Mr.Henry - e-mail, 28-04-2006

Secondo capitolo della saga Mr. Henry, al secolo Enrico Mangione. “& the Hot Rats” è un disco diverso dall’esordio del 2003 (“Lazely go through…”), più vivace, meno monocorde. Quasi una trasformazione, arrivata senza nemmeno l’aiuto del pusher di turno. Come ci conferma lo stesso cantautore varesino in questa chiacchierata telematica.



Rispetto a “Lazely go through…” , “& the hot rats” apre nuovi orizzonti nella tua produzione. I pezzi sono meno narcolettici, c’è più vivacità. Avrai mica cambiato spacciatore?
A volte credo che il mio problema sia proprio il contrario, cioè che non ho mai avuto uno spacciatore! Mai ubriacato, mai drogato, mai nemmeno fumato canne o sigarette… Penso che il cambio sia dovuto al mutare di situazioni a me esterne.

Quale tipo di situazioni?
C’è stato un cambio di abitazione, una nuova situazione lavorativa, ho una band: insomma sono successe delle cose. E poi “Lazely go through…” fu scritto nel periodo di naja.

Ai tempi di “Lazely go through…” millantavi ispirazioni in arrivo da Tom Waits e Jeff Buckley. Chi ti ha accompagnato in questa nuova avventura?
Mah, direi ancora Tom Waits (che ormai chiamo zio Tom perché è diventato uno di famiglia, come lo zio Frank Zappa), Edgar Varese, White Stripes, Latin Playboys, The The, David Thomas & Two Pale Boys e chi più ne ha più ne metta!

Stavolta l’omaggio a Tom Waits, è riconoscibilissimo, basta ascoltare “No-sense # 91276”. Cos’è, vuoi arrivare a vendere quanto Vinicio Capossela?

Bhè, non ci sputerei sopra, ma più che una mossa commerciale era una sfida: potrei io scrivere come lui?

Lui chi? Waits o Capossela?
Tom Waits… con tutto il rispetto per Capossela!

Si sentono altri echi in arrivo da ogni dove, a un certo punto, in “No-sense # 555” la tua voce ricorda quella strascinata di Shane Mcgowan. Cos’hai ascoltato in questi anni?
Cacchio, i Pogues non me li sarei proprio aspettati, anche perché non li ascolto così tanto. Comunque io sono da sempre un ascoltatore onnivoro. Tra il 2003 e oggi ho ascoltato veramente di tutto: passata la sbornia per i cantautori, che comunque continuano a piacermi, ho scoperto l’elettronica (Kraftwerk, Neu, Silver Apples, The Books, Portishead…), l’indie, quello grezzo, il post-rock di Chicago e Louisville, sul quale ho fatto la tesi di laurea (Shellac, June of 44, Labradford, Tortoise ecc.), new wave, industrial e post-punk (Wire, Killing Joke, Fall, Siouxie, Throbbing Gristle’s, Current 93…) psichedelia malata anni ’60 (United States of .America sopra a tutti). Ora sto impazzendo per il jazz anni ’60 tipo Eric Dolphy, Coltrane, Cecil Taylor, Miles Davis. E poi Pan Sonic, Dj Shadow e Antony & The Johnsons.

Però c’è ancora qualcosa che rimanda al tuo primo disco, basta ascoltare “No-sense # 0”…
Sì, la melodia di “No-sense # 0” e anche un po’ la voce possono rimandare a “Lazely go through…” ma l’arrangiamento e la struttura del pezzo sono, per me, molto lontane, C’è un sacco di elettronica, di richiami alla contemporanea e alla musica concreta nel mezzo del brano, e poi, rispetto ai pezzi del primo disco, “No-Sense # 0” è molto più lungo e dilatata.

È cambiato qualche cosa nell’approccio alla sala di registrazione? Com’è andata questa volta?
Sì, è cambiato molto. Sono arrivato in studio con le idee molto più chiare, cono i pezzi già arrangiati e testati dal vivo. Volevo un impatto più fisico e al contempo molta più elettronica e molta più ricerca sui suoni, un prodotto più sporco e più vario. Gran parte dei pezzi li ho registrati da solo a casa, mentre dove erano necessari la batteria e il basso degli Hot Rats ho dovuto ricorrere all’aiuto di Andrea e Marco de “La Sauna”, perché a casa non avevo i mezzi per registrare una batteria o un basso a volumi sostenuti. In generale c’è stato un ritorno alle atmosfere del mio demo, da cui, oltretutto, ho ripescato un bel po’ di pezzi.

E l’esperienza dal vivo cosa ti ha insegnato?
Mi ha insegnato a “rocckare” molto di più, sennò la gente non ti ascolta! È allucinante che quando sali su un palco non sali per suonare i tuoi pezzi in tranquillità ma sei costretto a lottare dall’inizio alla fine con la maleducazione della gente! Se volete farvi i cavoli vostri uscite! Quante volte stai suonando un pezzo intimo tutto giocato sull’interpretazione e i silenzi e senti sotto la gente che ride… Quando Keith Jarrett pretende il silenzio assoluto per suonare sennò si alza e se ne va fa bene! Lui però può permetterselo perché è Keith Jarrett: se lo facessimo noi, oltre a provocare un invasione di palco e a essere assaliti da una folla inferocita (non ho mai capito perché per gli italiani il rispetto debba sempre essere unilaterale), dovremmo anche vedercela col gestore del locale! Morale della favola: se fai casino la gente ti ascolta con più attenzione e tu senti meno il loro brusio.

Quindi rimpiangi i tempi in cui suonavi Joe Satriani…
A livello di casino sì… sono sempre stato un po’ caciarone, d’altra parte è l’unica cosa per farsi rispettare.

Chi sono gli Hot Rats? Non pensi che abbiano una ragione sociale un po’ troppo impegnativa?
Gli Hot Rats che suonano nel disco sono Francesco Scalise e Paolo Grassi dei Midwest, ma dal vivo oggi suono da solo o con l’ex Palstik Andrea Borsetti al basso. Così, oltre ad acustica synth e drum machine, suono anche l’elettrica. Gli Hot Rats di oggi sono un po’ umani ed un po’ macchine… Il loro nome è impegnativo, è vero, ma ho ascoltato e adorato talmente tanto Zappa che lo trovo naturale, indica da dove vengo, da dove traggo ispirazione e quale sia il mio approccio. Anche quando ero un metallaro dedito allo “schitarramento” più tecnico possibile sono sempre stato un suo fanatico, è sempre stato il mio chiodo fisso, l’unica mia certezza musicale assoluta sin da quando avevo 14 anni. E' il mio modello di musicista e di artista! Forse anche più di Tom Waits
Ok, questa è una risposta possibile alla tua domanda, l’altra opzione, più da intellettualoide che se la mena e decisamente più criptica, se non ti avessi prima dato la risposta numero uno, potrebbe essere una citazione dai “Quattro Quartetti” di T.S. Eliot: “ In my beginning is my end”

Perché quei non titoli?
Dare titoli significa preannunciare all’ascoltatore di cosa il pezzo parli, in un certo senso influenza il suo ascolto. Secondo me si dà troppa importanza alle parole: chi se ne frega del significato dei testi delle canzoni! La maggior parte delle volte sono solo dei riempitivi, sono brutti, stupidi e strasentiti… Molto meglio allora cantare parole senza senso, senza voler dire niente e senza pretese di alcun genere. Chi compra un disco compra musica, non letteratura. Lasciamo i versi ai poeti, ai musicisti solo i… versacci!

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L'articolo Mr.Henry - e-mail, 28-04-2006 di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2006-05-31 00:00:00

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