Elephant Brain, EP auto-prodotto di quattro tracce uscito nel 2015, aveva riportato nell'underground italiano una sferzata emocore punkeggiante, che, da lì a breve, avrebbe fatto da apripista a numerosi spiriti affini ben più celebrati, dai Quercia ai Gomma, per citarne due a posteriori.
Con Niente di Speciale per Libellula Music, i perugini Elephant Brain – al debutto sulla lunga distanza – hanno davvero ricominciato da capo. Con tutta l'umiltà del caso, il nuovo EP non riprende neanche una traccia del primo Elephant Brain, edito su Fuori Produzioni. Questa volta con la supervisione del conterraneo Jacopo Gigliotti dei Fast Animals and Slow Kids – evidentemente attento a ciò che gli succede attorno – la band, tornata all'attivo dopo cinque anni, ci regala n(u)ove tracce. Quando dico ai ragazzi che "di tempo ne è passato", mi accorgo che non sto scoprendo l'America. Vincenzo e Andrea ci raccontano perchè.
Da quanto tempo lavorate a Niente di Speciale?
Vincenzo: Il tempo di gestazione di un elefante va dai 18 ai 22 mesi. Noi con questo disco siamo andati ben oltre. Abbiamo cominciato a lavorarci nel 2016 dopo le nostre prime date dall’uscita dell’EP e il tutto si è concluso con l’ultima take di Vincenzo presso lo studio di registrazione di Jacopo, i primi di ottobre del 2019. Facendo due conti siamo sui 36 mesi, giorno più giorno meno.
Andrea: Sono stati tre anni in cui è successo davvero di tutto: ci siamo visti fotografare con la corona d’alloro in testa, abbiamo vissuto dall’altra parte del mondo, abbiamo stipulato contratti di affitto e di lavoro. Insomma, tutti quei riti di passaggio che ci accomunano ai nostri coetanei. In tutto questo: la sala prove, due volte a settimana, dalle 21.
Vincenzo: Che non erano mai le 21!
Andrea: Un giorno ci chiamarono i carabinieri per il troppo rumore dopo la mezzanotte.
C'è unanimità quando decidete cosa va bene o no?
Vincenzo: Decisamente. Jac in tal senso è stato salvifico. Un giorno impostavamo un testo con la linea vocale e una determinata struttura e la volta dopo lo cestinavamo perché non ci girava bene, fino ad arrivare al paradosso con Scappare Sempre, la cui strofa ha avuto almeno 12 strofe diverse. Pura follia. Per fortuna Jac a una certa ha intuito che i pezzi potevano essere pronti e ci ha trascinati in studio, altrimenti è probabile che staremmo ancora a discutere su una parola o uno strumentale che non ci sembrava suonasse bene.
I brani del disco facevano già parte delle vostre scalette?
Andrea: In questi tre anni, nonostante il "ritiro" dalle scene, ci succedeva che a volte ci chiamassero per fare dei concerti che non ci andava di rifiutare. Per cui portavamo brani che consideravamo pronti in quel momento. A pensarci bene questo ci ha aiutato a fare una bella selezione, a capire quello che funzionava, sia per noi che per il pubblico. Sono brani più che vissuti, massacrati.
Vincenzo: Mai rifiutare un concerto! Un banco di prova che molti pezzi scritti in questi tre anni non hanno superato. Diversa, invece, fu la data a Le Mura di Roma nel marzo 2016, dove facemmo quasi un'ora di live suonando i pezzi dell’EP, tutti i pezzi che fino a quel momento ci convincevano. Fu una bomba di serata!
Con la vostra musica avete anticipato di mesi "stati d'animo da covid". Cosa ci dite di questo periodo storico?
Andrea: Pensiamo che i momenti storici difficilissimi come questo non fanno altro che alzare i contrasti. Siamo molto d’accordo con chi sostiene ad esempio che chi era una bella persona prima della pandemia, si è rivelata così anche dopo, se non di più e chi invece era una merda, tale è rimasta, se non è peggiorata. E così è stato anche con la musica. Per fare un esempio stupido, ma nemmeno troppo: una hit estiva, che nell’estate 2019 poteva fare schifo come pezzo, ma finiva lì, nel 2020 quella stessa canzone, il sole, il mare, bum bum, balliamo il reggae, mostra ancora di più con chiarezza il marcio di quel genere di musica.
Vincenzo: Generalizziamo e semplifichiamo, ma solo per capirci. Ribaltando questo esempio in positivo ci auguriamo che questo sia quanto successo alle nostre canzoni, che raccontano tutta la fatica di un cambiamento doloroso, ma inevitabile: la perdita, la rottura di legami che noi pensavamo indissolubili, la quotidianità di questi tre anni. Va Tutto Bene se prima era un'illusione, ora ci fa ancora più paura. Non per farsela prendere male, ci mancherebbe, carichi a pallettoni sempre, ma almeno avere consapevolezza di quello che succede intorno a noi: quello sì. Se le nostre canzoni in questo hanno aiutato anche una sola persona, ne siamo davvero orgogliosi.
Nei vostri testi, alcune frasi sono molto "letterarie": quali sono le vostre letture?
Vincenzo: Potremmo stare ore a parlarne. In questi mesi ci siamo trovati molto d’accordo sugli scrittori portoghesi. Saramago ad esempio è stata una lettura che abbiamo condiviso, in particolare il suo libro Cecità su tutti. Sempre di portoghesi c’è Antonio Lobo Antunez. Non aver mai letto In culo al mondo potrebbe essere considerato un crimine contro l’umanità.
Andrea: Cinque libri che in qualche modo hanno influito sulla nostra scrittura sono: Soffocare di Chuck Palahniuk – da cui ha preso il nome anche il nostro primo singolo –; Un po’ di febbre, del poeta perugino Sandro Penna, scrittore davvero immenso, che affronta il rapporto febbrile, l'urgenza della creazione artistica; Restiamo così quando ve ne andate, di Cristò, anche questo ripreso in un certo modo nel titolo in una canzone del disco; Gente Indipendente, di Halldor Laxness, la battaglia di un uomo contro l’inverno islandese, ripreso nella veste grafica; e poi La pioggia deve cadere, di Karl Ove Knausgaard, un norvegese mattissimo, che dopo anni ha capito che la storia più interessante da raccontare era la sua quotidiana lotta per diventare scrittore: in piccolo, la scelta che abbiamo fatto anche noi in questo disco.
Dai titoli delle vostre canzoni non si direbbe, ma in fondo non vi va così male?
Vincenzo: Il vero ottimista non è quello che vede tutto rose e fiori. Per noi l’unico modo per essere ottimisti, per ritrovare quel minimo di fiducia che ci serve per vivere, è vedere e riconoscere il nero, le difficoltà e tutto quello che dovrebbe abbatterci, affrontarlo e dirci "Ok, possiamo superarlo". Quando hai vicino a te delle persone con cui condividere tutto questo e tutte le cose brutte e belle, compresa la musica, ti senti davvero meglio. Forse è anche per questo che nelle foto ridiamo. Ma se l’ottimismo è quello del "va tutto bene" e basta, anche noi siamo privi di ottimismo e lo saremo sempre.
Come è arrivato il contratto per Libellula Music?
Vincenzo: Molto sinceramente se un’etichetta piuttosto inquadrata ci avesse proposto di investire su di noi, non ci avremmo pensato due volte. Tuttavia, non trovando accordi soddisfacenti abbiamo deciso di pagarci tutto da soli. Sembrerebbe molto romantico: ci vuole anche un discreto sadismo per mantenersi realmente indipendenti.
Andrea: Ci siamo trovati bene con lo staff di Libellula, ma al momento ci sentiamo spiriti liberi, disponibili a parlare con chiunque abbia voglia di sostenere il progetto.
Quali sono le vostre influenze?
Vincenzo: Le nostre influenze sono molto varie, anche perché siamo cinque persone con gusti abbastanza ampi. Per dire, una grandissima fonte di ispirazione nella scrittura e nella tematizzazione di Niente di speciale è sicuramente stato Niccolò Fabi, Una Somma di Piccole Cose sopra tutti.
Andrea: Ma il tutto mentre magari ci ascoltavamo i Touché Amoré, Pup, Mom Jeans, Sorority Noise e tutto quel mondo post-hardcore e emo statunitense.
Vincenzo: Sicuramente ad averci influenzato maggiormente sono esperienze maturate nel mondo musicale anglofono, sia indipendente che non.
Andrea: Sì, considera che il titolo di lavorazione di Scappare Sempre era Tiny, in onore dei Tiny Moving Parts.
Vincenzo: Che disco incredibile! Ma saremmo miopi – e Roberto, il nostro bassista, in effetti lo è – se non vedessimo che il rock italiano, inteso nell'accezione più estesa possibile, ci ha, volendo o non volendo, influenzato.
Vi sentite parte di qualcosa? Di una cosiddetta "scena"?
Vincenzo: Se è vero quanto diceva il buon Ian MacKaye, cioè che il punk è uno "spazio libero" a cui potresti dare virtualmente qualsiasi accezione – e se lo dice Ian Mackaye è senz’altro vero – non credo sia strano vedere gruppi con sonorità diverse spalleggiarsi e muoversi negli stessi ambienti. Crediamo sia tutta una questione di attitudine, in fondo. Detto questo, non pensiamo di poter parlare di scena per l'attuale situazione italiana. Ci sono delle bellissime realtà e anche noi abbiamo, negli anni, creato degli ottimi rapporti, ma non siamo sicuri ci sia al momento un qualcosa di cui sentirsi parte, musicalmente parlando. Forse lo stiamo costruendo tutti insieme.
Andrea: Ci sono sicuramente band che suonano e hanno qualcosa da dire e amici con cui si vuole condividere momenti ed esperienze, come quell’idolo di Gaspare de I Botanici, che è venuto a Perugia per registrare il video di Weekend con noi, oppure Endrigo, Gomma, Voina, Cara Calma che non sono riusciti a venire, ma gli si vuole bene lo stesso. Però crediamo sia quella profonda comunanza di intenti, che caratterizzava l’hc militante, a mancare.
Com'è la vita a Perugia per dei musicisti che bazzicano l'underground?
Andrea: È stato un percorso bizzarro, allo stesso tempo banale se vuoi. Abbiamo fatto le superiori insieme pur frequentando sezioni differenti e un giorno Giacomo, il nostro batterista, ci ha proposto di formare una band. Poi è arrivato Rob e li è iniziato il declino.
Vincenzo: A parte gli scherzi, tra di noi c'è sempre stata molta affinità. È veramente bello sapere di poter suonare senza prendersi a cazzotti da un momento all'altro.
Andrea: Sul discorso "vita da musicisti in Umbria" ci sarebbe da aprire una grande parentesi. Come in ogni città d'Italia, ma siamo dei romanticoni e vediamo Perugia come la città che musicalmente ci ha cresciuto. I nostri locali della vita saranno sempre qui e sarà sempre una bomba suonarci o anche semplicemente prenderci una birra ascoltando un concerto. Support your local hero, sempre!
Quanto amate, ancora, il supporto vinilico e/o in musicassetta?
Vincenzo: Essendo dei primi anni del 1990 siamo cresciuti tutti in quel periodo in cui i vinili e le cassette andavano piano piano scemando, dove il compact disc iniziava a diffondersi e a imporsi sul mercato come il supporto del futuro. Possiamo dire che quasi tutti siamo cresciuti con i vinili e le musicassette disseminate per la casa e tramandate da genitori o fratelli, che siamo amanti dei fruscii e della materialità che solo la musica analogica può darti. Però...
Andrea: Siamo tutti condizionati dall'epoca in cui viviamo e non ti sto a raccontare quante prove abbiamo fatto cercando di esportare pezzi per farli suonare bene sui telefonini, perchè ormai per tutti il primo ascolto si fa lì. Per quanto riguarda i vinili come diceva Neil Young: molte persone comprano i vinili e non si rendono conto che stanno ascoltando un master fatto per CD e poi stampato su vinile. Quindi, eccetto alcune edizioni particolari o stamperie serie, a meno che non ritorniamo con i vecchi strumenti analogici di registrazione sarà difficile ricreare quell'effetto di magia e calore che solo un vinile può darti. Nel nostro caso in particolare i master erano pronti anche per il vinile, ma avendo dovuto, ovviamente, cancellare tutte le date, alla fine ci siamo trovati senza soldi per la stampa.
Ce la faremo a sentirvi suonare il nuovo disco prima del 2021?
Vincenzo: Si spera, mai ci saremmo aspettati una pandemia mondiale! L’inizio del tour di questo disco è stato strano, due sole date e poi ci siamo visti annullare tutto. Oggettivamente brutto. Per il momento i prossimi appuntamenti son questi:
11 settembre // FERRARA – Suonacele in acustico – Circolo Black Star
12 settembre // PADOVA – Rise Festival
13 settembre // ROMA – Le Mura
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L'articolo Gli Elephant Brain ripartono da loro stessi, nel nome di Niccolò Fabi e Saramago di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2020-08-26 12:00:00
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