessante?
D.FA.: Questa è una domanda che mi ha fatto anche un altro giornalista. Noi abbiamo il difetto/pregio di non ascoltare molti gruppi, soprattutto prog. Non ascoltiamo quasi niente, perché molti nuovi gruppi, musicalmente, sono tutti un po’ un rimescolamento di Area, Banco, P.F.M., con testi che saranno anche più belli dei nostri, ma parlano di gnomi, torre dell’alchimista, di fate, di gufi! Temi cari al progressive che non ci appartengono.
Secondo me quelli che fanno prog dovrebbero aprire un po’ la mente… non dico fare qualcosa di nuovo, anche magari usare quei suoni, ma sfruttarli per delle composizioni un po’ più personali. Ci sono, invece, quelli che imitano gli Emerson Lake & Palmer, con un tastierista sputato, impressionante, perfetto, velocissimo …
Non so, mi sembra che ci siano gruppi troppo legati a dei miti. Siamo nel 2002, insomma, bisognerebbe fare qualcosa di più nuovo e guardare anche a livello internazionale!
Noi non ci sentiamo prog, non perché ce lo imponiamo, proprio perché ci teniamo di più a fare la nostra musica, senza andare a prendere alcun esempio.
Se guardiamo, ci sono tantissimi musicisti validi in giro. Io personalmente sono particolarmente colpito da alcuni brani pop molto funzionali … c’è della furbizia sotto, sono pezzi vincenti … tipo TiroMancino, Carmen Consoli. Mi piace la classe che hanno certi pezzi pop, certi gruppi... anche i Radiohead ad esempio!
Ecco, casomai nel nostro terzo disco potrebbe esserci qualcosa più pop che fusion. Se poi c’è un cantante che collabora …
Rockit: Salutaci in questo modo: cosa stai ascoltando?
D.F.A.: Mamma mia, non dovrei neanche pensarci, dovrei risponderti d botto. Allora… in macchina ho “Vespertine” di Bjork, Noa, Brian Blade FellowShip e Action Figure Party, una sorta di cocktail di musicisti. Per finire Tommy Emmanuel (risate).
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L'articolo Duty Free Area (DFA) - e-mail, 03-01-2002 di Fabio Fila è apparso su Rockit.it il 2002-01-28 00:00:00
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