Chiacchierata telematica con Michele Anelli, mente dei Groovers. Al solito, lucido nell’analisi, a dirci di una scena blue collar - roots (che non c’è), del suo ultimo album, ed anche disposto a togliersi qualche sassolino che giaceva in una scarpa. Umile e al contempo forte di un’esperienza pluriennale, Michele, e quella dei Groovers, è una storia lunga, varia e marchiata a fuoco da un’innegabile, massiccia dose di passione: una storia di quelle che piacciono a noi, insomma…
Rockit: Anzitutto, assicuraci sul fatto che con questo titolo volevi dire: “questo è tutto, ecco ciò che siamo” e non “questo è tutto, la storia finisce qui”!!!
Groovers: La storia non finisce, il titolo è ironico. Ho tre figli. I due più grandi tempo fa mi chiesero perché alla fine dei cartoni Warner compare sempre la scritta ‘questo è tutto gente!!’, salvo poi continuare all’infinito. E’ il punto della situazione di questa band attiva fin dal 1989. Una band che subito nei primi anni è uscita con 45 giri, tapes, compilation, cd e che spero possa continuare per molto tempo ancora. Ci stiamo divertendo come nei primi anni. Questo è un buon segnale. Almeno per noi.
Rockit: Tutto l’album ha una veste abbastanza “dimessa”: perché hai privilegiato i sussurri piuttosto che qualche urlo, cosa che invece accadeva in passato? …hai ancora voglia di darci dentro con l’overdrive?
Groovers: Nel momento in cui si decise di fare un nuovo disco eravamo rimasti in due. Io e Paolo. Fino al 1996, per alcuni anni, la band ruotava su cinque persone che con un numero incredibile di concerti aveva affinato il proprio stile. Ma come tutte le più belle storie qualcosa cominciò a non funzionare e senza alcun attrito ci separammo. Così da allora abbiamo cambiato un numero notevole di persone. Cosa che prima del 1992 accadeva già. I Groovers hanno avuto una formazione stabile solo tra il 92 e il 96. Per il resto era un via e vai di gente. Gli ultimi poi sono stati una delusione cocente. Abbiamo inserito parecchi giovani ma poco inclini ai sacrifici e agli sbattimenti.
Il “tutto subito” è una favola per pochi… Questa premessa, per dirti che siamo andati in studio con il proposito di non formare più una band legata da particolari vincoli ma chiedere la collaborazione per alcuni periodi a chi ci piaceva. Pertanto la prima idea è stata quella di pensare al disco per la prima volta come un lavoro da studio: questa volta non doveva essere necessariamente registrato live. Penso che al quarto disco una band si possa concedere una riflessione musicale diversa. Io personalmente avevo bisogno di nuovi stimoli, sempre all’interno dei nostri confini, ma qualcosa di diverso. Non sento il bisogno di ribadire che siamo una R’n’R band. E’ una cosa ovvia. A volte il sussurro può essere più potente dell’urlo. Dipende dall’effetto che provoca. Spero sempre positivo, e se a qualcuno provoca il vomito pazienza …userà il cd come freesbee. Noi in questo modo abbiamo avuto la possibilità di divertirci due volte. Prima in studio e poi preparando i brani per i concerti. E ti assicuro che l’overdrive lo uso. Anzi ne uso due ….
Rockit: L’album, è stato anche accusato di essere un po’ monotono, o comunque con brani eccessivamente omogenei… d’altro canto, prima ancora di te, ribatterei dicendo che le canzoni, forse anche proprio per la loro breve durata, sono ben “messe a fuoco” e prive di inutili orpelli, essenziali e ridotte all’osso. Com’è cambiata, come si è evoluta la tua scrittura?
Groovers: La pausa che mi sono concesso dai Groovers per un paio d’anni mi ha aiutato ad affinare meglio quello che volevo fare. La sfida è stata quella di non pensare più alla classica struttura dei brani (strofa/rit/strofa/rit/bridge ecc.). La canzone doveva funzionare anche senza riempitivi. Abbiamo eliminato tutto quello che si poteva: intro, finali, assoli ecc. e ci siamo concentrati sulla canzone. La voce ed intorno gli strumenti. La stessa struttura non è sempre regolare. Ascoltando i brani composti dai Wilco e dagli Eeels ho visto che i soliti accordi possono dare nuove sonorità, nuove emozioni. Per me così è stato e spero anche per chi i brani li ascolta.
Rockit: Come scrivi? Quanto durano i tuoi “parti”?
Groovers: Non sono un tipo organizzato molto bene. Scrivo molto, ma in modo disordinato. Poi ho sempre bisogno di un periodo dove riorganizzarmi le idee. Ultimamente preferisco partire dai testi ma molte volte trovo melodie che poi cerco di sfruttare con le cose che ho scritto. Mentre compongo penso a come poter registrare il brano o quale sonorità poter adottare. Poi magari prendo un’altra strada. Lascio molto al feeling che ho al momento della stesura finale. I momenti migliori dove le idee funzionano meglio sono comunque i giorni di pioggia, non a caso il disco del ‘97 si intitolava “September Rain”…
Rockit: Non ti manca la band, la jam, il far casino in gruppo, non ti piacerebbe che “Groovers” fosse il marchio di un insieme di persone invece che il progetto di un duo?
Groovers: Come ti dicevo prima, essere un duo è il risultato di ciò che in questi anni abbiamo vissuto. Nella band oggi abbiamo due cari amici, al basso, Evasio Muraro, ex-Settore Out e con me nel progetto Flamingo, e alla batteria Antonio Guida, veramente un gran batterista. Sono gli stessi che hanno partecipato al disco ma non necessariamente sono obbligati a far parte della band. Loro sono liberi con i loro progetti. Siamo tutti over 30 (anche 35 …) e tutti abbiamo provato a campare di musica per almeno un paio di anni. Abbiamo storie simili, Evasio aveva già suonato con i Groovers all’inizio degli anni ’90. Dal vivo ci stiamo divertendo un casino facendo anche un gran casino. E’ stato divertente riarrangiare i brani dell’ultimo disco ma anche quelli vecchi, soprattutto quelli che avevano più affinità con le sonorità dei Groovers di oggi.
Rockit: Ho avuto modo di intervistare e conoscere i Cheap Wine, da più parti additati come ipotetici “compagni” di una scena a voi comune (assieme a Mosquitos, Sagrada Familia e chissà quante altre bands che ora mi sfuggono): ecco, ti assicuro che la tua frase: “Molte sono le riviste che si occupano di questo genere ma principalmente guardano solo dall'altra parte dell'oceano. Spero in futuro di essere smentito.” suona quasi identica a quello che mi diceva Marco Diamantini: è come se vi sentiste pronti per un salto, come se sapeste di avere dei grandi numeri e nulla da invidiare agli americani, però…
Ecco, però cosa? Cosa manca? Cosa (non) succede?
Groovers: Manca il coraggio di presentare la scena roots e blue collar italiana come una vera scena. Non si può continuare all’infinito a pensare che dopo i bravissimi Rocking Chairs non ci sia più nulla o quasi. Non siamo tanti ma da quello che scrivono su di noi chi più chi meno abbiamo raggiunto tutti dei risultanti interessanti. E’ vero che di esordienti nel nostro genere pare che non ce ne siano - viste anche le nominations di Fuori dal Mucchio - però quello che è certo è che ci sono bands che si danno da fare per tenere alta l’attenzione. Anni fa giravamo praticamente gratis per quelli della Only A Hobo e inoltre prestavamo la strumentazione agli americani!! Gente come Tom Ovans, Ghosthouse, Loose Diamonds ed altri ancora hanno suonato con i nostri ampli e batteria, e da loro come da Dan Stuart che ci ha visti dal vivo abbiamo ricevuto molti complimenti per il sound e lo stile. Dagli organizzatori un bel calcio in culo, ostacolandoci persino dove alcuni gli hanno chiesto di far suonare anche noi (è successo al Renfe di Ferrara). Infatti dopo quell’episodio abbiamo rotto ogni rapporto con loro. Abitiamo a due passi ma darti una mano zero. Ecco cosa succede o cosa è successo. Invidie, gelosie, scazzi, esterofilia: questa è la scena roots e blue collar italiana.
Rockit: Che chitarre ed ampli usi?
Groovers: Uso solo Telecaster. Ne ho due, per ora, una Fender del 1967 e una Squire degli anni ‘70 assemblata in Giappone ma con le meccaniche USA. Dal vivo le alterno a seconda dei brani. Come ampli ho un Mesa Boogie Dual Caliber DC-3 e un Fender Bassman originale del 1967 (quello gigante per intenderci). Utilizzo poi una serie di pedalini Boss (Tremolo, Compressore e Dual Overdrive SD-2), un Danelectro come Echo stile ‘60 ed un altro tremolo Ibanez. Infine utilizzo anche il distorsore del Mesa. Invece come acustica uso una Takamine nera spalla mancante
Rockit: I testi sono davvero belli ("ogni notte rubano un po' dei nostri sogni / ma non sanno che di giorno / lavoriamo per averne di nuovi"), hai mai pensato di cimentarti con la lingua di Dante anche coi Groovers, oppure i Flamingo servivano proprio a questo?
Groovers: Ho sempre dato molta importanza ai testi. Da “Soul Street” in poi sono riuscito a concretizzare al meglio le idee. In italiano mi sono cimentato parecchie volte: la più concreta è stata l’esperienza dei Flamingo durante il 1999. Era una band nata da un’idea mia e di Evasio Muraro. Con lui avevo iniziato un lavoro sui miei brani già dal 1996, poi l’anno scorso abbiamo deciso di formare un trio. Abbiamo fatto un mini-cd promozionale ed una serie di date. Rispetto a quando nella primavera abbiamo registrato i brani, negli ultimi mesi le cose cominciavano a girare bene, poi siamo rimasti senza batterista nonostante la formazione a tre doveva essere esente da rischi di questo tipo! Poi Evasio era preso dal suo lavoro solista e di comune accordo abbiamo deciso di terminare l’esperienza. Magari un giorno si proverà ancora. Ho scritto molti brani in italiano incentrati sul tema lavoro. Io e Paolo abbiamo preparato uno spettacolo acustico chiamato “Gioia e Rivoluzione” (da un brano degli Area) e portiamo in giro un po’ di brani italiani e non. Oltre ai miei brani, suoniamo Guthrie, Gang, Springsteen, Stormy Six, Creedence Clearwater Revival ed altri ancora.
Rockit: E adesso un po’ di cattiveria: trovo che fra le recensioni del vostro lavoro ci sia una citazione completamente a sproposito rispetto a voi e alla vostra musica: i Gomez, non credi?
E comunque, tutti si sono espressi in maniera piuttosto positiva: pare quasi che tu sia ‘coccolato’ dalla critica, salvo poi lamentarti che si guarda eccessivamente all’altra parte dell’oceano…
Groovers: Tranquillo, le domande cattive mi piacciono un casino anche perché sono quelle che ti danno la possibilità di spiegare certe scelte. Per quanto riguarda i Gomez penso che l’intento del recensore fosse quello di disegnare un confine entro i quali “That’s All Folks!!” si è mosso, laddove l’utilizzo di certe sonorità andava ai limiti del roots-rock. D’altronde questo disco ha dato spunto ai giornalisti per una serie di collegamenti impensabili durante la registrazione, da Lanegan a Trudell, dagli Eels allo Springsteen di Tom Joad, dai Grandaddy agli Uncle Tupelo.
Non so se i Groovers sono, come dici tu, ‘coccolati’. Ti assicuro che abbiamo preso anche dei sonori sberloni soprattutto da giornalisti che una volta erano nostri estimatori. In generale l’accoglienza è stata ottima. Forse l’unico rammarico è quando leggo che da noi vogliono sentire le chitarre che fanno casino, le urla ecc. ecc. Io penso che bisogna anche considerare le scelte ‘artistiche’ di chi scrive canzoni. Ci sono i perché di un risultato: non avevo voglia di ripetere un altro “September Rain”! Non aveva senso.
Il prossimo disco, chissà. La critica però esiste e, se in buonafede, è utile per vedere cose che dall’interno non riesci a vedere. Sono sempre molto critico sui miei lavori ed ascolto con piacere il pensiero degli altri. Ascolto sempre tutti ma non necessariamente mi devo per forza trovare d’accordo.
Rockit: Nell’intervista che hai rilasciato a Mucchio Selvaggio (n° 412) dici che speri che ci sia prima o poi un’etichetta che apprezzi il tuo lavoro al punto da pubblicarlo. Non si sta muovendo nulla in tal senso? Che etichetta italiana pensi possa essere o vorresti fosse interessata ai tuoi lavori?
Groovers: Un interesse c’era stato con il promo da parte della Beware, ma i tempi loro e i nostri non coincidevano. Mi piace registrare e nel giro di poco tempo vedere il lavoro in giro. Oggi sento più che mai la voglia di dedicarmi solamente all’aspetto musicale. Il tempo che assorbe la preparazione, la distribuzione, la rassegna stampa, gli invii ecc. tolgono un sacco di energia. A me interessa suonare e cantare, comporre, provare. Tutto ciò è stimolante. Forse per troppi anni ho dovuto dividermi su due fronti ed ora sento che l’unica cosa che veramente mi interessa è stare con una chitarra in mano. Mi fa stare bene.
Non so con quale etichetta mi piacerebbe lavorare; diciamo Beware e Gammapop, mi sembra che stiano lavorando bene. Alcuni dei gruppi che hanno in produzione sono veramente interessanti. Se poi si fa avanti qualcun'altra meglio. L’importante è che accada ….
Rockit: Ma allora… Fandango records in pratica è tua? E cos’è “L’Ernesto”? Una fanzine?
Groovers: Fandango sono sempre io! Negli anni ’80 Fandango era una fanzine, poi un’etichetta (all’attivo svariati tapes di gruppi della zona e non, compilation e un Lp di un musicista blues!). L’Ernesto è una rivista comunista. Era a Novara, adesso la stampano a Cremona ma la redazione è di Ancona.
Rockit: Come è la situazione dei concerti per voi? Sono in programma date anche all’estero? Che lavoro fai?
Groovers: Siamo partiti in tarda estate a provare e incominciamo ora. Non suoniamo più dove capita come anni fa. Valutiamo e cerchiamo posti dove la gente viene per ascoltare. Per l’estero stiamo aspettando la risposta per una distribuzione ed eventuali concerti in Spagna.
Per ora mi occupo dell’aspetto informatico (gestore di rete) degli uffici statali di Arona. Ho cambiato spesso lavoro e per un paio d’anni sono andato avanti a suonare e basta. Ora a fine mese qualcosa devo portare a casa. Siamo in tanti!!
Rockit: Un bilancio (necessariamente provvisorio) dopo la pubblicazione di “That’s all folks” e prospettive future.
Groovers: Con Vignola sul Mucchio si parlava di scollamento tra chi produce e scrive e chi ascolta e compra. In effetti devo dirti che la sorpresa più grossa è stata dai fan, da quelli che hanno acquistato il disco. Non ho mai avuto un consenso positivo ed unanime come in questo caso. Le vendite si stanno assestando su quelle di “Soul Street”, che è il nostro disco più venduto, più ancora di “September Rain”, nonostante certa critica l’aveva spinto in alto. “That’s All folks!!” è piaciuto di più agli ascoltatori che ai giornalisti!!
Stiamo facendo le prime date ma nel frattempo sto scrivendo nuovi brani. Ho già delle idee allo stato embrionale su come potrà essere il prossimo lavoro.
That’s All folks, ma… la storia continua!
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L'articolo The Groovers - e-mail, 21-10-2000 di Enrico Rigolin è apparso su Rockit.it il 2000-10-31 00:00:00
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