Quando abbiamo ascoltato per la prima volta i pezzi di Exwyfe, siamo rimasti stupiti che dietro a questo moniker si celasse Emanuele Ferretti, un ragazzo emiliano, a Milano da molti anni. Ci saremmo aspettati qualche oscuro produttore di New York, Londra o Montreal, e invece abbiamo scoperto che si trattava di un ragazzo cresciuto in mezzo ai party a Bologna.
"Mi piace iniziare la mia biografia con la frase: faccio parte della subcultura emiliana, racconta. "Anche se, per essere sincero, più che altro l'ho vissuta e ammirata. Io e i miei amici eravamo giovani universitari, suonavamo e giravamo spesso per concerti. Partecipavamo a corsi e incontri che coinvolgevano band e progetti da tutta la regione. Conoscevamo moltissimi artisti emergenti o già consolidati e ci si scambiava idee, opinioni, si suonava assieme. Si svolgeva tutto in circoli molto piccoli e spesso in paesi dimenticati da tutto, ma la regione era un fermento indie costante e, tra una città e l'altra, ci si beccava anche ai concerti del momento o direttamente nei backstage".
A Bologna Emanuele si è fatto non solo le orecchie, ma anche un'anima e una coscienza: "Vivere a Bologna ha voluto anche dire entrare a contatto con un po' del giro queer e underground. Quella città nei primi '00 era una festa continua. I party che organizzavano alcuni miei amici a Bologna, erano una vera attrazione per un giro di alternativi da tutto il Paese. C'era un bel fermento, lontano dall'hype prepotente di una città come Milano, sembrava tutto molto più spontaneo".
Il suo nome d'arte è, al tempo stesso, strano e orecchiabile, qualcosa di immediatamente riconoscibile eppure in una certa misura esotico: "Sfatiamo il mito: alle volte dietro a un nome, specie dietro al nome di un artista o di una band, non ci sono chissà quali costruzioni culturali ma dei processi stupidi. Il nome del progetto era nato come EFF WHITE, una specie di gioco di parole utilizzando le mie iniziali, ma erano davvero troppi i riferimenti spiacevoli legati a questo moniker, e aveva proprio il sapore di qualcosa che doveva restare momentaneo. Poi, un amico in uno dei tanti brainstorming, magari giocando sul suono, ha lanciato come battuta EX WIFE, e da lì è nato il nome attuale, che ha tutto l'aspetto ironico di cui avevo bisogno".
Chiacchierando con Emanuele è venuto fuori che nella vita di tutti i giorni fa un lavoro che lo obbliga a una rigida disciplina. Come fare a conciliare i due mondi, quello delle regole a lavoro e quello della creatività in ambito musicale? "Tutto dipende dall'energia. Puoi anche essere super vitale, focalizzato a dare il meglio in ogni cosa che fai, ma il lavoro comanda sempre, ti impone una crescita continua e si mangia l'energia assieme al tempo. Non dico niente di nuovo nel raccontare che lavorare debilita un artista, e che i soldi sono una forza che fa la differenza nel sostenere le passioni. La fatica e fare convivere con equilibrio due mondi così diversi".
"Per esempio nel lavoro", spiega Emanuele. "fin dove è possibile, cerco di mettere comunque una parte di estro, perché tutto dipende da come uno lo vive. Detesto farmi prendere dalla banalità della ripetizione di un metodo. La gratificazione viene sempre quando vedi una parte estremamente tua emergere anche in un compito che non per forza richiede una forte elaborazione personale. Poi comunque ci sono compensazioni creative anche nel lavorare per un brand di moda. A volte capitano incontri incredibili, persone con cui in altro modo non avrei mai potuto interagire, miti della mia adolescenza come Iggy Pop, Courtney Love, Harmony Korine, Pedro Almodovar o giganti attuali come Rihanna e Tyler the Creator. Sembra un po' superficiale e infantile galvanizzarsi per così poco, ma vedere queste persone, specie quando sono perfettamente risolte nella loro quotidianità, nel loro essere affabili e così consapevoli, sa affascinare e trametterti decisamente molta carica".
A questo punto mi interessa sapere chi sia per lui un maestro: "Per un malato di musica come me, la scoperta di riferimenti è costante, ma con tutte queste produzioni ed evoluzioni continue, difficilmente mi soffermo sugli artisti come dovrei e come avrei fatto in passato. Di tanti ammiro in maniera maniacale alcune qualità, ma non sempre riesco a a trovarli carismatici in tutto. Forse crescendo ho imparato a soppesare e a demitizzare il concetto di maestro. Ammiro molto tutto il mondo di Jonathan Mount dei Metronomy, che a mio avviso scrive benissimo, ma nei live risulta sempre un po' impacciato; Nick Cave è per me uno dei migliori performer esistenti, un guru, una divinità, ma la sua musica oggi non mi interessa più come prima; Frank Ocean ha un talento indiscutibile, è un musicista stimolante, il primo della classe, ma la sua estetica non è particolarmente rilevante, non sa tirarmi dentro”.
Chi riesce davvero a elevarsi?: "Credo che oggi, personaggi come Arca siano dei veri stand out. Trovo la sua musica sempre affascinante, anche se non per forza nuova (sappiamo tutti che dei riferimenti ci sono, ma questi non banalizzano per niente il prodotto). Il personaggio che si è costruita forse non stupirà più i molti che sono sempre pronti a criticare, ma, per debolezza mia, quel suo modo di giocare con la diversità e la bellezza ha un impatto poetico che in pochi riescono a proporre. Devo ammettere che ultimamente poi si è anche munita di una buona dose di ironia, che aiuta sempre a completare il quadro".
La musica di Exwyfe sfugge un po' ai generi e alla catalogazioni. C’è tanto synth-pop, qualcosa di (pop)olare, ma anche echi di musica elettronica: "Io e Giacomo Carlone, il mio produttore, che è un po' l'altro membro del progetto, quando abbiamo deciso di lavorare al disco non avevamo un'idea chiara del percorso da seguire. Avevo un sacco di memo vocali, demo, appunti trasandati, mille riferimenti, idee ancora da esprimere. Noi, però, ci capiamo al volo, partendo in un modo e tendendo sempre a spostarci dalle nostre posizioni iniziali, contaminandoci, sperimentando. Non so definire la mia musica in modo generico. Probabilmente si può parlare di synth pop, anche se la parola pop fa sempre un po' ridere, perché in realtà io tendo molto a complicare le tracce andando contro agli accorgimenti che in genere rendono un brano più fruibile".
Anche nei nuovi singoli si avverte questa sorta di complicazione: "Per Microphones, il mio secondo singolo dopo Skinny Dog, tra i riferimenti c'erano alcuni progetti che hanno base a Parigi, quindi non è sbagliato avvertire delle influenze del french-touch, come The Blaze, con la loro elettronica scura, cantati evocativi e un concetto di ballabile molto intimo. Per Holidays, l’ultimo pezzo uscito, invece si ironizza sui sentimenti, che sono difficilissimi da far convivere con le dinamiche di oggi, e che probabilmente compaiono al meglio della loro espressione, solo quando ce la possiamo spassare in vacanza. Poi chiaramente il brano ha questo tocco molto soft e soleggiato, ma è assolutamente malinconico... quella roba lì non me la toglierò mai".
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L'articolo Exwyfe, malinconia sintetica sulle orme di Arca di Mattia Nesto è apparso su Rockit.it il 2020-09-08 14:34:00
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