Janine Tshela Nzua è il vero nome di Epoque, artista di origine congolese, è nata a Torino e cresciuta tra Parigi e Bruxelles prima di stabilirsi nel capoluogo piemontese, dove ha frequentato le scuole. Da sempre appassionata di musica, dopo l’incontro con Di Gek - producer e appassionato di musica africana, house e hip hop - ha dato forma a un suo stile personale con sonorità afro in cui la melodia R’n’B si alterna al rap. I testi conscious per abbattere ogni giudizio sociale, in cui mischia l’italiano con il francese e il lingala, idioma della Repubblica Democratica del Congo, uniti a un incontro tra musicalità e ritmiche afro, danno un respiro internazionale al suo stile.
A ottobre 2020 pubblica il singolo Petite, in cui racconta la condizione di una donna straniera in Italia, che ottiene subito una discreta attenzione e già in quella occasione ci siamo trovati a scambiare qualche parola con lei per conoscerla meglio. A fine marzo 2021, invece, esce Boss (io & te), che si incentra sul rapporto di una ragazza con il suo fratellino: una dichiarazione d'amore in cui l’artista descrive le difficoltà di chi cresce senza agi in un quartiere difficile ma vuole garantire un futuro a un bambino che deve accudire perché i genitori sono assorbiti dal lavoro, con l'intento di parlare di tutte quelle ragazze e quei ragazzi che crescono più in fretta degli altri, lasciano la scuola per lavorare, sacrificano l’adolescenza per diventare adulti e assumersi responsabilità più grandi di loro.
Epoque è la prima "promessa" dell'afrotrap italiana, una definizione che per ora non suona granché, ma che in futuro potrebbe dire qualcosa a molti. Venerdì 17 settembre si esibirà a Milano sul palco del MI MANCHI, ANCORA: il suo concerto sarà praticamente uno showcase, un assaggio del futuro che verrà e che Epoque vuole andarsi a prendere.
Afro-italiana, ma in realtà sei una vera e propria cittadina europea.
Io sono nata in Italia, ma, come tante famiglie di origine africana, ho parenti sparsi per tutta l’Europa. A Parigi, a Bruxelles, a Lille passavo le vacanze, di sicuro la mia storia non è paragonabile a quella degli attuali immigrati, sono stata molto più fortunata.
Per descrivere il tuo ultimo singolo, usi queste parole “Le uniche cose davvero importanti e utili in quel momento: la fuga e la sensazione di sicurezza”. Mi pare che la tua sia una fuga diversa…
Nemmeno i miei genitori sono letteralmente scappati dalla guerra, il loro Paese non era stato coinvolto direttamente, anche se il Congo è da anni tristemente sede di una guerra constante. Loro sono venuti in Europa per dare un futuro ai propri figli. Scappare da un momento brutto, da una situazione spiacevole, quello che volevo raccontare era la sensazione di una fuga generica. La voglia di cambiare vita che può accumunare qualsiasi essere umano, a prescindere dal colore della pelle.
Pensi che in Francia sarebbero più facili le cose per te?
La Francia avrebbe più punti di riferimento per me. Non intendo esclusivamente a livello di rapper di seconda generazione, un argomento ormai sdoganato, quanto per il rap femminile. Mi ritengo fortunata anche in questo caso, non sono stata la prima rapper donna in Italia, altre interpreti si sono già prese la shitstorm. Forse il mio ultimo singolo ha fatto parlare più dei precedenti, perché non mi espongo solo in quanto ragazza afro-italiana, ma come donna. Cerco di combattere ogni pregiudizio a prescindere dal colore della pelle, dalla taglia, dalla religione. Sono felice di poter portare più bandiere possibili.
Un’idea che si riflette anche nell’uso variegato delle lingue.
La mia nazionalità e italiana, ma io sono frutto di culture diverse, le lingue mi sembravano lo stratagemma più genuino per mostrarmi naturalmente. L’uso del lingala ha sicuramente un valore “sociale”, tengo a ribadire il messaggio che siamo tutti cittadini del mondo. Che, in fondo, io non appartengo a nessuno se non a me stessa. Poi c’è l’aspetto stilistico, alcuni termini francesi li utilizzo perché li ritengo swag. Spero la variegatura linguistica diventi una sorte di mio marchio stilistico.
Vivere all’estero avrà sicuramente influito sul tuo stile.
Viaggiando, ho sempre tenuto un “diario di bordo”. Credo sia un ottimo esercizio per allenare la memoria. Ho sempre scritto, ma la difficoltà della musica era esprimere i miei pensieri in uno spazio ristretto. In Francia ho scoperto l’afrotrap, l’ho subito percepito come un genere di famigliare. Sono stata inserita in una playlist francese, per me è un grande riconoscimento. Io sono cresciuta in Italia e mi sento appartenere a questa scena, ed è il motivo per cui sto cercando di limitare l’uso del francese. Il nostro sound arriva dalla Francia, ma deriva da uno studio. Abbiamo cercato di attualizzarlo, renderlo nostro.
Usi il plurale perche ti riferisci al tuo produttore?
Epoque nasce proprio con Gek, siamo come Sfera Ebbasta e Charlie Charles. È iniziato tutto con un cliché: sei africana hai il ritmo nel sangue. Fino a quel momento nemmeno lo sapevo. Ho iniziato a rappare perché ho una voce molto bassa, non provo nemmeno a cantare come Beyonce. Fortunatamente con la trap il rap si è evoluto, è molto più melodico. Unire qualche suono etnico alla trap non vuol dire fare afrotrap. Gek è l’unico che credo riesca a capirmi.
Capire cosa?
Che dobbiamo rendere nostro quel sound, il che vuol dire attualizzarlo ai gusti degli italiani, senza snaturarlo. Lui mi ha incoraggiato in questa strada, sosteneva nella nostra nazione non ci fosse nessun artista che faceva questo genere. Per di più donna. Speriamo di lanciare una nuova wave, un nuovo genere che identifichi l’afro-trap italiana. Ma non è facile, l’Italia è una nazione molto conservatrice, sul piano artistico quanto su quello sociale.
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L'articolo Epoque è la regina dell'afrotrap italiana di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2021-09-07 09:57:00
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