In Basilicata, abbracciata dai fiumi Sinni e Frida e in parte compresa nel Parco Nazionale del Pollino, c’è Francavilla in Sinni. Un comune di 4.000 anime in provincia di Potenza dove non c’è molto da fare, ma che ispira e conquista proprio per il legame tra l’uomo e la natura rimasto intatto, in un silenzio che in città si ascolta solo di notte.
In una casetta il più distante possibile dal centro del paese, lontana da tutto e tutti, dal 2015 i Bytecore sperimentano la loro musica incazzata. Un misto tra elettronica, industrial e dubstep: qualcosa di diverso, che spacca i muri per quanto è potente, ma che riesce a contenersi, senza strafare con la sua energia. "Non c’è un’altra band che fa la stessa roba che facciamo noi", sorride Francesco, il chitarrista del gruppo, prima di spiegarsi meglio: "Non è questione di tirarsela, ci mancherebbe: se trovassimo altri gruppi che fanno quello che facciamo noi, creeremmo una bella rete. Ma di solito chi fa elettronica, fa elettronica d’ambiente o comunque qualcosa di 'ballabile'. E chi fa metal, fa metal, punto: l’elettronica la usa pochissimo". In Bytecore, invece, c’è il 50% di elettronica e il 50% di strumentale.
La voce è di Francesco, la batteria di Andrea, al sintetizzatore c'è Umberto e alla chitarra Francesco. I quattro hanno già pubblicato un LP e un EP: Invaders nel 2017 e We Aren’t Humans nel 2018, due album strumentali che negli anni sono stati d’apertura ad artisti noti nel panorama italiano, come gli Almamegretta, Sick Tamburo, Planet Funk, Omar Pedrini, Krikka Reggae, Tre Allegri Ragazzi Morti, 'O Zulù, Sud Sound System e altri, ma anche Gazzelle, Eugenio in Via Di Gioia e Cosmo.
"Abbiamo condiviso il palco con tantissimi artisti diversi, e probabilmente la curiosità che suscitano i nostri personaggi ha contribuito a farci arrivare dove siamo stati", ipotizza Umberto, il synth dei Bytecore, e continua: "Non avevamo una voce, quindi abbiamo cercato qualcosa di particolare che potesse attirare l’attenzione del pubblico e che potesse aggiungere una parte teatrale al progetto. Allora, abbiamo deciso di indossare delle maschere, un elemento che ai live ha sempre stuzzicato la gente".
E che si abbina perfettamente allo stile e all’immaginario in cui si muovono i quattro electrodark: un’atmosfera post-apocalittica, oscura e misteriosa, che è lo specchio della società contemporanea nei suoi aspetti più ostili e preoccupanti, spinti fino a un nocivo eccesso. Una società alla deriva che si basa esclusivamente sull’odio, sull’estetica, sul denaro e che si fonda sull’individualità: questo è il palcoscenico su cui recitano le maschere dei Bytecore, personaggi inventati che inscenano la parte de "l’uomo che combatte l’uomo, l’uomo che combatte sé stesso", frase-manifesto del progetto lucano.
"Le maschere ci hanno permesso di dare vita ai personaggi che avevamo in mente e, visto che non avevamo una voce, hanno facilitato la comprensione dei messaggi che volevamo far passare, fino ad oggi espressi esclusivamente con la musica. Le maschere si collegavano e si collegano a quello che diciamo implicitamente nei nostri pezzi, che a partire dal nuovo singolo e nell’album in arrivo, saranno esplicitati anche con le parole", spiega Andrea, alla batteria.
Dopo la parentesi di Auf Wiedersehen – brano in cui i Bytecore accompagnavano la voce di Trunchell, Etc., tra i rapper dell’horrocore italiano –, la band aggiunge ufficialmente la voce di Francesco alle loro strumentali: con il nuovo singolo Enemy il gruppo comincia a cantare e ad affrontare in maniera più diretta alcuni temi: "Soprattutto in We Aren’t Humans eravamo molto legati al simbolo dell’alieno, inteso come metafora dell’uomo che lotta contro il diverso, ma che è pur sempre un uomo. Temi sociali e temi come la guerra, le pandemie, l’inquinamento, sono al centro del progetto Bytecore", dice Francesco, chitarrista del gruppo.
E i titoli sono emblematici in tal senso: Dead Point, Mission, Invaders 2.0, Eve Of Destruction, tutti termini che parlano e descrivono lo scenario post-apocalittico su cui si muove il progetto: "Siamo stati influenzati dal genere che abbiamo scelto, ma nei primi album ci siamo rifatti anche molto alla storia dei videogames. Il sound era molto improntato su questa linea. C’è da dire, poi, che tutti abbiamo la passione per i documentari e il mistero, interessi che si sono insinuati quasi spontaneamente nelle nostre canzoni", aggiunge Andrea.
Enemy anticipa Born To Love – il nuovo album in uscita il 20 novembre per Cramps Music/Shout! – e, a parte la novità del cantato, rimarrà invariato l’aspetto sperimentale del progetto lucano: "Nel nuovo album ci saranno delle 'piccole parti', delle chicche all’interno di ogni canzone, che riprendono concetti già espressi negli album precedenti", anticipa Francesco. E continueranno, in Born To Love, le contaminazioni drum and bass, con sprazzi che ricordano anche la musica dance anni ‘90. Poi, si conserverà la "chiave industrial", che lega tutto l’album e tiene insieme il progetto Bytecore: "Una chiave che stavolta abbiamo reso un po’ più classica", dice Umberto, e continua: "Abbiamo strutturato i pezzi con strofa e ritornello, in modo, però, che non ci sia una divisione netta, ma le parti siano miscelate insieme".
L’album è stato registrato a Matera – presso lo Studio Sync con Angelo Cannarile, che sarà il fonico per i futuri live – e rompe il silenzio di una scena lucana desolata: "Le band giovanili ci sono, ma non ci sono i festival e i luoghi dove farsi vedere, quindi tutti rimangono sconosciuti, a suonare e a fare musica nascosti in saletta o nel garage sotto casa", afferma Andrea, il batterista del gruppo, e continua: "Qui va molto il folk e il reggae, e la scena lucana è ancorata a Krikka Reggae, oppure a Musicamanovella. Il resto difficilmente emerge".
E bisogna dividere la stagione estiva da quella invernale, spiegano i ragazzi: "In estate, tutto il Sud suona tanta musica e ci sono tanti festival e belle situazioni. Certo, il pubblico è abbastanza difficile e scettico, ma ci sono occasioni dove poter ascoltare bella musica dal vivo, pandemia a parte, è ovvio. D’inverno, invece, il deserto". Il problema più grande è che non ci sono i club: "Esistono i pub e i piccoli locali, ma un gruppo che fa musica come la nostra ha bisogno di suonare su palchi e luoghi diversi, più grandi. Per forza di cose e soprattutto per una questione tecnica, di suono, di performance, di tutto. È questo il grande problema del Sud, se si escludono ovviamente le grandi città come Napoli o Bari", concludono.
"In Basilicata non c’è molto, e per emergere bisogna essere particolari", afferma Umberto, e Andrea aggiunge: "Altra cosa fondamentale è la pazienza. Senti sempre che stai per arrivare, ma poi non arrivi da nessuna parte. Non bisogna mai abbattersi e dal punto di vista musicale concordo con Umberto: bisogna crearsi un’identità artistica forte, particolare e fare in modo che piaccia". I Bytecore ci sono riusciti.
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L'articolo La musica dei Bytecore spacca i sassi di Matera di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2020-10-30 17:00:00
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