17, il primo album dell’inedita coppia formata da Jake La Furia ed Emis Killa, è il lavoro di due rapper “talmente arrivati” da potersi permettere l’esercizio di stile, tronfio di quell’attitudine hip-hop che non può che indurci a esclamare “certo che spaccano ancora”. Un lavoro che Emis definisce egoista perché al di fuori delle mode, basato esclusivamente sui gusti del duo, di difficile ascolto per i fan dell’ultima ora, un magnifico regalo per gli storici aficionados. “Ovviamente non mancheranno quelli che penseranno che abbiamo fatto un disco insieme per vendere più copie. La realtà è che siamo entrambi artisti abituati a stare nella Top 50. Un album del genere è un rischio, fossimo voluti entrare in classifica avremmo fatto un featuring, non 17”, ammette Jake.
Emis e Jake hanno dieci anni di differenza, ma entrambi provengono da una generazione in cui fare hip-hop aveva un significato diverso, un altro sapore. È sempre Jake a dire: “Trovo fantastico che un ragazzino possa vivere il sogno americano, ma questo sdoganamento del rap l’ha trasformato sempre più in una musica di moda allontanandolo dalla sua origine culturale. Io sono un artista, sono pagato per fare musica, non per fare il buffone su Instagram. Ai nostri tempi venivano giudicate le parole, l’immagine aveva sicuramente il suo peso, ma oggi anche un artista mediocre può far successo senza problemi”.
In questa metamorfosi in genere radiofonico e di successo, in questo sdoganamento del rap per il quale, nel nostro Paese, abbiamo atteso almeno tre lustri, Emis e Jake – massimi esponenti della storia dell’hip-hop tricolore – hanno svolto un ruolo da protagonisti. Diventare rapper nel 2020 non è più un’utopia, ma un luogo comune.
Alla domanda “avreste intrapreso lo stesso percorso anche oggi?”, Emis risponde con qualche titubanza. “L’impossibilità di realizzare questo sogno è stata il motore che ha mosso la mia determinazione, che mi ha spinto a spaccare. In un certo senso, sono stato uno dei primi nomi a fare rap al di fuori dei rapper, non mi vestivo da rapper, trattavo anche temi diversi, ma l’immaginario che mi affascinava era quello. Oggi il rap è sotto gli occhi di tutti, sicuramente ne sarei venuto a conoscenza, non sono sicuro che me ne sarei appassionato ugualmente”. Jake, invece, è molto più perentorio. “No, io non cambierei mai il mio passato. Vedo troppi artisti sparire nel corso di una stagione. È vero, oggi avremmo tutti la strada spianata. Non dico che ora posso vivere di rendita, ma il mio percorso è quello che mi ha reso immortale”.
Immortalità, forse il termine migliore per riassumere il senso di 17. La copertina ritrae Emis e Jake alla stregua del Napoleone dipinto da Jacques-Louis David, in sella a un cavallo, il codice dell’arte figurativa prestato a quello della strada: il monumento equestre, sin dagli antichi romani, ha rappresentato i grandi condottieri, siano questi sagaci generali o abili mc. Alle spalle, la Stazione Centrale in fiamme, si staglia come la cattedrale di Notre-Dame ne La Libertà che guida il popolo, nel contesto di uno scenario post apocalittico nel quale i due rapper sono gli ultimi sopravvissuti.
“Ognuno ha provato a dare la propria interpretazione. Non ci sono messaggi subliminali come nei loghi dei pacchetti delle sigarette. Il senso principale è che volevamo fare un gran casino. Uscire col botto”, ci spiega Emis. Invece Jake, sempre a proposito della copertina, ci regala un aneddoto: “Alla fine è andata abbastanza bene, nel senso che ne siamo usciti vivi e indenni sia noi che gli animali. In realtà i cavalli utilizzati erano troppo grandi per la nostra immagine, quindi la foto l’abbiamo fatta su cavalli veri, ma in postproduzione sono stati sostituiti con dei cavalli finti”.
Finti i cavalli, ma non i contenuti di un disco anticipato da un singolo, Maladrino, che lasciava presupporre al peggio, 17 non si limita a essere un back to the roots dovuto a una crisi di mezza età, quanto il lavoro di due uomini che si sono formati in quindici anni di gavetta nel mondo dell’hip-hop, una lezione di vita e di flow, capace di mixare momenti zarri, di puro infimo e graditissimo territorrial pissing, con brani profondi e sentiti del calibro di Quello che non ho e Amore Tossico, featuring di livello e due tracce soliste.
I due interpreti avevano già firmato diverse canzoni assieme (Di tutti i colori, Non è facile), ma non si erano mai approcciati a un lavoro del genere all' unisono. Jake: “Sono legato a 17 perché è un lavoro sincero, è il disco di due musicisti che si sono divertiti insieme. Non è un album in cui ci limitiamo a spartire le strofe. Abbiamo due metodi di scrittura differenti, io non ho problemi a scrivere in studio, lui tende a isolarsi, nemmeno noi ci aspettavamo questo binomio potesse rivelarsi così produttivo. Ci siamo fatti prendere la mano. Alla fine siamo stati costretti ad aggiungere Toro Loco perché non c’era neanche un pezzo che parlava di figa”.
17 ospita i maggiori big della scena italiana (Salmo e Fibra) e i più credibili esponenti della nuova scuola (Lazza, Tedua e Massimo Pericolo), a riprova dello status intergenerazionale raggiunto dalla coppia. Ci spiega Emis: “abbiamo il meglio del meglio presente in quest’album, paradossalmente, i rapper più forti si sono dimostrati più disponibili. Quelli su cui avevamo più dubbi, quelli su cui abbiamo discusso, hanno inventato tutti delle scuse”. Chi ha rifiutato, aggiungiamo noi, forse non se la sentiva di dividere il beat con due mostri sacri di questo calibro.
Sul fronte dei beat i due si sono sbizzarriti selezionando basi griffate dai più disparati producer (tra gli altri Big Fish, Boss Doms, Low Kidd). “È un bel sunto di gente che stimiamo e gente che stima noi. Abbiamo deciso di aprirci verso qualunque cosa, ascoltare tutto, a prescindere da chi ci arrivasse. Io non avrei nemmeno voluto sapere i nomi dei producer, ho visto dischi di celebrità americane che scelgono le basi all’oscuro. Il punto che volevamo dare spazio a chi ci piacesse, a chi spaccasse veramente. Il Beat di Dat Boi Dee l’ho scoperto quando abbiamo scelto la copertina del disco”.
Saremmo falsi a non tirare in ballo Santeria, il metro di paragone del resto è naturale: un album destinato a rimanere negli annali perché celebra la storia del rap italiano, di conseguenza, la storia di due dei suoi maggiori esponenti.
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L'articolo Jake la Furia e Emis Killa: "Oggi nel rap il successo è anche per i mediocri" di Carlotta Fiandaca è apparso su Rockit.it il 2020-09-18 11:16:00
COMMENTI (2)
"OGGI NEL RAP IL SUCCESSO È ANCHE PER I MEDIOCRI" concordo e il pubblico si è appena tolto il pannolino e non ha ancora la patente. povera italia
il rap è mediocre...