Friedrich hinab

hinab è un artista senza nome che mescola rap americano con le poesie romantiche di Friedrich Hölderlin per sfuggire dalla frenesia dei social

hinab – foto di Marcello Della Puppa
hinab – foto di Marcello Della Puppa

"Non è importante sapere chi sia hinab". Un artista che si presenta così mette subito in chiaro le regole del gioco: "Non posso (non voglio) dire chi sono davvero". Il suo moniker viene da una poesia di Hölderlin. "In Il canto del destino di Iperione la parola “hinab” enfatizza un movimento (fisico e spirituale) verso il basso che rispecchia benissimo gli scenari desolati e disillusi ritratti nei miei testi", dice. hinab – sempre con la minuscola – sfugge dai social e dalle immagini per ritirarsi in un mondo dove il Wu-Tang Clan e MF DOOM incontrano i film di Andrej Tarkovskij e le poesie di Hölderlin. Il risultato è conscious rap dove i beat sperimentali avvolgono testi evocativi che ricordano piuttosto un'epopea mitica. Dopo l'uscita del suo primo ep – ultima necat – siamo entrati nel suo mondo per scoprire come si mescola il rap americano con la poesia romantica e per fare un ripasso di latino.

Quando hai cominciato a fare musica?

Ho iniziato a suonare il mio primo strumento alle scuole medie e da lì ho speso tutta la mia adolescenza tra varie band non troppo fortunate, ma con cui ho condiviso tanti bei momenti. Dai chilometri spesi in tour col gruppo hardcore punk per suonare nelle peggio bettole fino alle marchette negli hotel suonando gli standard jazz. Ho scoperto relativamente tardi il rap, mi sono innamorato del genere una dozzina d’anni fa dopo aver ascoltato per la prima volta La zona morta di Kaos.

Collabori con qualcuno?

Lavoro con novecento, frontman dei Denoise e già collaboratore, tra i tanti, di Rareș e iako. Lo trovo un produttore estremamente creativo con cui ho una grande sintonia artistica. Per la distribuzione mi sono affidato a Mille Piccoli Cieli, neonata etichetta indipendente che sta già promuovendo un buon numero di progetti interessanti come gli Altolucenti, Floral Grin e Colibree. Quest’ultimo è anche autore delle grafiche dell'album e del lyric-video del singolo La giusta distanza realizzato con le foto di Giulia Larepubblica. Proprio per quel brano, la cantante Gioia Ghezzo ha prestato la sua voce. Penso che coinvolgerò nuovamente tutte queste persone nel mio prossimo lavoro in studio.

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Come si chiama il tuo genere musicale?

Diciamo che faccio conscious rap ma un aggettivo che utilizzo spesso per descrivere la mia musica è: sbagliata. Canzoni mediamente troppo lunghe, con tante parole e sample improbabili e quasi mai con un ritornello o una sezione cantata, ma è esattamente per questo che mi piace. Tutti brani che ascolterei anche se non li avessi scritti io. Un altro aggettivo che utilizzo, però con più cautela, per descrivere la mia musica è: sperimentale. Con novecento mi sono divertito a raccogliere idee e a campionare dai genere più disparati. In ultima necat, mio primo disco, uscito a dicembre, c’è stato spazio per Nas e i clipping., ma anche per i Talking Heads, i Funkadelic e Johnny Cash.

Cosa ascolti di solito?

Farei prima a dire cosa non ascolto. Per la scrittura mi rifaccio alla musica rap e al cantautorato, italiano e non, vecchio e nuovo, però nel quotidiano ascolto di tutto: dalla techno alla musica per duduk armeno, dal bebop al math rock, dalla drone alle scuole viennesi. I miei preferiti sono i Beatles, i Godspeed You! Black Emperor, John Coltrane e Steve Reich, tutta gente che in un modo o nell’altro ha influenzato anche il mio processo creativo. Per i testi, tra le mie principali fonti d’ispirazione nel mondo del rap italiano, oltre al già citato Kaos, ci sono Murubutu, Rancore e le prime cose di Mezzosangue e Frankie Hi-NRG. Tra gli stranieri prendo appunti da MF DOOM, Aesop Rock e da gruppi come Wu-Tang Clan, clipping., cLOUDDEAD e Dälek. Tra i cantautori, i miei capisaldi sono Fabrizio De Andrè, Bob Dylan e Leonard Cohen, mentre tra i contemporanei ci sono Matt Elliott e Iosonouncane. Oltre che nella musica trovo ispirazione anche nel cinema di autori come Michael Haneke, Ingmar Bergman, Andrej Tarkovskij, Theo Angelopoulos, Abbas Kiarostami e Wong Kar-wai.

hinab – foto di Giulia Larepubblica
hinab – foto di Giulia Larepubblica

Com'è nato il tuo primo disco?

Parte tutto da alcune rime scritte un po’ per gioco nell’ormai lontano ottobre 2017 e da lì, con gran calma, quei versi sparsi hanno trovato un ordine e sono diventati sei brani che inizialmente non avevo intenzione di mettere in musica. Il nome è stata l’ultima cosa che ho deciso e ci sono arrivato grazie a una poesia di Hölderlin. In Il canto del destino di Iperione la parola “hinab” enfatizza un movimento (fisico e spirituale) verso il basso che rispecchia benissimo gli scenari desolati e disillusi ritratti nei miei testi. Mi piace anche perché questo avverbio non ha un vero significato letterale, quasi come una di quelle parole che necessitano di intere frasi per essere tradotte.

L’idea di dare una veste musicale ai miei versi arriva più recentemente, nel 2021. Ricordo di essere andato da novecento con una playlist e un mucchio di appunti per spiegare il mood che avevo in mente per l’album. Da qui nasce ultima necat. Il titolo prende spunto dalla locuzione latina omnes feriunt, ultima necat (tutte feriscono, l'ultima uccide). Il concept alla base dei sei brani che compongono la scaletta parte da questa frase e la riadatta a diverse esperienze comuni, indaga sulle insicurezze, sulle disillusioni, sulla nostalgia o più in generale su quelle ferite non letali che però definiscono, nel bene e nel male, il carattere di una persona.

Il tutto si apre e si chiude con qualche secondo di silenzio ma se nell'introduzione questo vuoto simboleggia la paura di dover dire qualcosa, nel finale è la leggerezza post-catartica che anticipa un nuovo inizio a seguito di una maturazione.

Come riesci a suonare live senza farti vedere?

hinab non è mai salito su un palco e mai lo farà, però novecento mi ha detto che stava pensando di inserire ottobre (secondo brano di ultima necat) nel suo prossimo dj set. Questo mi farebbe ridere in un misto di imbarazzo e fomento.

A cosa stai lavorando ora?

Sono in piena produzione del mio secondo lavoro in studio. Un concept album, sempre rap ma un po’ più sperimentale per quanto riguarda gli arrangiamenti. C’è della musica elettronica, c’è parecchia musica colta (da Monteverdi a Schubert, da Pergolesi a Nono) e ci sono diversi riferimenti ad altre tradizioni musicali, italiane ed extraeuropee. I testi invece mantengono quel clima terrificante di sempre.

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L'articolo Friedrich hinab di Redazione è apparso su Rockit.it il 2024-01-10 13:28:00

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