I Faz Waltz stanno per pubblicare "Double Decker", il loro nuovo album presentato in anteprima su Rockit che uscirà il 30 marzo, e il frontman Faz La Rocca ce lo racconta in questa intervista, dove ricorda che il rock'n'roll non è mai morto.
Questo nuovo lavoro giunge a dieci anni dalla vostra prima pubblicazione. È un bel traguardo.
Sì, tutto è cominciato nel 2007, un anno dopo abbiamo pubblicato il primo EP con quattro tracce. Dopo di quello sono usciti ben cinque LP, il sesto sarà “Double Decker”.
In questi anni voi siete andati avanti sempre come un carrarmato, nonostante nell’underground italiano sembra che a nessuno interessi più del rock’n’roll. All’estero invece le cose vanno diversamente, per fortuna. Si è interessata a voi gente come Lars Frederiksen, i Dropkick Murphys, Danko Jones e Steven Van Zandt.
Sì, abbiamo un discreto riscontro nel nostro Paese, ma diciamo che praticamente da sempre all’estero le cose vanno un po’ meglio. La cultura underground e mainstream per quanto riguarda il rock’n’roll in Paesi come gli Stati Uniti, la Germania, la Gran Bretagna e in generale il Nord Europa è ben più radicata. Non a caso a investire sulla nostra musica sono sempre label estere: questo nuovo lavoro infatti uscirà in Europa per la tedesca Contra Records, l’americana Spaghetty Town e la canadese Gods Candy. Per quanto riguarda i nomi da te citati per noi è stato sicuramente motivo di orgoglio averli scoperti nostri estimatori. Lars, il chitarrista dei Rancid, mi scrisse un giorno dicendomi di essere un nostro grande fan e che aveva appena ordinato tutta la nostra discografia. I Dropkick Murphys richiesero spontaneamente al promoter di un concerto a Pisa di avere i Faz Waltz come band di apertura. Rodney Bingenheimer, noto dj della trasmissione U.S.A. "Underground Garage" di Steve Van Zandt, manda spesso in onda i nostri brani. Recentemente Danko Jones invece ha passato il nostro nuovo singolo “Julie” nel suo programma radio. In Italia la musica è un po’ diversa al momento, ma siamo fiduciosi, siamo qui anche per questo.
E poi presenterete l’album a Londra.
Esattamente, siamo stati nella capitale inglese un paio di volte negli ultimi anni. Ci torniamo sempre volentieri, essendo sicuramente la patria della maggior parte delle nostre band di riferimento. Poi abbiamo in programma di tornare in Germania, Austria e Norvegia, passando anche dalla Spagna, Paese che non abbiamo ancora mai avuto la fortuna di visitare.
L’urgenza e la sincerità sono i primi elementi che balzano all’orecchio ascoltando i pezzi del nuovo disco, che ha un approccio fortemente live. Ma com’è il vostro lavoro in sala prove e in studio?
Noi abbiamo sempre puntato molto all’approccio dal vivo nelle nostre incisioni. Registriamo in presa diretta le basi di batteria, chitarra e basso suonando insieme nella stessa stanza, per non perdere quella caratteristica più sincera e viscerale che è parte integrante del rock’n’roll, fatta di persone reali che suonano i loro strumenti, creando collettivamente qualcosa di non riproducibile. Facciamo sempre più di una take di ogni brano, per poi scegliere quella con l’intenzione migliore.
Il tuo songwriting e il tuo modo di cantare diventano sempre più personali, sempre più marchio di fabbrica che vi distingue dalle altre band del revival glam in giro per il mondo. Ma non c’è solo il glam rock tra le tue influenze, vero?
Certo, non soltanto. I miei ascolti principali infatti si concentrano anche nel rock’n’roll degli anni ‘50, passando dal beat e dal pop anni ‘60. Una certa influenza deriva sicuramente anche dalla mia militanza giovanile nella scena punk.
Poi avete reintrodotto delle ballad, o comunque dei pezzi più lenti, più languidi, meno muscolari, che nei vostri ultimi due lavori erano spariti ma che in quelli precedenti erano ben presenti.
Vedi, non sono mai scelte fatte consciamente. Le canzoni sono quasi sempre lo specchio di quello che sto vivendo e vengono poi influenzate dagli ascolti di quel periodo. Escono naturalmente, non scegliamo a tavolino il tipo di album che andremo a presentare al pubblico, noi proponiamo quello che siamo, non pensiamo mai a quello che potrebbe funzionare meglio. In questo non siamo certamente degli esempi di professionisti del marketing, ma l’urgenza di essere spontanei è più forte.
Marc Bolan, l’Elton John dei primi anni '70, gli Hammersmith Gorillas, i Jook sono tra i vostri riferimenti stilistici più immediati. Pensi che il sound ma soprattutto lo spirito del glam rock abbia ancora qualcosa da dire oggi? O rimangono solo sogni di una cerchia ristretta di appassionati e nostalgici?
Noi suoniamo ciò che ci piace, indipendentemente dal tipo di pubblico. Quello che abbiamo da dire lo diciamo come ci viene meglio, se il messaggio è interessante e lo spirito sincero, il genere musicale non sarà una barriera. Puoi proporti al pubblico usando il linguaggio più moderno e in voga al momento, ma se artisticamente o intellettualmente non hai nulla da dire, il tuo messaggio passerà inosservato comunque, o almeno è quello che dovrebbe succedere.
I vostri testi parlano di divertimento, di sabato sera al pub, di ragazze, della voglia di riscatto, storie quotidiane e proletarie, di rebels without a cause. Tutte cose eccitanti, e infatti sono gli stessi temi di tanta musica che va per la maggiore tra i ragazzi, che sia la trap o, fondamentalmente, anche il neo-cantautorato. Come ti spieghi perciò il disinteresse dei ragazzi verso il rock’n’roll come genere musicale?
L’interesse dei ragazzi è principalmente veicolato dalla proposta che le case discografiche decidono di passare in radio, tv e web. Musica e moda sono sempre state un fenomeno ciclico, il panorama mainstream odierno potrebbe essere paragonato a quello degli anni ‘80, musica elettronica e cantautori disimpegnati. Questo andrà avanti fino a un punto di rottura, quando si arriverà ad una saturazione di contenuti. È successo a fine anni ‘60, il pop e il rock’n’roll più scanzonato hanno lasciato spazio al cantautorato di protesta per poi ritornare coi lustrini del glam nei primi anni ‘70. È successo poi con il punk, che cancellava l’ipertecnicismo del progressive rock con una presenza estetica che si ribellava alle popstar pulite dell’epoca. Dopo anni di sintetizzatori e rock radiofonico per adulti, superata la metà degli anni ‘80 lo spirito ribelle del rock’n’roll è emerso nuovamente con il fenomeno del grunge, dando voce a milioni di giovani disadattati. In quel periodo ai ragazzi è tornata la voglia di imbracciare una chitarra elettrica ed esprimersi in una maniera più immediata e sincera, dando luogo al ritorno del punk, periodo che abbiamo vissuto in prima persona. Con il web oggi i ragazzi hanno in mano una miniera d’oro, possono scavalcare la proposta dei media e decidere in prima persona la musica che li rappresenta di più. Là fuori ci sono tantissime band da scoprire, il rock’n’roll non è mai morto, è solo questione di tempo.
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L'articolo Lunga vita al rock'n'roll: i Faz Waltz raccontano il nuovo album "Double Decker" di Antonio Romano è apparso su Rockit.it il 2018-03-27 09:24:00
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