Nel 2016 cominciava a imporsi un movimento che avrebbe definitivamente segnato la storia musicale italiana: la trap esplodeva in seguito ai successi di Sfera Ebbasta, colui che spalancò le porte a decine di interpreti che ancora oggi ascoltiamo. Il giovane Matteo Professione aka Ernia durante quell'esplosione rimaneva ancora in disparte e, mentre i compagni di una vita scalavano le classifiche, in silenzio usciva con il suo primo capitolo discografico, nel 2017: Come uccidere un usignolo, un album di cui abbiamo già parlato, che si discosta pesantemente dai topoi di un movimento già stereotipato.
Parole ben scandite, assenza di autotune e propensione alla rappata "canonica" sono i principali elementi con cui il rapper milanese classe '93 convince tutti: non solo il pubblico più giovane, ma anche i più radicali detrattori dell’old school. Testi ben scritti e citazioni letterarie che si mescolano con naturalezza all’attitudine zarra tipica della prima scuola milanese sono le basi su cui Ernia crea il suo ibrido perfettamente riuscito tra conscious rap ed ego trip, in una rivisitazione moderna e bohémien alla Guè Pequeno.
Come uccidere un usignolo è stato un disco capace di sciogliere i canoni compositivi del genere, senza allontanarsene del tutto. Nel suo primo singolo di successo, QT, Ernia ammetteva di essere "l’alternativa alla trap". Col senno di poi, ascoltando il suo ultimo lavoro, Gemelli, non possiamo che dargli ragione.
Gemelli: perché questo titolo?
I gemelli sono il mio ascendente: a livello zodiacale indicano una doppia anima. Se i riferimenti astrologici sono veri, qualche effetto sul sottoscritto devono pur averlo. A dir la verità, più che doppio, mi ritengo artisticamente plurale. Ogni persona ha le sue piccole ipocrisie, i suoi gusti, le sue sfaccettature. In quest’album volevo mettere luce su tutte queste sfumature. Su tutto quello che mi piace.
Cosa significa per te scrivere?
Scrivere per me è una necessità: lo era prima, quando non venivo pagato, ma lo è anche oggi, forse anora di più, visto che è diventato il mio lavoro. Non ho l’obiettivo di comunicare qualcosa, ma semplicemente mi racconto, canto di quello che mi succede. Mi piace fare musica e nella musica metto sempre me stesso. In 68, agli inizi della mia carriera, volevo dimostrare "troppo" di saper scrivere e capitava che delle volte esagerassi. In quest'album non avevo più questa necessità e a livello narrativo c’è stato un salto di qualità, perchè penso di averne guadagnato in chiarezza. Ci sono rapper che per dimostrare il proprio talento fanno a gara al testo più complicato. Io non volevo risultare ermetico. Faccio musica emotivamente coinvolgente e recitare la parte del criptico non mi serviva più a nulla. Ho "abbandonato" il mio consueto flow serrato e ho capito posso fare altro. È un disco più rilassato perché in primis sono più rilassato io.
Quali sono stati i riferimenti musicali di Gemelli?
In 68 ero più propenso a solcare un'unica strada. Mi piaceva Kendrick – mi piace Kendrick – e quello era il sound che volevo riportare nelle mie canzoni. In Gemelli, invece, non seguo una linea coerente: l'unico collante del disco è il sottoscritto. Negli ultimi tempi ho ascoltato molto Drake – devo essere sincero, l’avevo sempre sottovalutato – e sono stato a un suo concerto. In quell'occasione mi sono reso conto quanto fosse forte anche live. Pop Smoke, Dababy e tutti gli ultimi fenomeni americani sonon un po' il mio punto di riferimento. Ultimamente mi riferisco sempre agli USA, mentre prima ascoltavo molto più al rap francese.
Lavorare con diversi producer ti ha permesso di ampliare la tua sperimentazione artistica?
L'incontro fondamentale è stato quello con D-Ross e Startuffo, due producer napoletani che hanno firmato le colonne sonore dell’ultimo film di Igor Tuveri, 5 è il numero perfetto. Musicisti di un'altra categoria che mi hanno spinto tantissimo, convinto potessi sperimentare qualcosa di diverso. L'altro incontro interessante è stato ovviamente quello con Sick Luke. Rivolgersi a lui vuol dire avere un determinato sound in testa. Ha ribaltato la mia idea di partenza ancora prima che intavolassimo un discorso: "vuoi fare un pezzo trap? Ma a te piacciono le chitarrine vero? Allora metti le chitarrine in tutti i tuoi pezzi". Luke ha prodotto il disco di Mecna, di Don Joe, come quello della DPG, che ha un sound completamente diverso – anche Luke deve essere dei gemelli –.anche lui.
Puro Sinaloa: come è nata l’idea di produrre un brano tributo ai Club Dogo?
Più che un tributo ai Dogo è un tributo a me stesso, al bambino che c’è in me. Come concedersi un giro in Ferrari, come dire a me stesso: "hai visto su che beat posso rappare?". I Dogo erano già usciti con un remix intitolato Puro Medellin, ci serviva un’altra piazza di spaccio ed ecco una base storica prodotta da Don Joe, una vera leggenda del settore. Sia chiaro, l’originale è più bella, l’originale è più hip-hop... ora partiranno i confronti, ma fa parte del gioco. Sicuramente non si tratta di un puro esercizio di stile, questa trovata ha anche un significato più ampio. Vogliamo dire: oggi Milano siano noi.
Puro Bogota è un vero e proprio brano generazionale?
Sei hai tra i 20 e i 30 anni assolutamente sì, Puro Bogota è la Wonderwall del rap italiano.
Madame, uno dei featuring presenti sul tuo disco ha ammesso fossi una delle sue maggiori fonti d’ispirazione. Cosa ne pensi?
È un artista che apprezzo tantissimo, credo avrà un futuro radioso. È brava a fare musica, a prescindere dall’hip-hop, e ha molti meno limiti di un rapper. Ora ha soltanto 18 anni, sta facendo quel che la diverte. A 18 anni in Italia oggi ascolti rap, ma lei potrebbe andare ben oltre.
Come hai vissuto l’evoluzione del genere trap negli ultimi anni?
La trap è evoluta rimanendo sempre ferma. Ci sono un sacco di nuovi nomi interessanti e anche un sacco di copie, ma anche gli artisti più forti generalmente sono figli di Sfera. La trap ha lasciato un solco nella musica italiana e internazionale come non se ne vedevano da tempo. La musica ormai corre troppo velocemente, tra la nostra generazione e quella dei Dogo sono passati tredici anni, tra noi e i nuovi esponenti solo quattro, eppure sembrano molti di più.
Tra la nuove proposte, cosa ha catturato la tua attenzione?
Ho trovato interessante l’esperimento di Anna, un esperimento che potrebbe veramente unire il rap alla cultura italiana. L’Italia è la patria della musica elettronica e il Boom Bap non è proprio nelle nostre corde: l’italiano capisce la cassa dritta e di base siamo tutti un po’ tamarri. La cassa dritta arriva subito. Ecco spiegato il successo di Bando.
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L'articolo Ernia: "Puro Bogota è la Wonderwall del rap italiano" di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2020-06-23 14:55:00
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