Esattamente un anno fa usciva "Cratere", il primo singolo di Frah Quintale. Nella redazione di Rockit.it quella canzone iniziava a suonare sempre più spesso, tanto da essere diventata una dei nostri pezzi dell'estate 2017. Poi è arrivata "Nei treni la notte", stava avendo il suo buon seguito e sapevamo sarebbe uscito un album a breve. "Ciao Frah, siamo di Rockit.it, ti andrebbe di vederci? Non è proprio un'intervista, ci beviamo una birra, facciamo due storie, ci diciamo due cazzate". Noi Frah l'abbiamo conosciuto così, sbronzi al Birrificio di Lambrate (la cosa è finita in una nostra diretta, il reperto è ancora su YouTube). Da lì in poi, nel giro di qualche mese, arrivano l'album, le playlist, le interviste, il live al Circolo Ohibò e quello al Magnolia, con il pubblico che conosce le canzoni a memoria. Nulla di strano in tutto questo, se non fosse che un processo evolutivo che normalmente dura sei anni qui è durato sei mesi. Ma a chi scaglia contro il fantasma della gavetta, ricordiamo che Frah Quintale è uno che questa roba la fa da un pezzo. Per capire però cos'è successo ora e quanto sia cambiata la sua vita da quella volta lo becchiamo in una sala prove di Bologna, dove sta preparando il nuovo tour.
L'ultima volta che ci siamo visti è stata al Birrificio di Lambrate, quando non era nemmeno uscito Regardez Moi, da lì sono cambiate un po' di cose nella tua vita.
Sì, sono cambiate un po' cose da quella volta. Innanzitutto ho una casa, per esempio.
Bene! Quindi non squatti più nell'ufficio di Undamento?
No, non squatto più! Questa cosa mi ha fatto sentire un signore (ride). A parte le cazzate, anche se è vero che ho trovato casa finalmente, dopo essermi appoggiato per un po' in ufficio, sono cambiate davvero un po' di cose nella mia vita. Come sempre, quando una situazione nella tua vita cambia hai dei lati positivi e alcuni negativi, non dico che ora sia tutto rose e fiori, ma sono felice. L'altro giorno ci è arrivato il vinile, mi sono reso conto che non ascoltavo il disco per intero da novembre. Sarà il vinile che mi fa un effetto disco senza tempo spedito dallo spazio, ho rivisto tutto l'anno passato e mi è venuta già un po' di malinconia. Poi però penso anche che sicuramente tra dieci anni mi guarderò indietro e lo ricorderò come uno dei periodi più fighi in assoluto della mia vita.
Immagino che anche suonare ora sia diverso.
Chiaro, è sempre stato una figata per me suonare, anche prima di tutto questo. Ora però quando vai in un locale hai quasi la certezza che andrà bene, che ci sarà gente, che qualcuno saprà i pezzi a memoria. Non hai più quell'ansia dell'incognita totale sulla riuscita di un live. Sono cose cambiano, è normale, come l'approccio delle persone del resto. Qualcuno è più trasparente e qualcuno meno, c'è sempre qualcuno intorno che è con te solo per interesse, per avere da te qualcosa, ma c'è anche ci c'è perchè ti vuole bene. Io comunque rimango un tipo tranquillo, dove mi metti sto.
Vero, per come ti conosco penso sia inutile chiederti se il successo ti ha cambiato, non credo sia così. Indirettamente però te lo sto già chiedendo, quindi dai, ti senti cambiato un po' anche tu?
Più che cambiato mi sento più adulto, ecco. Sono più consapevole di dove sto andando e mi sento più maturo. Un po' meno salti nel buio e un po' più strade da seguire. Un po' meno mood da zingaro insomma. Per quanto poi io sia ancora quella roba lì, sono rimasto così, ma ora so gestirmi molto meglio. Capisco che come lavoro, come mi muovo, determina tutta la mia vita. Ho degli amici che stanno a Milano da meno di me, tempo sei mesi da quando si trasferivano e li trovavo già belli sistemati e con il posto di lavoro, io restavo il coglione di sempre, che dorme in studio e non ha un soldo. Ora sono anche io un po' swag lavoro.
Macchinone e superattico?
No, quello no (ride). A parte gli scherzi, non intendo quella percezione del lavoro per cui ti senti superiore agli altri, per cui cammini a mezzo metro da terra e pensi di poter comprare le altre persone. Mi sento più che altro nobilitato dal mio lavoro. Mi sono dato un metodo, disciplina e ho raggiunto dei risultati. Sono orgoglioso di quello che ho fatto, mi sembra una benedizione, ma è la mia roba e voglio farla bene, senza menarsela e senza menate, ma farla al meglio di quello che posso.
Ti è capitato di essere cercato da artisti con cui magari sei cresciuto e che hai sempre ascoltato, e che ora ti hanno fatto complimenti o chiesto collaborazioni?
Certo, mi è capitato ma ho rimbalzato un po' tutti in realtà. Non voglio fare il drago, non è per spocchia, è che preferisco non essere troppo prezzemolino. Non vorrei essere quello che da un giorno al'altro compare dovunque e con chiunque, è importante fare un passo indietro e preservarsi, senza esporsi troppo, soprattutto in questo momento. Penso che si stuferebbero tutti molto presto di me se fossi ovunque. Ho beccato Guè Pequeno recentemente, è sempre stato uno dei miei preferiti in assoluto, conoscerlo è stato figo. Poi c'è Bassi, con cui ho lavorato per 64 barre, che è un gigante.
Tua madre cosa dice ora che ha un figlio famoso?
In famiglia è vissuta in maniera abbastanza tranquilla questa cosa, però è contenta. Ogni tanto mi manda i selfie dai manifesti che trova in giro per Brescia, poi non so se fa la figa con le amiche ecco, ma non credo. Più che altro credo il suo sia orgoglio, mi ha sempre sostenuto in quello che facevo, anche se non sempre capiva bene il mio mondo ha sempre visto quanto mi ci sono messo e in che modo. Non mi ha mai detto cose tipo "trovati un lavoro vero", nemmeno quando le cose non andavano così bene, anche perché comunque per quanto fossi accattone vedeva che non sono Metroman (per chi non frequenta i mezzi pubblici milanesi, ci stiamo riferendo ad uno dei grandi eroi del nostro tempo). È una di quelle che si va a leggere tutti i commenti sotto la mia roba, ancora non si capacita dei messaggi d'amore delle tipe.
C'è stato un momento preciso in cui hai pensato "forse ce l'ho fatta"?
Non mi sento mai arrivato. Kanye West ce l'ha fatta, non io. Rimango sul chi va là, e comunque ho sempre visto la cosa crescere. Quando ho visto come stava andando ho pensato "ok, forse sono riuscito a trovare una strada, a creare un organismo coerente, che funziona", ma non mi sono sentito arrivato. Credo la cosa più difficile sia ora mantenere questa cosa, perchè non sarà infinita. Farcela per me non è arrivare, è restare.
Su questo dici bene quando scegli di preservarti, e non essere troppo prezzemolino.
Io per primo se leggo, vedo e sento un nome duecento volte in un anno mi rompo i coglioni, se invece lo sento cinque, ma quelle cinque mi rimangono impresse, allora la cosa funziona. Bisogna essere un po' previdenti su questo secondo me, non voglio essere il fenomeno che ha il tour quest'anno e poi il prossimo lo vengono a sentire in tre. E poi stare un po' nell'ombra è bello, senza dire "oh, questo è il mio momento puntatemi i riflettori addosso", mi piace ogni tanto defilarmi e godermi ogni piccolo traguardo. È questo ti aiuta a tenere i piedi per terra.
"Lungolinea" diveta un cd, disponibile su Spotify e in allegato al vinile di "Regardez Moi". "Lungolinea" era però la tua playlist Spotify in cui dentro mettevi provini, note audio, demo e tutto il work in progress dell'album condiviso in tempo reale con chi poi lo avrebbe ascoltato finito. Siamo davanti alla crisi del supporto fisico, oggi i cd sono più simili al merch che non alla loro natura, questa potrebbe essere una strada aperta dalla fine dell'era fisica e l'inizio di quella digitale nella musica: un album in cui l'utente è parte del processo e non solo del pacchetto finito.
È un progetto figo, ci sono dalle note audio a 64 barre, fino al brano con Giorgio (Poi, ndr.). Da questo discorso tirerei un po' fuori i vinili che secondo me sono una cosa a parte, ma sono d'accordo, comprare il cd oggi assomiglia a comprare la maglietta o la tazza. La cosa più bella è che potevamo cambiare le cose in corsa, per noi Spotify era allo stesso tempo un social e un termometro di come stavamo lavorando. Esempio: "Accattone" è nata grazie a quella playlist. Ho abozzato il ritornello e l'ho caricata su "Lungolinea", alla gente è piaciuta ed abbiamo deciso di metterla in "Regardez Moi". Ecco, poi non ti so dire se questa cosa può essere un modello o no, non abbiamo questa presunzione. Io sono gasato dai bootleg, dalle cose un po' marce, mi piaceva che ci fosse questa idea qui. Molto vera e poco rifinita.
Il suono Quintale è chiaramente dovuto a quello che fai, ma non solo a te. Senza Ceri penso che "Regardez Moi" sarebbe stato completamente diverso. Quanto conta il momento della produzione nella scrittura di un tuo pezzo?
Quella parte è fondamentale, poi Ceri è un campione. È uno che parte da un beat solo cassa rullante, poi ci smatta sei ore e magari quello ritorna cassa e rullante, ma nel frattempo ci è finito dentro il mondo. Ceri ha una parte importantissima nel risultato finale, credo sia uno che tra cinque anni, se non già adesso, potrebbe dettare davvero degli standard. Ha il talento di mettere a fuoco i progetti, capisce subito dove una canzone vuole andare e la sviluppa a seconda di chi la fa e dove bisogna metterla. Il disco nostro è forse un 50 e 50, è vero che c'è la cosa della scrittura di cuore, che magari ti colpisce, ma le produzioni sono fondamentali.
L'alchimia più figa è che il vostro prodotto finito è originale, non ricorda nulla di preciso. Ci sono tante influenze, ma quel suono è il vostro. Un po' come quello che sta facendo la Lovegang.
Non volevamo fare quelli che prendono dalla trap, o dal rock, e li mischiano. Siamo pieni di influenze certo, ma volevamo fare una cosa nostra. Credo questa cosa in Italia manchi per paura di sbagliare. Non dico che noi abbiamo sempre fatto tutto bene, anzi, e infatti spesso ci siamo presi la merda. Capisco che non sia semplice giocare a questo gioco.
Graffiti pop, cantautorap, indie rap. Ti chiamano in mille modi, ne hai uno che preferisci o in fondo, come sarebbe anche giusto che sia, non te ne frega niente?
Street pop vecchio, l'ho inventato io! In realtà davvero non mi interessa più di tanto. La solita storia, ma è vero che non serve a niente e a nessuno nel 2018 mettere etichette. Sono finiti i compartimenti stagni, oggi non c'è più bisogno di identificarsi con qualcosa ed è bello così, perché puoi fare quello che ti pare. Come il mio pezzo con Giorgio Poi, ad esempio. I generi servono solo a chi fa gli studi di mercato.
Anche perchè tendenzialmente chi si vende da subito come un'etichetta appiccicata di solito ha un coefficiente di sfiga pazzesca.
Chiaro! (ride). Come quelli che dicono di fare gangsta rap, certe cose non le dici. Se lo sei lo fai e basta, o ce l'hai o non ce l'hai, non ti svegli una mattina e dici adesso mi metto a fare sta roba qui.
Il 21 aprirai Calcutta a Latina insieme a Mèsa e De Leo. Come te la stai vivendo?
Assurdo, sono gasatissimo. Anche perché se avessimo avuto una data e non fossi riuscito ad andarci mi sarebbe dispiaciuto, volevo vedermi almeno una delle due date. Quando me lo hanno detto la prima cosa che ho pensato è stata "Bella! Mi vado a vedere il live gratis".
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L'articolo Cambia tutto sì, ma non me: Frah Quintale racconta il suo ultimo anno di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2018-06-29 10:01:00
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