Forse non raggiungerà mai i numeri di tanti suoi compagni, ma in fondo a lui non sembra interessare. Nel corso degli anni il rapper olbiese si è costruito una reputazione tale da potersi permettere Shade ed Inoki nello stesso album. “Booriana” è il primo lavoro che lo vede anche nelle vesti di producer, tra una citazione e un sample, abbiamo incontrato En'gma per provare a comprendere meglio la sua complessa tempesta sonora.
I titoli dei tuoi album alludono sempre a qualcosa di sardo. Perché hai scelto proprio “Booriana”?
Per indicare la tempesta sonora, l’elemento distintivo di questo lavoro. Buriana in realtà è un termine italiano (con la “u” non con le due “oo”) ma utilizzassimo ad Olbia. Olbiese ancora più che sardo. Per questo ho optato per questa scelta.
È il terzo album in poco più di un anno. Nell’epoca della musica usa e getta, per quale motivo anche un artista “impegnato” come te si presta a certe dinamiche?
Da artista indipendente non posso ignorare determinate dinamiche di mercato. Mi rivolgo ad un pubblico diverso (una nicchia per quanto folta e ben attiva), anch’io ho la necessità di creare un legame costante. La vera arte per essere tale ha bisogno di una ragione, fortunatamente, non ho mai fatto fatica ad “aver qualcosa da dire”. Questo forse mi differenzia dagli altri artisti. Essere prolifico è una mia caratteristica da sempre. Per far crescere un progetto bisogna essere produttivi, rischiare, sperimentare.
A proposito di sperimentazione, In tutta la tua carriera Hai sempre lavorato con Kaizen. A livello stilistico, “Booriana” è forse il tuo lavoro più complesso, più vario. Cosa cambia nell’approccio alle canzoni quando ti occupi in prima persona anche dell’aspetto musicale?
Questo è sicuramente l’upgrade principale rispetto agli album precedenti, il valore aggiunto. Ho sempre lavorato con Kaizen ma in "Booriana" ho veramente attinto a piene mani dal mio bagaglio personale. Imparare a comporre le basi credo faccia parte del percorso di crescita di un rapper. Forse è più appropriato utilizzare il termine “completamento”. Non ho mai fatto parte di una band, non avevo mai suonato uno strumento prima d’ora. Non ho studiato, vado a orecchio. Credo il termine strimpellare si possa utilizzare anche per una tastiera. Imparare a conoscere la musica mi ha aiutato molto a capire quel che voglio quando scrivo una canzone. E poi adoro l’idea del campionamento.
Il sample non è altro che una forma diversa in cui si manifesta la tua mania di citazionismo?
Praticamente sì. Ho un’idea romantica del campionamento, ma in realtà è una prassi che nell’hip hop esiste da anni. Ovviamente deve essere un’operazione che esula il plagio. Riuscire a ricavare qualcosa che ti piace da qualcosa che ti piace ancora di più è un procedimento artistico difficile ma armonioso. Generare arte da un’altra opera è il miglior tributo si possa fare ad una canzone, sto cercando di sottolineare il valore di qualcosa d’importante.
Anche i feat sono un’evoluzione di quest’attitude?
Assolutamente. È un discorso applicabile alle persone: riuscire a generare qualcosa di nuovo da qualcosa. La presenza di un rapper nel proprio album implica una certa stima reciproca, umana ed artistica. Inoltre, cimentarsi con interpreti di un certo calibro da la possibilità di sperimentare stili e generi differenti.
Infatti, come il disco, anche i featuring sono molto vari. Il rap italiano è sempre stato scisso da una dialettica tra esponenti mainstream ed underground, come fai a mettere tutti d’accordo. Non è difficile collaborare con così tanti artisti abitando in Sardegna?
A livello logistico non è semplicissimo, non ho potuto incontrare tutti di persona. Ma Ti assicuro che delle volte è più facile incontrarsi stando in Sardegna che vivendo a Milano. Fortunatamente c’è internet, anche se io vivo in maniera molto empatica anche il contatto telematico.
Far coesistere nello stesso album artisti con la visibilità di Emis e Shade ed interpreti con una concezione diametralmente diversa dell’hip hop come Inoki (che fino a dieci anni fa ascoltavo in cameretta), ed avere il rispetto di entrambi, Personalmente, m’inorgoglisce più di qualsiasi disco d’oro. Inoltre, collaborare mi ha dato l’opportunità di cimentarmi con delle attitude completamente differenti. A livello compositivo, ho cercato di mettere ogni artista a proprio agio ed ho ottenuto ottimi riscontri. Questo vuol dire che anche il mio lavoro come producer è stato ponderato.
Negli scorsi album ti sei cimentato maggiormente col canto, hai iniziato a comporre le strumentali. Sono i presupposti per un futuro lontano dal rap?
È un’ipotesi che ho preso in considerazione, ma dovessi defilarmi dal rap preferirei intraprendere una carriera oscura, come autore. Potrebbe succedere anche nei prossimi anni. A trent’anni ho capito dove posso arrivare con la mia musica, mi sta bene così, determinate cose che scrivo ed ho scritto potrebbero avere un’altra credibilità interpretate da qualcun altro. Con gli stessi concetti espressi all’interno di una canzone pop è più facile arrivare alla gente, non è importante solamente cosa dici, la forma è fondamentale. Parlo proprio di peso mediatico. Mi piacerebbe se un giorno un mio singolo passasse in radio senza che nessun conoscesse l’autore, Magari interpretato da un artista che non è un rapper.
Tra le decine di citazione, se non sbaglio, in “Paracadute” citi addirittura te stesso?
È un ciclo iniziato nel mixtape di Gemitaiz “QVC4”. Successivamente, lui partecipò ad una traccia intitolata “River Phoenix” contenuta in “Indaco”, dove in una strofa cito Emis Killa. Paracadute serviva un po’ per chiudere il cerchio. L’idea è anche quella di rimandare a qualcosa che magari non si conosce, una specie di caccia al tesoro.
“Indifesi” è una canzone che parla evidentemente di migranti, perché hai scelto di trattare un tema così delicato?
Leggo i giornali e guardo i TG, sono bombardato da informazioni sull’argomento. Ed è un argomento scottante perché non si è mai riusciti a trovare una vera soluzione. Avevo composto una strumentale che mi sembrava perfetta per trattarlo, ma non volevo scrivere il solito pezzo retorico. Ho provato ad immedesimarmi nei panni dei migranti per proporre lo stesso punto di vista anche all’ascoltatore. Credo sia uno dei pezzi migliori dell’album, sicuramente quello con il maggior peso specifico, non è emerso tra i primi anche per la sua posizione nella scaletta ma, alla lunga, mi sta dando grandi soddisfazioni.
Nel calcio, come in tanti altri argomenti, ti piace prendere spunto da storie particolari. Henrik Larsson?
Vicende assurde che tanta gente non conosce, Come nel caso dei guardiani delle isole Flannan, mi affascinano le storie dei personaggi rimasti nell’ombra. Come dico nella canzone, Larsson era una svedese con la madre di Capo Verde, portava i dread, è diventato l’idolo della più importante tifoseria scozzese. Ma Larsson è anche diventato scarpa d’oro con il Celtic dopo un grave infortunio, incarna perfettamente il concetto del “sapersi rialzare”. Ormai maturo è esiliato per dimostrare il suo valore in campionati più prestigiosi, al Barcellona, ha sempre messo le sue capacità, il suo acume tattico a servizio della squadra, risultando decisivo anche nella finale di Champions, pur senza segnare. Un calciatore d’altri tempi.
E quindi, nel tuo piccolo, si può dire che nel rap sei Henrik Larsson ed Olbia sono i tuoi Celtic Glasgow?
A me piace utilizzare anche un’altra metafora. Non avrò mai i numeri di una multinazionale ma ho una bottega di artigianato locale che funziona benissimo. Va bene così.
---
L'articolo En?gma dentro la sua nuova tempesta creativa di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2019-06-27 17:03:00
COMMENTI (1)
uno dei migliori...