A meno che non abbiate vissuto sotto sedazione oppure vittime di un incantesimo gli ultimi cinque anni abbondanti della vostra vita, ci sono ottime possibilità che vi siate accorti di quale sia stata l'accelerazione subita da certe dinamiche del mercato musicale. Saranno state le nuove tecnologie e il ricambio generazionale, magari pure un po' la pandemia e "sto buco dell'azoto" come diceva un Piotta d'annata. Fatto sta che ci ritroviamo sempre più di frequente a dover googlare il nome dell'artista primo in classifica della settimana (e 22esimo quella dopo), i bambini di cinque anni che cantano "Sciroppo cade basso come l'MD", un cast di Sanremo che fino a qualche anno fa avrebbe suscitato più di un dubbio di sostenibilità economica negli organizzatori di un festival di provincia (e invece spacca) e Ligabue che... no, Ligabue fa sempre Ligabue. Un bene? Un male? Probabilmente tutte e due le cose assieme.
Sono tempi che – a meno di non volersi asserragliare nella torre d'avorio, ma non è il nostro – impongono un forte lavoro su se stessi, per abbattere quanti più pregiudizi possibili in fatto di musica. Averceli è umano, normale, a volte aiuta a schivare un bel po' di monnezza, ma alla lunga tolgono più che dare. E più i tempi impongono la contaminazione, lo sporcarsi le mani, più rischiano di diventare deleteri.
Fatto sta che Gaia Gozzi ha qualcosa che attira la mia attenzione. Succede per lo meno dalla scorsa estate, quando nelle mie – interminabili e un po' surreali – ferie sul lungomare del Molise, mi sono ritrovato a shazammare un brano che arrivava da radio-lido e che suonava molto bene. "Fossero tutti così i tormentoni", pensavo, immaginando che l'app mi avrebbe restituito il ritorno dei Tribalistas o il nome della nuova pop star brasiliana giunta per un qualche imperscrutabile motivo alla popolarità, una Nathy Peluso dell'altra sponda del Paranà.
Con mio sommo stupore l'artista pescata dall'algoritmo viene invece da Viadana, che è una cittadina bella ed elegante, ma non particolarmente esotica, trovandosi in provincia di Mantova al confine con l'Emilia. La canzone si chiama Chega, è cantata in portoghese e rimanda ai grandi della canzone brasiliana e al tropicalismo ma con un'impronta molto pop, contemporanea, fresca (che parolaccia). Il brano, che ha fatto numeri davvero impressionanti, segna la definitiva consacrazione di una ragazza che artisticamente, seppur abbia appena 23 anni, pare aver vissuto almeno un paio di esistenze.
Nata da madre brasiliana e padre italiano, Gaia si avvicina presto alla musica fondendo gli ascolti genitoriali di Jorge Ben Jor, Caetano Veloso e Vasco. Man mano arrivano Nina Simone, Kaytranada, Tame Impala e Marisa Monte. Poi arriva X Factor, nel 2016, ed è la prima volta che molti di noi la guardano in volto. Giovanissima e, mi pare di ricordare, un po' sperduta in quel frullatore lungo due mesi. Arriva in finale, poi, come molti colleghi, sparisce da quasi tutti i radar. Si sarebbe poi scoperto, perché raccontato da lei, che quelli che hanno seguito lo show di Sky non sono stati periodi facilissimi: il trasferimento a Milano per provare a campare di musica, le difficoltà a farsi notare dopo l'exploit televisivo, i palchi sempre più piccoli, la paura di non trovare una propria strada.
Intendiamoci, nulla che non provi più o meno qualunque suo coetaneo in quella fase della vita. Ma proiettare tutte quelle ansie e insicurezze su una persona che ora ha il successo esploso tra le mani fa un po' strano. Ancora una volta la via di Gaia passa per un talent: questa volta Amici, che rispetto a X Factor ha numeri molto più grandi e stigma infinitamente superiore. E infatti io da Maria De Filippi Gaia non l'ho mai vista, perché sono uno snob. Lei, immagino, se ne frega il giusto di quelli come me, e vince la competizione. Poi, recidivissima, va pure ad Amici Speciali (e qua siamo proprio nell'ambito dell'ignorarne l'esistenza, e ne chiedo scusa).
Inizia l'anno che cambia ogni cosa, un anno di merda per quasi tutti noi e incredibilmente bello per lei: a marzo 2020 esce per Sony l’album di debutto Nuova Genesi, poi Chega e un paio di altri singoli di successo in cui alterna il suo "paulismo" alla tendenza all'italica hit. A lavorare con lei come produttori Simon Says, Jacopo Ettorre, Machweo (assieme a Orang3 e Giorgio Spedicato anche il team con cui ha lavorato per l'Ariston), Piero Romitelli, Gerardo Pulli e Dimartino. Ma non doveva essere una da (doppio) talent?
La incontro su Zoom, come si fa di questi tempi, pochi giorni prima che parta per Sanremo, dove porterà Cuore Amaro, che descrive come "un racconto autobiografico sul suo percorso, sui traguardi, sulle conquiste, senza però nascondere i momenti peggiori, ma addirittura rendendoli parte fondamentale del processo di crescita". Come cover Mi sono innamorato di te di Tenco e con sé sul palco avrà la splendida artista belga di origini congolesi Lous and the Yakuza. Che sta riscrivendo le regole del pop (o urban) francofono e che ha da poco fatto un pezzo con Sfera Ebbasta. Ok, io a capire la musica di oggi ci rinuncio del tutto.
Sei ormai una professionista nel fare musica in situazioni di merda, visto che il tuo miglior anno è coinciso con la pandemia. Che effetto ti fa esordire proprio a questo Sanremo?
In effetti ormai sono rodata negli spettacoli ai tempi del Covid. È brutto, vedere Sanremo senza pubblico sarà una volta di più specchio del periodo incredibile che stiamo vivendo. La magia del pubblico mancherà, la dovremo cercare dentro di noi. Personalmente lo sto già facendo.
Non hai vissuto queste settimane con il terrore di contagiarti?
Ci si prepara e poi si va a Sanremo con un minimo di coscienza, saremo tutti mega responsabili. Sappiamo quanto la situazione sia delicata. Lo è nella quotidianità di tutte le persone, da un anno a questa parte.
Sei fatalista?
Non direi, però sono molto spirituale ultimamente. E non posso fare a meno di pensare che ciò che sta capitando ci debba interrogare tutti. Dobbiamo iniziare a cambiare un po’ di cose nel nostro rapporto col pianeta che ci ospita e tra di noi, ritornare a essere umani e non solo esseri. D'altra parte, penso anche che se siamo ancora qua un motivo c'è. Ed è il momento di agire, con coraggio e responsabilità.
Fai cose tipo saluti al sole o attività del genere?
Più che altro spaccio playlist di meditazione.
Non l'ascolterò mai, perché sono gretto. Ma tu spara.
La verità è che vanno bene tutte le playlist sui 432 hertz (qua una), che è la frequenza del benessere. Non servono le app da 40 euro al mese tipo Calm: la meditazione si può fare anche da sé, non serve per forza assistenza. E poi consiglio il libro Metafisica 4 in 1, un bel viaggio, da leggere a piccoli step. Io prego anche, ma quelle sono cose mie.
A Sanremo ci vai a parlare d'amore, il che in effetti sta abbastanza nelle cose.
Cuore amaro è una storia d'amore, ma rivolta a me stessa. Per la prima volta in 23 anni Gaia Gozzi ha deciso di volersi bene e ora lo canto. Il pezzo parla del fatto che non tutto il male vien per nuocere. Che molte delle cose che valutavo come negative e per cui provavo rancore, ora invece le ringrazio, perché mi stanno dando gli strumenti per vivere un po' meglio la vita.
Come suonerà?
Volevo celebrare un percorso intimo, ma farlo sulla stratosfera, un po’ onirica come piace a me. Produzione e arrangiamento rispecchiano quest'idea. Non sono in alcun modo standardizzati; si parte con una "chitarrina flamenca" per poi approdare a un beat più urban, ma sempre con cadenza sudamericana. Sembra un pezzo asciutto, ma ha un botto di tracce di chitarra e riverberi. Ci siamo fatti le nerdate in studio, questa cosa mi piace moltissimo.
Credi all'adagio per cui è più facile fare arte se si è tristi rispetto a quando si è felici?
Mah, per me è un po' una cazzata. Oggi faccio musica con la persona che amo (dopo tante storie di merda): cosa c’è di meglio?
Ho iniziato – come spesso mi capita – il pezzo con un'asciugata infinita su quanto sia cambiata la musica, etc, etc. Motivo per cui probabilmente non ci sta già più leggendo nessuno, e nel caso mi scuso. Fatto sta che una figura come la tua contribuisce non poco a tirare giù qualche altro steccato.
Il successo di un pezzo come Chega per me è tipo il meme che dice "Me?!", col protagonista incredulo che stia capitando davvero a lui. Sta succedendo un po’ un clash discografico: uno come Blanco al primo posto in radio, il trionfo di pezzi tipo Blun7 a Swishland che non si capisce nemmeno bene che dice. È uno stravolgimento e sono molto contenta di cavalcare questa ondata di "fancazzismo" musicale in senso buono.
Chega era un pezzo leggero?
Per nulla, il testo aveva passaggi molto amari. Un tempo mi sarei fatta i trip del tipo "se ballano vuole dire che pensano sia musica leggera, non mi capiscono davvero". Ora se la gente balla, apprezza, se un pezzo fa stare bene, non ti fa pensare, be' allora è ottimo. Anche Cuore amaro ha caratteristiche simili: è una specie di emoton, una canzone che fa muovere e pensare.
Molti escono dai talent e dicono, se va bene, che è stato una specie di "male necessario" per farsi notare. Per te?
Io sono una che fa le cose in maniera particolare, sempre con la sua testa, e per questo prendo anche scelte difficili, fottendomene e rischiando. Ora che faccio le cose che amo lo dico a voce forte: "Meno male che ho fatto i talent". E aggiungo: "Maria, rimango!".
Però la "libertà" in qualche modo te la sei dovuta conquistare.
Talent o non talent, è la vita che ti porta a fare la gavetta. Uno magari non vede l'ora di esporsi e fa un certo tipo di percorso, altri lo vivono come un acceleratore, altri dal talent stanno lontano a prescindere. Ma una coca funziona solo se c'è sostanza, se c'è la musica, e questo vale nel talent come nel localino più indie al mondo.
Ma potessi scegliere saresti più Amici o più localino?
Ho imparato ad amare entrambi, sono come due lati che fanno parte di me e ogni tanto fanno pure a cazzotti. Un consiglio, però, voglio darlo: cercate di arrivare ai talent un po' strutturati, con una base di personalità e artistica. Io sono andata a X Factor che cantavo solo in bagno, e i miei nemmeno lo sapevano.
Be', ma a 16 anni è inevitabile avere le ossa fragili.
Sì, ma un po' di preparazione serve. Se no poi bisogna farsi il culo il triplo, e il discografico storce il naso perché finito lo show non si hanno le canzoni e le competenze per farne. Io ho dovuto recuperare tante cose che mi mancavano, motivo per cui gli anni dopo X Factor non sono stati affatto semplici.
Una cosa che hai imparato dai talent?
Più di una. Amici mi ha insegnato a prendermi cura di me stessa, a dire la mia senza farmi schiacciare o sentirmi sbagliata. È tanta, tantissima roba per una ragazza; e parliamo di uno di talent più "dissati" che ci siano.
Un'immagine del tuo periodo post X Factor?
Io che suono in un locale di Milano per un piatto di pasta e un bicchiere di vino, e ne sono felicissima. Le bollette da pagare, i lavoretti e l'orgoglio di non voler ritornare a casa. Le giornate a provare, i crucci: italiano? portoghese? che fare della mia musica?
Di tuo, però, devi avere un carattere fortissimo, oltre a una grande motivazione. Certe cose, altrimenti, non le reggi a quell'età.
La personalità si costruisce strada facendo, prima di tutto c'era la convinzione che quella cosa, la musica, per me fosse troppo grande per rinunciarci.
Ti fanno stare male quelli che pensano che tu sia parte del "male" della musica oggi?
Per me deve parlare la musica, il mio progetto, come ti racconti sul palco. Cosa devo dimostrare? Faccio quello che amo, sono felice. Se a uno non piace il mio percorso, amen. La musica è soggettiva, è giusto così. Di certo mi piace l'idea di spezzare qualche luogo comune, modi di vedere standardizzati. Nella vita non è mai bianco o nero, talent male e non talent bene o cose così.
Visto che ho un cane e non vorrei che le frequenze delle tue playlist meditative lo disturbassero, ci consigli un po' di altra musica? Anche perché so che ascolti roba fighissima.
Nathy Peluso: tutto quanto. Tequila di Nenny. Seu Jorge, Masego, Still Woozy, che per altro ha le copertine più fighe della storia e fa una musica super chilling e positiva. E poi va be' Toquinho, Caetano Veloso, Marisa Monte, Criolo per i suoi testi folli. E Emicida, un rapper brasiliano di adesso pazzesco, mega politicizzato e super giusto.
Un compagno come te?
Prego?
Ho letto dichiarazioni tue sull'antirazzismo, ai tempi dell'omicidio di Willy Monteiro ad esempio. Hai avuto il coraggio di fare due talent, puoi anche dire che sei impegnata politicamente...
Ma se io odio parlare di politica, mi dà proprio noia. Io parlo di diritti civili, quella è la mia dimensione.
Mm, vabbè...
Io mi espongo sui temi in cui credo. Ci sono cose per me innate: sono fifty-fifty tra Italia e Brasile, mia cugina è mezza giapponese, mia sorella ha la "pelle scura" e in passato ha avuto anche rotture per questo. Sono nata così, non è merito mio. So cosa significhi vivere situazioni sociali diverse: solo chi ragiona con il paraocchi non vede certe cose e matura certe idee.
Quanto torni in Brasile?
Eh, chissà. Manco da tanto: l'ultima volta è stato due anni fa a capodanno. La mia famiglia sta a San Paolo, ma io appena posso fuggo a Bahia, perché voglio il mare e di smog e palazzi ne vedo abbastanza già a Milano.
Chi vince Sanremo?
Orietta Berti oppure Colapesce e Dimartino. No, scherzo non lo so.
Gaia felice se...
Se la mia canzone piace al pubblico, e se riesco a vivermi il momento.
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L'articolo Gaia Gozzi ha spianato un altro po' di pregiudizi nella musica di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2021-02-26 15:42:00
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