Hachiko: un cane fedele alla ricerca del vero indie

Francesco De Leo come Richard Gere? Ok, magari no. Ma fatto sta che il fondatore dell’Officina della Camomilla, dopo anni di “militanza” nella scena, ha fondato una label in cui fare “tutto quello che gli pare”. Gli abbiamo chiesto i motivi di questa scelta nel peggior periodo per la discografia

Francesco De Leo ha creato Hachiko Dischi
Francesco De Leo ha creato Hachiko Dischi
10/11/2021 - 12:30 Scritto da Marco Beltramelli

Con un semplice post su Instagram Francesco De Leo ha annunciato di aver fondato la sua etichetta, Hachiko Dischi. Il cantautore, già fondatore dell'Officina della Camomilla e in seguito solista con La Malanoche, album del 2018 per Bomba Dischi prodotto da Giorgio Poi grazie al quale ha girato l'Italia in concerto e ha aperto per Calcutta nel tour di Evergreen, ha deciso di mettersi in proprio e di auto produrre la propria musica senza intermediari.

Una scelta di certo coraggiosa dopo due anni pandemici in cui il mercato discografico è colato a picco, dopo aver fatto parte di label importanti, che hanno fatto la storia recente del pop italiano come Garrincha e Bomba. Ci siamo fatti spiegare il perché di questa scelta direttamente da lui.

 

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Perché hai deciso di fondare un’etichetta?

Dopo più di 10 anni di attività musicale nel panorama indipendente italiano, ho sentito l’esigenza di creare una realtà discografica tutta mia. Essendo un fautore del do it yourself ho sempre sposato questa filosofia, registrare, suonare, scrivere e stampare dischi da solo. Ho preso spunto da uno dei miei idoli di gioventù Calvin Johnson, frontman dei Beat Happening, che fondò nel 1982 a Olympia la sua K Record scritturando artisti come Beck, Kymia Dawson, Melvins e The Microphones. Adoro questa attitudine e credo che sia anche la mia. 

Era un’idea che avevi prima della pandemia o che hai maturato durante il lockdown? 

Sicuramente la pandemia mi ha fatto riflettere su molte cose, però sì, è sempre stato un mio sogno aprire un’etichetta. Poi personalmente non mi vedo solo come un cantante e basta, sono molto interessato alle nuove realtà musicali e inoltre volevo lanciare una sorta di messaggio, nel mio piccolo, un qualcosa legato a un sentimento di rinascita, ad una resistenza se vuoi, dopo aver trascorso questo periodo folle, mi sembrava il minimo di dover fare. 

Non è una scelta troppo coraggiosa in un periodo complicato come questo per la musica?

Sì, ma se non rischi allora stai a casa o ti dedichi ad altro. Credo che fare una scelta del genere sia sempre un rischio, anche nei periodi diciamo “normali” e specialmente in Italia. Però, paradossalmente, trovo anche che siano tempi molto floridi, da un punto di vista della fruizione e del passaparola digitale. Per dire, ho fondato la mia etichetta il 29 settembre e già parecchie persone lo sanno, grazie ai social. Se lo avessi fatto negli anni '70 probabilmente non mi avrebbe cagato nessuno. Sono cambiate molte cose, anche il concetto stesso di etichetta. I dischi non si vendono più e la remunerabilità è tutta sul digitale. Le cosiddette “etichette indipendenti” somigliano sempre più a delle agenzie di management mantenendo un’ambiguità di fondo sul doppio ruolo di management e quello di discografici ma in realtà il loro lavoro consiste più che altro nello sviluppo di strategie comunicative. 

 

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Se devo dirla tutta credo che ogni artista, prima o poi, debba aprire la propria etichetta, per tutelarsi ed avere il controllo totale sulle sue opere, controllo sia artistico che economico. 

Forse questa è una visione un po' utopistica, però a me piace crederci, quindi, mi piace pensare che un giorno sarà veramente cosi. 

Sei stato scritturato da Garrincha e Bomba dischi, due dei nomi più importanti nel panorama italiano delle label indipendenti. Cosa ti hanno lasciato queste esperienze?

Ho imparato molto, in tanti mi hanno voluto però la cosa più grande che mi hanno lasciato è l’irrefrenabile voglia di fondare una mia etichetta riconquistando la piena autonomia.

Perché hai scelto proprio questo nome?

Hachiko è un cane di razza giapponese, famoso per la sua lealtà, sono stati scritti molti libri e film sulla sua leggenda, hanno costruito anche una statua a Tokyo in suo onore, mi piaceva come idea... Poi rimanda anche ad un immaginario orientale, se vuoi un po' vaporwave , e nel suo nome comprende le iniziali del mio regista preferito Harmony Korine e le prime tre lettere del genere musicale Chill Hop. Suona bene ed è figo graficamente da leggere. Hachiko Dischi. 

Scritturerai altri artisti?

Mi sono già arrivate dozzine di mail e dm su Instagram di band e artisti che mi proponevano di ascoltare i loro soundcloud privati.  Guarda, per adesso mi dedicherò solo alle mie uscite, ma non escludo in un futuro non troppo lontano, di scritturare artisti con progetti che reputo validi. Mi piacerebbe un casino.

Sei ancora l’enfant terrible della musica italiana?

Hahah chiaro, forever!

Quando debuttasti la trap, almeno in Italia, non esisteva ancora. Credi che i nuovi “enfant terrible” si nascondano in questo genere?

Mah non lo so questo sai, li vedo più come scaltri imprenditori digitali di successo... comunque può essere. Non disdegno la trap eh, credo sia un po' morta come wave no? Poi ultimamente sono costretti a contaminarsi con altri generi per sopravvivere, e non capisco più cosa sia trap e cosa no.

I numeri sostengono gli autori che hanno mosso i primi passi con te, è esploso l’itpop, è arrivata la trap e i Måneskin sembrano aver riportato in auge il rock. Ma, in tutto questo: la vera scena indipendente è morta? 

Eh questo è un grande quesito cazzo... Quando ero ragazzino io, che sono del 91, l’indie era ancora una cosa impegnata, politica. C’erano gruppi come gli Offlaga Disco Pax, Le luci delle centrale elettrica, Il teatro degli orrori, Giorgio Canali, insomma roba che parlava a un pubblico di sinistra, non si era ancora formato quel circuito/mercato più pop che è arrivato con l’esplosione dell’ indie-mainstream più liquido, nato nella seconda metà degli anni '10, i social non erano così influenti come oggi e non c’era ancora Spotify.  Ora siamo tutti social-addicted , siamo inglobati in quest’epoca del, passami il termine, “ Digital-Capitalismo”. Forse adesso, tutti noi apparteniamo ad un’unica scena, quella dei social? C’è qualche differenza tra Gazzelle ed Emma Marrone? Non lo so... io credo che alla fine l’importante sia produrre del materiale di qualità. Poi sì, credo che il concetto di scena sia morto, la musica è diventata più una forma di intrattenimento virtuale, una playlist, un fast food, ed essendo bombardati di notizie pesanti ogni giorno, abbiamo voglia di cose leggere. Non so, sicuramente qualcosa è svanito, però non sono pessimista. In fondo la musica indie in Italia non è mai stata cosi presente nelle classiche radiofoniche o in televisione come di questi tempi, molti artisti indie vengono esposti nei maxi schermi e nelle affissioni pubbliche in giro per le città. Dei segnali positivi ci sono, e anche tanti, vediamo come si evolveranno le cose.

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Se nel primo De Leo sentivo l’influenza dell’indie rock inglese, in quello di mezzo la presenza del cantautorato e della poesia italiani, in Soutine Twist la versione più psichedelica, la musica francese e latina, invece, nel tuo ultimo lavoro. Insomma, cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo capitolo?

Il mio ultimo lavoro innanzitutto è completamente autoprodotto. Mi sono ispirato alla musica contemporanea europea, alla chillwave, alla vapor, insomma alla roba dreamy. Band come i Beach House, Men I Trust hanno influenzato tantissimo il nuovo materiale che uscirà, mentre per quanto riguarda il mondo italiano mi sono ispirato ad artisti come Umberto Bindi, Gino Paoli, Piero Ciampi.

Come definiresti la tua musica?

Italo dream wave 

Fondare un etichetta è sintomo anche di un messaggio più ampio? Non so che musica proporrai ma l’Italia potrebbe essere pronta tipo un dream pop tricolore e la tua etichetta sarà la prima a proporlo?

L’Italia è pronta, noi siamo pronti.

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Quali sono gli artisti che ti hanno sempre accompagnato in tutto il tuo percorso artistico?

Sicuramente I Beach House, Ariel Pink, New Order, Strokes, Arctic Monkeys, Beat Happening, Moldy Peaches. I gruppi della mia giovinezza.

 

Come vedi il futuro imminente della musica? A Milano hanno chiuso diverse realtà importanti per il panorama musicale...

Spero che con l’inizio del 2022 la situazione possa tornare com’era nel pre covid, per tutti noi del settore musicale è stato un vero incubo, ma ci siamo quasi dai. I luoghi che abbiamo perso torneranno a far festa, magari in spazi nuovi, con fatica e pazienza ricostruiremo quello che ci è stato tolto.

Quando usciranno i primi singoli? Stai lavorando ad un album?

Sì, ho appena terminato le registrazioni del mio prossimo Lp che si intitolerà Swarovsky, ed uscirà a inizio 2022. è un progetto dove ho coinvolto diversi artisti che non posso ancora svelare, e la maggior parte di questi ospiti sono artiste donne. Ci sono brani dove io non canto e lascio interpretare i miei testi a delle voci femminili. Ho scritto e prodotto l’intero progetto tra Milano e Bologna in questi due anni e sarà la prima uscita in assoluto per la Hachiko Dischi.   

Nel 2023 cadrà il decennale del tuo primo lavoro ufficiale, Senontipiacefaloatesso 1. Dobbiamo aspettarci qualcosa in quest’ottica?

Non è da escludere un ritorno. Sto pensando a dei progetti e ci saranno delle sorprese, per adesso però non posso ancora dire niente.

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L'articolo Hachiko: un cane fedele alla ricerca del vero indie di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2021-11-10 12:30:00

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