Francesco Pintus, 27 anni, cantautore. Vive a Padova da circa 9 anni, ma è cresciuto in Calabria da madre campana e babbo sardo, insomma: "Un bel mischiotto di origini che ho sempre difeso con orgoglio", dice. Anche ricercatore universitario – si occupa di economia ambientale –, Francesco nel 2022 ha pubblicato Inverni, il suo disco d'esordio. Lo incontriamo per farci raccontare tutto sul suo progetto artistico.
Quando hai cominciato a fare musica?
La mia vita è impregnata di musica da sempre. Ho iniziato gli studi classici di piano quando avevo appena sei anni, e fino ai 18 ho avuto un percorso eterogeneo ma sempre didattico: ho studiato chitarra classica, poi elettrica, poi canto. Parallelamente allo studio, l’ascolto dei dischi e la voglia di suonare insieme mi hanno portato ad avere prima qualche progetto in band, ma anche a scrivere canzoni in solo. Sia per l'esigenza di trovare un mio linguaggio, sia perché scrivevo già tanti testi (poesie, racconti, ecc..) e suonando il processo è venuto spontaneo.
Quando e come nasce Inverni, il tuo primo disco?
Inverni nasce come la summa di una serie di canzoni che avevo scritto nei miei anni di università e che facevo fatica a pubblicare anche per vincoli economici legati alla registrazione. In quegli anni (dal 2018 al 2020) ho scritto un po' di canzoni, più di venti. Quando ho iniziato a pensare al disco alcune avevano un filo comune: la rinascita come riscoperta di sé stessi e non degli altri. Una sorta di rivoluzione dall’interno che effettivamente stavo (e sto) portando avanti.
Qual è il significato complessivo di Inverni?
Inverni è un disco sincero, che ammette (con sincerità) il nostro essere ambivalenti. L’inverno non è solo una stagione: l’inverno è uno stato d’animo, è un modo di vivere, di percepire, di guardarsi o di toccarsi. La verità è che ognuno possiede i propri inverni e li custodisce con cura. Ci destreggiamo in mezzo a vite in cui ogni giorno ci viene rinfacciato che c’è qualcuno di più bravo, di più bello, di più intelligente, di più sveglio, di più qualsiasi cosa. Un mondo in cui ricavarsi un posto in cui essere felici è diventato sempre più complesso, perché la profondità delle azioni ha raggiunto livelli maniacali al solo scopo di schermare le opinioni delle persone dietro mode e convenzioni. E in questo trambusto, si rischia di perdere è sé stessi in favore di una o più idee di noi che tendiamo a rincorrere per un tempo non ben determinato. In quest'ottica riscoprire chi siamo spogliandoci di queste armature diventa la missione più importante, da condurre senza riserve e con la consapevolezza che siamo esseri mutevoli. Io ci provo sempre, con le canzoni, ed è questo che lega tutti i pezzi di questo disco.
Con chi collabori?
Inverni è una produzione indipendente al 100%, non ho quindi collaborazioni discografiche attive. Tuttavia, il disco è nato dalla collaborazione, nella produzione, con Fabio Grande e Pietro Paroletti, che stimavo già tantissimo prima ed è stato bellissimo poter avere al mio fianco in studio. Inoltre, nel disco ho coinvolto anche Francesco Aprili alle batterie e percussioni, altro musicista di cui ho e avevo un’enorme stima artistica e professionale e che ora è anche un caro amico.
Come definiresti la tua musica?
Provo con tutto me stesso, e spero qualche volta di riuscirci, a fare canzone d’autore. A proporre un cantautorato non necessariamente incollato al passato nello stile e nella produzione, ma che conservi l’autenticità di mettere la canzone al centro, quello che si vorrebbe in origine comunicare. Vedo troppo spesso in questi anni quanto il contorto e l’involucro sia quasi più importante del contenuto, ecco da quella cosa lì cerco sempre di scappare un po’, non lo accetterei mai.
Quali sono i tuoi ascolti e a chi ti ispiri?
Ascolto tanta musica, compro sempre dischi quando posso. Penso che tutto ciò confluisca nel mio processo di scrittura ma non ho mai avuto un’ispirazione diretta. Tra i nomi del cantautorato classico italiano quelli a cui mi sento più legato sono Dalla, De Gregori e De André, ma li ascolto tutti ovviamente. Sempre guardando all’Italia ma ad oggi direi Niccolò Fabi, Giovanni Truppi, Colapesce, Iosonouncane e Andrea Laszlo De Simone. Poi ultimamente sono in fissa con Emanuele Colandrea. All’estero ho riferimenti molto legati al cantautorato folk in tutte le generazioni, da Elliot Smith e Nick Drake fino a Sufjan Stevens, Ben Howard, Bon Iver, insomma credo si intuisca dove va a parare questa roba, sicuramente dimentico qualcuno che mi piace molto. Come band ti dico giusto due, tre nomi: i Radiohead (banale), gli Arcad Fire, i The National. Di italiane, i Quartieri credo siano una delle mie band preferite in assoluto.
Ricordi del tuo live più bello, cui sei più "affezionato"?
Da maggio a settembre sono stato abbastanza in giro (rispetto ai miei standard precedenti) per presentare e promuovere questo disco insieme ai miei musicisti. Di tutti i concerti credo che uno dei più significativi sia stato a settembre ad Arcella Bella, festival estivo per eccellenza di Padova. Abbiamo finalmente suonato, dopo più di 15 concerti in formazione sempre ridotta per chiare esigenze organizzative, il disco in full band. Credo che non ci sia nulla di più appagante di portare su un palco esattamente tutto quello che hai fatto in studio senza limiti del caso, chi suona mi capirà. Ecco questo, messo insieme al tipo di clima che c’era (Padova è un po’ la mia città ormai e si percepisce nei live), me lo fa probabilmente ricordare come il più bel concerto di quest’estate.
Progetti futuri?
Sto lavorando a un disco nuovo, le canzoni sono già quasi tutte scritte ma vorrei prendermi il mio tempo per elaborarle e cercare una direzione artistica di cui essere fiero e forse un po’ più consapevole rispetto a prima. Mi piacerebbe anche che il progetto si strutturi un po’ di più, essere meno solo, ecco, ma questo come sappiamo bene tutti non è tanto in nostro controllo.
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L'articolo Francesco Pintus: cantautorato alla scoperta di chi siamo di Redazione è apparso su Rockit.it il 2023-01-02 11:33:00
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