Gli Elton Junk, interessantissima band senese di stanza a Bologna, giungono alla prima intervista con Rockit, sulla scia della pubblicazione "ufficiale" del primo lavoro "Moods". Lavoro che, per inciso, risale ormai a tre anni orsono. Andrea Tabacco, voce - chitarra, e Marco Bianciardi, batteria - varie, ci spiegano cosa è successo nel frattempo: le varie vicissitudini legate alla pubblicazione del disco, nonchè tutto ciò che è necessario sapere di una band, a suo modo coraggiosa e dalle idee molto chiare.
“Moods” è di tre anni fa... ci spiegate cosa è successo nel frattempo, come mai vede la luce ufficiale solo ora?
M.: Non ne sappiamo molto neppure noi, purtroppo. Avevamo finito di registrare “Moods” nei primi giorni del 2001, e prima dell’estate arrivò la proposta da parte della Sottosopra Produzioni di stamparne 500 copie dividendo a metà le spese. La produzione fu molto lenta, le copie non furono pronte prima dell’anno successivo, e l’etichetta per più di una volta non pagò la consegna del pacco, che ritornò alla fine nei magazzini della fabbrica che aveva stampato e spedito i cd. Da quel momento in poi per più di due anni abbiamo ricevuto messaggi sempre più sporadici della Sottosopra che ci avvertiva ogni volta di un’uscita imminente (su internet si trovano ancora i loro comunicati stampa degli anni scorsi) che puntualmente veniva smentita dai fatti, messaggi che noi abbiamo poco a poco ignorato. Nessuno di noi credeva veramente più di vedere il disco fuori, finché alla fine del maggio scorso non ci arriva a casa una copia incellofanata di “Moods”. L’etichetta ci ha parlato di vari casini legali che ha dovuto affrontare durante gli anni, sembra legati a calunnie e sputtanamenti inventati di sana pianta da parte di vecchi soci e collaboratori che hanno compromesso la credibilità dell’etichetta, la quale si è così trovata isolata e senza più un soldo. La questione al momento ci disinteressa completamente e rimandiamo all’etichetta ogni spiegazione, visto che di questi casini per tre anni non c’è arrivata nessuna notizia. Siamo contenti che il cd alla fine sia uscito, soprattutto perché al momento rimane la nostra unica pubblicazione ufficiale; ma non neghiamo di essere molto imbarazzati nel seguirne adesso la promozione.
Che tipo di contratto avete con la “Sottosopra” e se posso chiederlo, che tipo di rapporto?
M.: Il contratto si chiudeva già nel 2002, e prevedeva solo la stampa dei cd, la promozione di questo e qualche concerto. I diritti sulla musica e sulle registrazioni sono tutti nostri. Il rapporto è cordiale, il gruppo e l’etichetta lavorano indipendentemente alla promozione del disco senza pestarsi i piedi tra loro.
Siete un gruppo impegnato ed estremamente attivo, che rapporto avete col teatro e con le arti figurative?
M.: Abbiamo lavorato in teatro con il regista Giuliano Lenzi a Siena, nel 2001 con “Weldon Rising” di Phillys Nagy per l'Accademia del Teatro Mortale, e nel 2002 con “La morte del cherubino”, una riduzione di Attilio Lolini per il teatro del raccontino omonimo di Franco Fortini, insieme a la LUT. Sono state due esperienze incredibili, molto diverse tra loro. In entrambi i casi abbiamo eseguito la musica dal vivo mescolandoci agli attori. “Weldon Rising” venne allestito nel parcheggio sotterraneo sotto la stazione ferroviaria, uno spazio enorme. Il pubblico circondava gli attori e la scena, noi circondavamo il pubblico, cercando di distrarlo e confonderlo con i suoni. Cacciavamo fuori note e rumori da chitarre acustiche e piccole percussioni a due centimetri dalle orecchie della gente, oppure correvamo come dei pazzi al buio per tutto il parcheggio, percuotendo i guardarail, le tubature di ferro sul soffitto o i timpani a decine e decine di metri di distanza dal pubblico. Personalmente non ricordo granché, eravamo tutti in trance in quel posto, più che uno spettacolo sembrava uno strano rituale collettivo. “La morte del cherubino” è stata diversa, avevamo composto una colonna sonora lunga quanto tutta la rappresentazione durante i lunghi mesi di prove dello spettacolo, eseguita dietro gli attori, quasi come parte della scenografia stessa. Abbiamo allestito dieci repliche al Santa Maria della Scala. Il risultato ha ricordato l’opera musicale, sembrava più un concerto recitato che uno spettacolo di teatro con musica. Le parole, gli eventi sonori, la recitazione, la musica, tutti gli elementi erano intimamente connessi tra di loro in un corpo unico. Per questo a molti lo spettacolo non è piaciuto, non era possibile valutare la recitazione indipendentemente dalla musica come è stato fatto.
A.: Trovo che l' esperienza con il teatro abbia in qualche modo permeato il processo creativo degli Eltons. Dopo "Weldon Rising" la nostra canzone ha acquistato dei nuovi tempi narrativi, e questo ci ha portato alla registrazione di "Piss OnA Dead Tree..." dove tutto è effettivamente più dilatato... Diciamo che la nostra musica ha sposato il teatro, per un po'. Quest'estate abbiamo suonato a Livorno con una coreografia di danza e anche quello è stato simpatico.
Lì, al contrario di ciò che succede nel teatro, era la musica a fare da base per ciò che accadeva in scena: mi sentivo un po’ un marionettista e un po' un juke box (del resto la ballerina era già uno spettacolo di per sé).
Sono un fumettista per ossessione, non sono molto produttivo, spesso le storie e i disegni escono più per necessità espressiva che per essere letti da un pubblico, ma esiste indubbiamente un legame tra il mio modo di scrivere le canzoni ed il fumetto, direi che vengono dallo stesso posto... è per questo che a chi compra il cd regalo a volte anche un disegno o una storia...
Si avvicina una nuova edizione del M.E.I. L'anno scorso avete scelto di non prenderne parte, essendo coinvolti nell'organizzazione del M.A.I., ripeterete l'esperienza quest'anno? Cos'è il M.A.I. e cosa non va al M.E.I. secondo voi?
A.: Non credo che ci sia niente di sbagliato nel M.E.I. La quantità di musica che si produce e si diffonde in Italia e nel mondo è aumentata esponenzialmente negli ultimissimi anni, e sono aumentati esponenzialmente anche i soggetti che lavorano a vario titolo nel campo della musica. E' naturale che questi soggetti si incontrino in qualche posto. Le etichette indipendenti Italiane stanno svolgendo in alcuni casi un lavoro egregio nella promozione dei propri gruppi, lasciando (per forza di cose) ai margini chi non rientri nelle politiche dell'etichetta. Non credo che ci sia protezionismo da parte di chi porta la propria etichetta al M.E.I, e mi sembrerebbe di scatenare una guerra fra poveri affermando il contrario. Credo, invece, che sia un imperativo morale, per chi non trova spazio nelle produzioni discografiche, il diffondere la propria musica con la stessa determinazione usando tutti i canali disponibili. Questo non prima però di essere stati i più spietati critici di se stessi, altrimenti si corre il rischio di saturare il mercato con musica di... In tal senso il M.A.I rappresentava per noi la scelta più coerente, essendo stati scottati dall'esperienza discografica, ma avendo allo stesso tempo ottenuto buoni risultati nell'autoproduzione e nell'autopromozione.
Personalmente trovo che sia necessario che si sviluppi al più presto un mondo parallelo a quello delle etichette, fatto da gruppi che diventano produttori di sé stessi, sfuggendo dalle logiche imposte dalle istituzioni, dalle pastoie di S.I.A.E. & c., e che soprattutto ribaltino il concetto di musicista comunemente inteso. Non è più il cd ad aprire la strada nella professione, ma piuttosto il cd diventa un complemento alle performance del gruppo. Bisogna conquistare il territorio, uscire nel mondo reale e soprattutto far uscire di casa la gente... far parlare la musica e diventare nuovamente menestrelli, in questo senso il rock può trovare nuova linfa vitale.
M.: In realtà non abbiamo mai preso parte ufficialmente al M.E.I., non abbiamo mai affittato un banchetto tanto per intenderci. Ci siamo capitati qualche volta a dare in giro i nostri cd, come mille altri gruppi, se riuscivamo a non pagare per intero l’ingresso. Al M.A.I. ci abbiamo solo suonato dal vivo l’anno scorso: l’organizzazione era del Capolinea, il centro sociale di Faenza. C’era una bellissima atmosfera, spero che la cosa possa svilupparsi, un’alternativa al M.E.I. è troppo necessaria. Non conosciamo granché la realtà del M.E.I., ci siamo sempre entrati in contatto in modo molto marginale, è difficile parlarne. E forse questo potrebbe essere uno dei problemi, nel senso che sembra essere un mondo chiuso in sé stesso, più interessato a confermare i risultati già ottenuti che a fabbricarne di nuovi: o fai già parte di quel mondo o vieni completamente ignorato, chiunque tu sia e qualsiasi tipo di musica tu faccia. Sembra quasi essere una questione di tipo politico, e la nascita del M.A.I. lo conferma, cercando di aggregare per via spontanea tutti quei musicisti, etichette ed editori che non hanno mai avuto le amicizie giuste per far parte della scena ufficiale e che stanno cercando nuove vie per far circolare l'arte. Purtroppo in Italia non ci sono molti soldi a disposizione dell’underground musicale, e c’è tutto l’interesse a mantenere ristretto il numero di persone che ottengono una fetta di torta, così da riempire di più le poche pance. Il risultato è che anche per questi motivi l’Italia continua a restare un paese musicalmente sottosviluppato: a pancia troppo piena non si suona granché bene...
Riascoltando la vostra ultima opera “ufficiale”, si nota una notevole maturazione sonora unita ad una serietà quasi cupa che vi allontana da “Moods”. Abbandonato del tutto il gusto per il divertissement? Che fine ha fatto “la tipa”, per esempio, Scalzata da “Calamita”?
M.: Più che di divertissement parlerei di ironia, intesa come compresenza di punti di vista diversi, e in questo senso una canzone come “Calamita” è un passo avanti a “La Tipa”. “Piss on a dead tree and watch it grow” è sicuramente più monolitico rispetto a “Moods”, anch'io credo come Andrea che sia stato il contatto con gli inferni teatrali a dilatare i tempi e le strutture in quel modo. Gli Elton Junk sono sempre stati un gruppo musicalmente inquieto, da disco a disco ma anche da canzone a canzone. Ciò che stiamo registrando in questi giorni si discosta sia da “Moods” che da “Piss…”.
Una mia curiosità: ho inserito il nome Jim Morrison in entrambe le recensioni uscite per rockit. Ho preso un granchio?
M.: In molti hanno associato gli Eltons ai Doors: è una cosa interessante. Personalmente adoro il loro primo disco. Andrea so che è andato ad ascoltarseli per la prima volta dopo che nelle recensioni hanno accostato la sua voce a quella di Morrison. Forse è un'influenza musicale inconscia.
A.: Non possiedo dischi di Doors, Einstürzende Neubauten o Bauhaus, pur essendo nomi che vengono fuori spesso nelle recensioni. E' chiaro che li conosco tutti per "cultura generale", ma forse nutro un po' di timore reverenziale nei loro confronti, lo stesso che provo nei confronti di Tenco o De André... prima di decidermi ad ascoltare Tom Waits o Nick Cave ci ho messo degli anni. Sono uno che macina lo stesso disco per mesi senza ascoltare altro.
A proposito di Einstürzende Neubauten: abitate stabilmente a Bologna, giusto? Eravate presenti al loro concerto al Teatro Delle Celebrazioni? Personalmente li trovai straordinari...
M.: Io li ho visti lo scorso marzo a Berlino, e devo dire purtroppo di averli sentiti più stanchi rispetto a quattro e passa anni fa, quando li vidi per la prima volta. Personalmente sono molto affezionato a loro, l’asse Neubauten - Bad Seeds negli ultimi venti anni è riuscita a spalancare non poche prospettive nel rock, e non credo ne siano ancora stati colti i veri insegnamenti. Fin dall’inizio anche le batterie degli Elton Junk sono state condite da percussioni metalliche, soprattutto perché non abbiamo mai avuto un quattrino per comprarci una batteria decente: ogni volta che si rompeva un piatto abbiamo rimediato con quello che capitava. Di piatti me n’è rimasto solo uno, infatti... So che anche loro avevano problemi simili agli inizi, per questo hanno iniziato a usare materiale da rimessa per costruirsi nuovi strumenti.
A.: Io sono stato a vederli quest'estate a Fano per la prima volta...uno spettacolo!
A proposito di Bologna: siete ancora legati al “Fioravanti”? È cambiato qualcosa nel rapporto tra i centri sociali e la (nuova) giunta?
A.: Siamo ancora molto legati all Ex-Mercato Ortofrutticolo di via Fioravanti 24 (XM24). Siamo entrati oramai quasi due anni fa proponendoci di ristrutturare quel che era rimasto della sala prove del centro. Il primo anno abbiamo costituito una sala prove aperta al pubblico a prezzi politici, ma il discorso si è rivelato fallimentare per il livello di entropia che si generava inevitabilmente dalla compresenza di molti gruppi. Abbiamo deciso così di limitare il numero di bands e formare il collettivo dei "Frigotecnici" (essendo la sala prove situata nella ex cella frigorifera dell'ex mercato ortofrutticolo ). Ad ora, oltre agli Eltons ne fan parte i Caboto, i Gay Camionero, i Vri-il, e i Salomè Lego's Playset.
Da quest'anno abbiamo iniziato l'organizzazione di live nella taverna del centro tutti i giovedì , ed al momento stanno dando ottimi risultati riscaldando l'atmosfera bolognese, dopo il trasferimento in periferia di realtà storiche come il Link ed il Livello 57.
Quello che rende il Fioravanti un posto unico è la grande onestà intellettuale di chi ne fa parte, tutti lavorano volontariamente non percependo compensi, ma ricevendo in cambio spazi e strumenti per sviluppare i propri interessi.
Credo che la nuova giunta non possa non tenere conto dell'unicità della funzione sociale rivestita da uno dei pochi posti rimasti a bologna dove è possibile fare politica, arte e cultura fuori da qualsiasi logica commerciale che non sia quella della sussistenza. In questo senso bisogna difendere il posto da chiunque veda gli spazi autogestiti come una possibile fonte di reddito.
Cosa farete dopo “Piss...”? In che direzione si stanno muovendo le vostre “ricerche sonore”?
M.: Siamo appena entrati in studio per registrare un EP con cinque pezzi nuovi di zecca. La produzione la cercheremo a registrazioni finite, speriamo di trovarla per i primi mesi dell’anno prossimo. “Piss..”, che finora è restato solo una demo anche se ha circolato in giro quasi più di "Moods", verrà pubblicato in rete nelle prossime settimane su Anomolo, un'etichetta no-copyright e no-profit. Per il resto non ci chiediamo mai in che direzione andremo, ci chiediamo solo che direzione abbiamo preso a cose già avvenute... per fortuna.
Inglese ed italiano continueranno a convivere nei vostri testi? Per molti quella del cantato in inglese è una questione cruciale e sembra quasi che solo da noi la cosa rappresenti un problema. Voi sembrate fregarvene altamente, come la vedete?
A.: Un giorno qualcuno mi spiegherà come si può avere il controllo su una canzone, ed i motivi per cui quella che ha deciso di uscire fuori in italiano dovrebbe essere censurata a favore di quella in inglese o viceversa. Credo che le liriche siano solo un elemento tra i tanti che vanno a comporre una "canzone", la quale (per il momento) rimane il soggetto della musica degli Elton Junk con buona pace di chiunque non sia d'accordo.
M.: Ci sono questioni molto più cruciali da affrontare in musica che non la scelta di una lingua in favore di un'altra. Inglese o italiano, strumentale o non strumentale, polka o rock, in ogni caso qualsiasi tipo di scelta fatta a priori risulta sbagliata. E' la musica che ti suona, non il contrario.
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L'articolo Elton Junk - e-mail, 25-11-2004 di Nicola Bonardi è apparso su Rockit.it il 2004-12-18 00:00:00
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