È uscito “No Logic No Death” , il nuovo album di Furtherset, ed è molto bello. Più distorto, più ansiogeno e decisamente più maturo rispetto a tutto quello che il giovane musicista umbro è riuscito a produrre finora. Ha tanto talento, è chiaro. La nostra intervista.
“No Logic No Death” è un disco veramente figo, complimenti. Rispetto ad “How To Be You”, il tuo lavoro precedente, sembra decisamente meno luminoso, più cupo. Sbaglio?
Quest'album nasce in momenti particolari dove, per ragioni personali, la tensione era piuttosto alta. L'album precedente era nato in un periodo più calmo, stavo finendo le superiori, ecc. Possiamo interpretarlo come “più luminoso” ma sarebbe sbagliato dire che con “No Logic No Death” avevo intenzione di fare un disco più triste.
Segui un metodo ben preciso quando componi un pezzo?
Non ho un metodo ricorrente per comporre. “No Logic No Death” è stato scritto in una maniera piuttosto immediata: ho usato principalmente le voci per costruire qualsiasi cosa. Sono partito da quelle per poi sovrapporre altri elementi, strati su strati, continuando ad improvvisare e vedendo come le nuove registrazioni potessero costruire qualcosa attorno al pezzo.
Sei uno che passa molti mesi sulla stessa traccia o sono improvvisazioni che nascono e terminano nel momento stesso in cui le hai registrate?
Dipende, ci sono progetti che si chiudono più velocemente, altri che richiedono anche tre quattro sessioni. Però sì, ho un approccio più legato all'improvvisazione. Per quest'album, poi, ho lavorato pochissimo tempo, dalle tre alle sei ore al mese.
Perché così poco?
Non era una questione di impedimenti esterni e non era nemmeno una questione di ispirazione: non sono uno di quelli che dice “sono ispirato devo mettermi subito a suonare”. Per motivi che non sto a spiegarti, mi sono bloccato. Di solito faccio musica quando sento il desiderio di raccontare determinate esperienze, per elaborare certe ansie o paure. Non volevo che la musica diventasse un obbligo, ecco. Mi sono messo a suonare solo quando mi sentivo di farlo.
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Ci sono artisti che si sentono parecchio sotto pressione quando registrano un disco, tu?
Forse la musica – come il disegno, la pittura o la fotografia – è una delle poche cose che non mi dà preoccupazione, è più un sollievo. Tutto viene in modo molto naturale, ovviamente c'è una precisa attenzione ai dettagli ma non la definirei una preoccupazione.
I testi che ruolo hanno?
Di solito li scrivo nel momento stesso in cui li registro o pochi minuti prima. È una sorta di elaborazione di determinati eventi, ansie, paure... Per me sono terapeutici: se in prima istanza mi sembrano delle cristallizzazioni di momenti molto tristi, poi capisco che ripetere queste parole in continuazione mi aiuta ad elaborare quel momento e andare avanti. Sto già lavorando ad un album nuovo e non penso che ci saranno testi. Forse, adesso, sono un pochino preso meglio (ride, NdA).
La domanda se sei un tipo ansioso è inutile che te la faccia.
Be', adesso che l'album è finito, lo sono molto meno (ride, NdA). Magari detta così sembra una cosa un po' naïf ma davvero per me la musica è un modo per elaborare e scaricare tutta quella tensione.
Da quanto ho letto, ti appunti determinate emozioni e poi le traduci in musica. Messa così sembra quasi un processo magico. Vogliamo provare ad approfondire il discorso?
Tradurre un'emozione significa che il pezzo nasce sotto un certo indirizzo. Quella linea, quel taglio, quella direzione è già stata prestabilita. Tutto nasce da un'idea ma poi, strutturandola in una canzone, riesco a interpretarla meglio ed elaborarne il suo significato. Certo non è un singolo strumento, un distorsore o un arpeggiatore a creare un significato o a narrare un'esperienza. E non sta nemmeno a me dire cosa trasmetto con la mia musica, ma io so perfettamente cosa significa per me una determinata canzone.
Mi dici quali sono stati i dischi per te fondamentali e come li hai trovati?
Ti direi “My life in the bush of ghosts” di Brian Eno e David Byrne e “Loveless” dei My Bloody Valentine. Li ho trovati casualmente su internet: “Loveless”, ad esempio, l'ho trovato su Wikipedia cercando la parola shoegaze. Avevo 14 anni.
Io, più o meno a quell'età, ho scoperto Glenn Branca e sono stato fulminato dall'idea che si potesse fare della musica basata sulla ripetizione di una nota sola; tanto che per anni ho solo sentito musica di quel tipo. A te è mai successo?
“Loveless”, ad esempio, è un disco che ritorna spesso tra i miei ascolti e ogni volta scopro un'interpretazione nuova. Anche io sono stato un appassionato di Glenn Branca, “The Ascension” è uno dei miei dischi preferiti di sempre; potrei dire lo stesso di “Low” di David Bowie, oppure dei lavori di Steve Reich o di Philip Glass, sono tutte figure che mi hanno influenzato molto. Le idee forti spesso, però, le individuo in altri ambiti: Francis Bacon è un'artista che mi ispira davvero a livello musicale, Jean Dubuffet, oppure l'espressionismo astratto o il Neo Dada.
E il rumore ti piace?
Dal vivo diventa più importante per via della massa sonora che vuoi creare, in studio non mi ha mai interessato così tanto.
Te lo chiedo perché nella musica elettronica ci sono molti progetti che usano la distorsione in una maniera molto interessante: i Lakker, Ben Frost, Powell, i Fuck Buttons, The Field, ecc.
Molti di questi li ho ascoltati parecchio, soprattutto quando stavo registrando “No Logic No Death”. The Field, i Fuck Buttons... “Aurora” di Ben Frost è uno di quegli album che continuo ad ascoltare all'infinito.
E di altro cosa ascolti?
La lista sarebbe lunga... William Basinski, Alessandro Cortini, Robert Aiki Aubrey Lowe degli OM...
Quindi cose più a flusso, i ritmi non ti piacciono? Che ne so, l'acid techno.
Ascolto anche quella, non dico quotidianamente ma la ascolto. Io ascolto tantissima musica, ma davvero tanta. Da musicista sono più influenzato dai “flussi”, come dici tu, rispetto a determinate figure ritmiche.
Non prenderla come una critica, ma sei piuttosto serio per avere 19 anni.
Magari nelle interviste esce un lato più serio ma se mi conoscessi di persona, se mi beccassi una sera al bar, potresti descrivermi come un completo deficiente; molti mi descrivono così. Non escludo nemmeno che questo mio lato sia così isolato dalla musica che faccio, penso sia un tutt'uno con quello che propongo.
Il fatto che molti siti ti descrivano come un enfant prodige ti pesa?
Su molti il fatto che io sia giovane ha fatto leva, è vero. Dopo un po' ti stanchi pure a leggere sempre le stesse cose: lo so che ho vent'anni ma, detto con modestia, penso di essere qualcosa di più del “giovane ventenne”. O meglio, non è che penso ai miei vent'anni quando compongo un pezzo quindi non mi sembra un dato così significativo per capire la mia musica. Se per chi ne parla invece è importante, buon per lui.
Qual è il tuo limite da musicista?
Non so equalizzare i pezzi o fare un mastering. Il che può avere anche dei lati positivi perché devo sempre affidarmi ad altri e così posso scoprire anche punti di vista differenti della mia musica. Per l'album precedente mi sono affidato ad Alberto Ricca, Bienoise, “No Logic No Death” invece l'ha curato Matteo Lo Valvo. Certo, prima o poi, dovrò imparare a far da solo.
Ultimamente si sta parlando molto del tipo di qualità con cui si ascolta musica. Pur tenendo presente che ci sono estremi che non andrebbero toccati – sentirla direttamente dalle casse del computer, ad esempio – credo che spesso si arrivi ad un livello di esagerazione un po' ridicolo. Tu che ne pensi?
Al momento non ho casse da studio. Vivo con altre persone in un palazzo abitato fondamentalmente da anziani, quindi non potrei ascoltare musica ad un certo volume. Dal momento che ascolto musica tutto il giorno, lo faccio con degli auricolari da venti euro. Poi, quando voglio ascoltare bene un disco o quando un mio amico mi passa un suo lavoro perché vuole qualche consiglio, allora uso le cuffie con cui normalmente registro. Ma ascolto la musica anche dalle case del computer, sarà brutto da dire ma ci sono volte che hai talmente voglia di sentire un pezzo che lo metti su lo stesso, pazienza se non lo ascolti come si deve. Quando potrò permettermelo ascolterò musica solo con delle super casse (ride, NdA).
Ma se ti chiedessi la canzone più allegra in assoluto presente sul tuo computer adesso?
“Don't Give up”, hai presente il pezzo di Peter Gabriel con Kate Bush? (canta la canzone, NdA) L'ho ascoltata tantissimo.
Andiamo bene
(ride, NdA)
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L'articolo Zero stress: Furtherset sul come tradurre le emozioni in musica di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2015-09-23 08:26:00
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