Cesare Basile - La federazione siciliana delle arti e della musica, 04-04-2011

Un disco nuovo, "Sette Pietre Per Tenere Il Diavolo A Bada". Cantautorato folk scuro e sulfureo come il cielo di Sicilia scheggiato dal fumo nero dell'Etna. E poi Milano e il ritorno a Catania, l'Arsenale e una Trinacria che non si arrende, i musicisti che non si danno una mossa e una cultura che in Italia non ha diritto di cittadinanza. Cesare Basile fa il punto della situazione di ciò che succede in questo paese in un'intervista che parla di tutti noi prima ancora che di lui.



Perché "Sette Pietre Per Tenere Il Diavolo A Bada"?
Cesare Basile: Classica domanda alla quale eviterei di rispondere (ride, NdI). Si tratta di uno scongiuro per qualcosa che ci è capitato mentre stavamo facendo i mix del disco. Visto che in qualche modo si è rivelato efficace e che rispecchiava lo spirito di questo lavoro mi sembrava che fosse un ottimo nome da dare a quello che stavamo facendo.

Non ti sei ispirato dunque al pezzo di Tom Waits, "Way Down In The Hole", che dice "Devi aiutarmi a tenere il diavolo giù nel buco"?
Cesare Basile: No, è stata una cosa suggerita dal computer di un musicista che purtroppo non c'è più e che ci ha risolto molti problemi. Per cui abbiamo deciso di tenerlo, sperando che continui a risolvere i problemi.

Come mai hai scelto di suonare un brano di Rosa Balistreri, "La Sicilia havi un patruni"?
Cesare Basile: È un pezzo scritto negli anni Settanta da Ignazio Buttitta e cantato dalla Balistreri. Una canzone che può sembrare retorica oggi, però credo che continui a rappresentare un'immagine della Sicilia che è quella dove sono cresciuto. Una terra che è serva dei politici, dei mafiosi, del governo italiano e da chi nel governo italiano si serve dei mafiosi per continuare a fare il suo sporco mestiere su questa terra. Tante persone sono costrette a lasciare questa terra perché non riescono a mettere un punto su qualcosa. È quel tipo di emigrazione che decapita il cervello di un popolo. E un popolo che perde il suo cervello come cazzo fa a difendersi?

C'è una canzone di questo lavoro che senti particolarmente tua?
Cesare Basile: "Sette Pietre..." è un album importante per me perché è stato scritto negli ultimi due anni, periodo che mi ha segnato molto. Una canzone che mi emoziona è "E Alavò", ma potrei dire lo stesso del "Sogno Della Vipera".

Musicalmente questo disco mi sembra molto scuro, più degli altri se possibile. È una scelta precisa?
Cesare Basile: È scuro sia nelle intenzioni che nella scrittura. Da un punto di vista tecnico è dovuto probabilmente all'assenza di batteria e alla mancanza di alcune frequenze tipiche di questo strumento. L'aver usato dei tamburi bassi come colonna ritmica portante ha sottolineato ancora di più un umore simile. Però questo è un disco influenzato moltissimo non solo dal blues ma da tutto quello che è folk popolare del sud Italia, che ti fa ballare al ritmo del dolore. È quello che succedeva col blues, che si scriveva sul tempo dei padroni, cioè sul tempo che i padroni imponevano ai neri sui campi.

Nel pezzo di apertura c'è un verso che mi è piaciuto molto: "Certe volte la canzone è un asino che raglia, e l'amore è una faccenda troppo complicata per lasciarla a voi".
Cesare Basile: È una canzone sul controllo. Ho notato che in generale il ruolo del sorvegliante appartiene al potere. Negli ultimi anni però i cittadini hanno assunto questo stesso ruolo e si fanno lusingare dal potere. Il sorvegliare investe sempre di più anche le nostre questioni private, i sentimenti. È come se in qualche modo l'ideologia del potere sposata dai cittadini vada a influenzare il nostro intimo. L'avvelenamento di oggi non riguarda soltanto il convivere con le strutture della società ma anche i rapporti fra le persone, fra padre e figlio, fra uomo e donna, fra amanti. Credo che questo esercitare il controllo e farlo esercitare ai sudditi sui sudditi stia investendo soprattutto l'idea che noi abbiamo della vita.

Hai mai pensato di dire "Basta, me ne vado da questo paese"?
Cesare Basile: Una volta me ne sono andato a Berlino, poi però sono tornato. Credo che oggi non abbia senso una cosa del genere, perché andarsene vorrebbe dire non tornare più. Se vuoi metterti in gioco l'unica cosa da fare è rischiare sul lavoro, col tuo vicino, strada per strada. Stiamo assistendo sempre di più a uno scontro di concezioni della vita, che si riducono a un'idea di rispetto della dignità dell'individuo e a un'idea di individuo come essere da sfruttare.

Manuel Agnelli spiegò anni fa che questo è un paese in cui nani e ballerine possono dire qualsiasi cosa ma la stessa cosa non può farla un cantante.
Cesare Basile: Quasi ogni soggetto viene delegittimato quando dice cose scomode o comunque vere. Questa frase è interessante perché fotografa un ruolo cui sono stati relegati gli artisti, o forse un ruolo cui si sono lasciati relegare. Per troppo tempo gli artisti hanno permesso che si potessero dire loro cose del genere. Manuel non è uno di questi, non è uno che le manda a dire. Credo che chi fa arte debba passarsi una mano sulla coscienza. A differenza di quello che pensano i nani e le ballerine chi fa arte ha una grande responsabilità e un ottimo grimaldello in mano. È sempre una questione di mettersi in gioco, anche in questo caso.

Forse manca una sorta di coordinamento fra i musicisti. Cosa che non succede con gli attori, per esempio, che ultimamente hanno manifestato contro i tagli del governo. È come se i musicisti diano per scontato che per loro non ci sono neanche le briciole previste per il cinema.
Cesare Basile: I musicisti non hanno mai ricevuto una lira. Per lo meno i musicisti del nostro mondo. Siamo sempre stati abituati a sbrigarcela da soli. Forse gli unici soldi che riceviamo di riflesso sono quelli che vengono dati ai comuni per le manifestazioni estive. I tagli alla cultura riguardano tutti, però è chiaro che a muoversi sono le corporazioni che sono state finora garantite e tutelate. Questo sarebbe un discorso lungo, ovviamente non voglio beghe con gli attori o, per esempio, con coloro che lavorano negli enti di musica lirica. Non abbiamo mai avuto una sorta di organizzazione che portasse i musicisti a parlare fra di loro. Non siamo mai stati una corporazione perché non abbiamo mai avuto nulla da difendere.

Nell'ultimo disco dei canadesi Broken Social Scene, "Forgiveness Rock Record", c'è scritto che la band ha ricevuto un supporto economico dal governo del loro paese.
Cesare Basile: Ma il governo canadese ha una politica completamente diversa. Il governo canadese investe.

E perché una cosa del genere non è pensabile da noi?
Cesare Basile: In Italia chi fa musica leggera non viene considerato un lavoratore. Siamo un paese primitivo. Non è una professione, per loro. Non c'è né da parte delle istituzioni né da parte delle persone l'idea di considerare il musicista un lavoratore che investe tempo, soldi, dolore, studio per fare un mestiere a tutti gli effetti. Figurati poi se parliamo di musica indipendente, e dico indipendente solo per individuare un mondo che non è quello di Sanremo, non per mostrare un amore particolare per la musica indie e per questo termine. Nel resto del mondo non è così. In Belgio il ministero della cultura mette a disposizione dei fondi che permettono ai gruppi di realizzare i dischi, perché si rendono conto che tutto questo produce posti di lavoro e quindi esporta cultura locale all'estero. Qui in Italia c'è tanto da fare. Non l'ha capito il centrosinistra, figuriamoci il centrodestra. Peraltro non l'avevano capito nemmeno il Pci e la Dc.

In Italia poi si chiudono i locali dove si suona dal vivo.
Cesare Basile: Chi chiude i locali non si pone il problema perché non pensa di bloccare una crescita o uno sviluppo professionale di qualcuno. Poi io penso che i locali vengono chiusi perché si vuole evitare che forme di cultura diversa abbiano diffusione. Sono disposto a credere che, chi chiude i locali, lo fa per ignoranza. Però secondo me sa anche perfettamente cosa fa.

Il che è inquietante.
Cesare Basile: È molto inquietante. Non credo che la cultura in Italia venga penalizzata solo perché chi deve supportarla non si rende conto di questo. Il punto è che la cultura crea capacità critica. Una cosa che non vuole nessuno.

Come mai sei scappato da Milano qualche mese fa?
Cesare Basile: Non sono scappato. È una cosa che non ho mai detto. Me ne sono andato da Milano dopo averci vissuto sette anni, dopo averla amata e rispettata. Mi hanno dato tanto le persone e i luoghi, mi hanno fatto crescere come mi è successo in altre parti del mondo in cui mi sono trovato. Da Milano me ne sono andato perché pensavo che quello che avevo fatto lì fosse arrivato alla fine. C'erano delle cose da fare in Sicilia, a casa mia.

Per esempio l'Arsenale, federazione siciliana delle arti e della musica.
Cesare Basile: Non solo. Volevo pensare alla mia vita, a me come individuo che vuole costruire delle cose che non avevo voglia di costruire da un'altra parte. Sono convinto che oggi sia importante scommettere su quest'isola. E l'Arsenale alla fine è stata una conseguenza. Sono tornato a Catania non a cuor leggero. Ci ho messo due anni e mezzo a capire se fosse il caso o meno di lasciare Milano. Ho dovuto elaborare un dolore, una rabbia, una promessa che avevo fatto a me stesso di non tornare mai più, probabilmente una promessa che tanti siciliani prima di me hanno fatto. Alla fine ha vinto l'isola. Però se deve vincere non deve farlo solo con me. Voglio vincere contro quelle persone che questa terra l'hanno mortificata per tanti anni.

Che tipo di isola stai trovando?
Cesare Basile: Ho trovato un'isola abbastanza simile a se stessa, se non peggiorata per molte cose. Con le persone che lavorano nell'ambito della musica volevamo comunicarci attraverso l'Arsenale questo senso di stanchezza e imprescindibilità nel dover prendere posizione. Non sapevamo profondamente cosa fare, però avevamo questa intuizione. Ora bisogna capire se questo basterà per andare avanti. L'Arsenale vuole essere una rivendicazione attiva di spazi ed esigenze.

Hai trovato terreno fertile tra i musicisti?
Cesare Basile: Sì, non abbiamo dovuto parlare molto. Le discussioni sono state brevi. Avevamo tutti le idee chiare. Sapevamo solo che dovevamo fare qualcosa adesso.

Presenterai il disco con una serie di concerti in Sicilia.
Cesare Basile: Sì, almeno in questa prima parte di tour. Ma non si tratta di spocchia nei confronti del resto della nazione. Ho pensato che, visto quanto sta succedendo con l'Arsenale, quel minimo di nome che mi sono fatto poteva essere utile per il progetto. Scegliere la Sicilia come territorio per promuovere il disco, cercando di toccare punti che normalmente vengono ignorati dai concerti. In Sicilia quando va bene i gruppi fanno tre date. Noi abbiamo fatto una scommessa, mettendo un po' di appuntamenti anche in posti anomali, pure a casa delle persone. "Ovunque in Sicilia tour", insomma. È possibile fare cultura dappertutto.

Perché Sanremo diventa un momento ineluttabile per gran parte degli artisti italiani?
Cesare Basile: Non so. Io probabilmente ci andrei perché dev'essere tremendamente divertente. Credo che si tratti di necessità, per chi ci va, di rilanciare la propria carriera. È una vetrina inutile e in malafede. Quest'anno con la vittoria di Vecchioni, che peraltro stimo, sembra quasi che l'Italia si sia svegliata e civilmente impegnata da un giorno all'altro.

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L'articolo Cesare Basile - La federazione siciliana delle arti e della musica, 04-04-2011 di Manfredi Lamartina è apparso su Rockit.it il 2011-04-04 00:00:00

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