Ieri ho pubblicato una riflessione sullo stato della musica live, nella quale ho provato a capire quando e se torneranno a farsi i concerti in Italia. Davvero bisognerà aspettare un anno e mezzo? Perché noi no e loro si? Dopo aver letto l'articolo mi ha scritto Federico Dragogna, chitarrista/autore dei Ministri e produttore, fra gli altri, de Le Luci della centrale elettrica. C'è voglia di confronto non solo sul futuro della musica, ma dell'intera società. “Da un paio di giorni mi girano i coglioni”, mi dice. “Mi vengono in mente un sacco di attività che presto avranno il via libera, molto più partecipate di un concerto all’Estragon. Mi chiedo se a un certo punto ci sarà bisogno di dissenso in questa narrazione 'salute-centrica', e come sarà possibile esprimersi senza essere silenziati. Bisognerà capire su quale principio fondare ordinanze e disposizioni, cioè in fondo su quale principio fondare la stessa idea di vita”. Io e te abbiamo bisogno di parlare, gli rispondo.
Sei preoccupato?
I più preoccupati sono quelli del settore live, è indubbiamente la filiera più sconfortata. Mi viene da dire che forse si stanno facendo profezie nerissime, anche rispetto ai dati che abbiamo, per poter fra un paio di mesi essere più speranzosi. Come quei pessimisti che la mettono giù pesante, così se non va così male hanno di che ripartire. Invece chi come me aveva scritto canzoni ha un problema più contenutistico: avere in mano materiale inefficace perché legato al mondo di prima. A meno di stare totalmente fuori dal tempo, è difficile trovare le parole per un futuro che non vediamo.
Cosa ne pensi degli appelli di Stefano Massini e Tiziano Ferro?
Non si riesce a capire che il tracollo dell'industria dell'intrattenimento e della cultura si porta dietro il tracollo di tutto il resto. La rivendicazione è una questione di tempismo: in questo momento è forse prematuro sottolineare questa battaglia perché prima ci sono una serie di punti deboli che vanno scardinati.
Ieri, dopo aver letto il mio articolo sui live in Italia, mi hai scritto: “chissà peró se nei prossimi mesi non arriverà il giorno in cui si dovrà cercare di forzare la mano – specie in Italia – per rivendicare il diritto a certi assembramenti, invece che altri”.
Ho seguito in questi giorni varie opinioni sul “dopo”. Al netto del fatto che credo che sia un momento in cui tutto quello che capita a livello di ordinanze e riflessioni stia sotto la cupola dell'emergenza (che è una cupola sensata: se fossimo usciti tutti, gli ospedali sarebbero andati in tilt completo), immaginare con le stesse premesse dell'emergenza di adesso tutta quella che sarà la vita dopo – anche se ora è tecnicamente corretto – non lo trovo giusto di principio. La nostra vita deve dipendere da principi e non dall'emergenza.
Sei dunque convinto che alcune delle scelte fatte durante l'emergenza rimarranno strutturali anche dopo.
Ci sarà una parte di classe dirigente che cercherà di mantenere quanto più possibile queste scelte emergenziali. Questo deriverà anche dal fatto che parte della nostra classe governante è vecchia e ricca, e queste misure di chiusura e distanziamento sociale sono a tutela soprattutto degli anziani e meno impattanti in certe condizioni economiche. Prima di tutta questa sciagura c'erano –senza fare benaltrismo – tante persone che vivevano in condizioni di rischio, eppure nessuno si chiudeva in casa per diminuirlo. Ci sarà un momento dove bisognerà valutare se chi ci sta dando una serie di misure continuerà a darle in nome della sua prospettiva.
Uno scontro generazionale, insomma.
Se per evitare un qualsiasi rischio e mettere “in sicurezza” si decretasse che la vita sarà senza concerti, senza baci, senza abbracci, se avessi ventanni direi: fatemi vivere la mia vita, con tutti i rischi e le incertezze che ci sono. Voglio viverla come avete fatto voi.
Ci saranno le brigate carbonare del bacio...
Perchè no? Mia madre – 68 anni, attivissima: ha un'agenzia fotografica, lavora dall'ex camera mia – da tre/quattro anni è rinata quando sono nati i suoi nipoti, figli di mio fratello. La prospettiva di vivere senza i suoi nipotini è assolutamente inaccettabile. Lei è la prima a dire che se fosse così diventerà una fuorilegge: “il mio piacere e la mia vita è crescere i miei nipoti”. Non solo brigate di baci notturni, ma anche brigate di nonni romantici.
La vita di un anziano vale più di un musicista? Fino a che punto la società può prediligere uno rispetto all'altro?
In questo caso lo scambio è imperfetto. Non è che “far vivere un anziano” tolga di per se stesso la possibilità di fare musica, magari gli toglie la possibilità di farla come primo lavoro. Esagerando, mi chiedo se ad un certo punto saranno gli anziani i primi a dire: ok, adesso stiamo in casa noi e voi continuate a costruire questo mondo. Nessun genitore vuole seppellire il proprio figlio. Oggi è morto lo scrittore Luis Sepúlveda. Se lo volessimo riassumere in uno slogan: “vola solo chi osa farlo”. L'idea in lui che la vita sia anche coraggio di viverla è forte. Non credo che un secondo prima abbia maledetto i giovani in giro, o il presente. Penso che uno scrittore che ha scritto queste cose sia morto con il cuore felice di aver vissuto quel che ha vissuto.
Come giudichi l'operato del governo italiano?
Non riesco a giudicarlo da un punto di vista tecnico, su come si gestisce l'emergenza. Penso potesse andarci peggio. Sull'informazione e comunicazione, noto due problemi: si sta dando per scontato il possesso di dispositivi che non sono scontati né distribuiti dallo Stato, quali banalmente cellulari e connessioni internet. Tutta l'informazione (decreti, leggi, comunicati) è passata solo da lì. Tecnicamente, se sceso in strada, potevo prendermi una multa da cinquecento euro dove mi veniva contestato di non aver visto una diretta di Conte su Facebook o in TV, che peraltro paghiamo con canone in bolletta. Questo è inaccettabile. La digitalizzazione dovrebbe passare da dispositivi forniti dal Governo.
Come ti immagini il tuo futuro da musicista?
In realtà non me lo immaginavo più neanche prima. Come dici, c'era un processo già in atto: la musica era stata largamente svenduta. Lo stesso budget per registrare un disco era ormai descritto dalle case discografiche come una cosa inutile: budget? Puoi fare tutto a casa! Mi immaginavo un futuro per restare a galla. Ero e sono convinto di continuare a scrivere canzoni, lo farò finché non è finito tutto. Ma mi rendevo conto della mia impossibilità di fare qualcosa di più ampio, tipo fare una famiglia basandomi sul mio lavoro.
Questa crisi è evidentemente un accelleratore di processi già in atto, dalla globalizzazione alla digitalizzazione.
Sicuramente è anche una questione di tecnologia. Ricordi quando alcuni artisti come Bjork, Peter Gabriel o Radiohead si tenevano fuori da Spotify? Ne parlavo spesso con Toffolo: dovremmo trovare modi di opporci a questa deriva.
La musica dovrebbe dunque avere un ruolo nella lotta al predominio tecno-scientifico? Che sia il momento in cui la figura del musicista engagée deve tornare in campo?
Sì, soprattutto se ci sarà impedito di esprimerci e di far radunare la gente. Noto che questa cosa dell'assembramento, che è oggi diventata una parola con peso negativo, è costante in ogni dittatura. In questo senso dato che a riunire la gente ci pensa solo la musica o lo sport con modi diversi, credo che la funzione della musica più che nei temi (non ci servono nuovi anni Novanta) sia nel coraggio di riuscire a fare la musica, portarla alla gente, e spegnere questa paura rispetto ai corpi e al biologico. Mi viene in mente una festa delle medie con la pista da ballo vuota, dove tutti hanno paura di avvicinarsi agli altri. A un certo punto qualcuno inizia a ballare e fa partire tutto. Spero che la musica abbia la funzione di annullare il distanziamento sociale.
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L'articolo Federico Dragogna, Ministri: "Rivendico il diritto ad assembrarci (e a volare)" di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2020-04-16 16:11:00
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