Esce il nuovo disco solista di Gianluca De Rubertis, La violenza della luce. Pubblicato da Sony Music, arriva a cinque anni di distanza da L’Universo Elegante e a otto da Autoritratti con oggetti. Un nuovo attesissimo lavoro, che conferma l’evoluzione personale del linguaggio musicale dell’artista di origini salentine e dimostra l’attitudine verso una cifra stilistica apparentemente "semplice" e pop, ma che unisce una scrittura letteraria, autentica e personale.
Con La violenza della luce, Gianluca espande il suo vocabolario di riferimenti nell’ambito del cantautorato colto e riflette sulla condizione catartica favorita dal buio, intesa come opportunità di leggere, attraverso una lente al chiaroscuro, la propria condizione esistenziale e di raggiungere una presa di coscienza insperata, in grado anche di intravedere spiragli di luce e fonti di ispirazione.
L’ex metà del duo Il Genio di Pop Porno (con Alessandra Contini) arriva a questa terza prova solista dopo un’intenso lavoro di ricerca e di affinamento del proprio stile, risultato anche delle rilevanti collaborazioni degli ultimi anni (tra tutte, quelle con Federico Fiumani, Amanda Lear e Mauro Ermanno Giovanardi) e delle esperienze sul palco che gli hanno permesso di portare la sua poetica anche a teatro.
Nascono così le canzoni de La Violenza della Luce, un concept album che contrappone una riflessione sui connotati dell’amore e sul bisogno diffuso di una dimensione sentimentale vera e credibile alla vacuità dell’edonismo, navigando in precario equilibrio tra i desideri e le pulsioni intime dell’autore e le domande, ironiche e disincantate, sul senso della felicità e sui disegni del destino.
Abbiamo incontrato Gianluca De Rubertis per ripercorrere alcune tappe della sua carriera e per chiedergli di presentarci questo suo nuovo lavoro, da lui stesso definito "un’opera spontanea e al contempo un esercizio di vita".
Come nasce e dove si colloca La Violenza della Luce all’interno del tuo percorso artistico?
Esprimere a parole un processo creativo che si è manifestato rapidamente e ha illuminato molte notti che promettevano solo bui profondi non è semplice. All’infuori di Pantelleria, che è venuta dopo, il disco è arrivato quasi come un tutt’uno, e si dipanato in brani, credo, abbastanza concisi. Queste canzoni, sebbene non legate da un macro argomento, si sono parlate tra loro, come quelle vecchine che ai davanzali delle case si spifferano le notizie del quartiere. Per cui, un micro concept, forse, affiora. Reputo questo disco come qualcosa di importante per la violenza delle emozioni che lo ha generato e per una chiarezza formale che forse prima rifuggivo.
Sei in Sony: cosa rappresenta per te il "salto" dall'indie all'industria musicale?
Non credo che oggi sia così differente essere in Sony piuttosto che in una indie label. Lo dimostra il fatto che le grandi case discografiche hanno imparato a seguitare con maggiore attenzione anche alcuni gusti di nicchia. Ed io lo so bene: con Il Genio, nel 2008, siamo forse stati i primi "indie" a divenire "major". L’importante è appartenere ad una squadra che crede nel tuo lavoro di artista, questa è la cosa davvero fondamentale.
Come è cambiata la scena indie di oggi rispetto al passato?
È senz’altro molto diversa. Con gli Studiodavoli erano i tempi in cui una certa dose di psichedelia si riversava con piacere non solo nella scrittura dei brani, ma anche nella fruizione. In qualche modo si ascoltava in maniera psichedelica, e la scarsa digitalizzazione di allora agevolava questo assorbimento. Il Genio, invece, cavalca un nuovo periodo-coacervo: quello in cui i dischi cominciavano già a vendersi con molta fatica e al contempo non vi era ancora un utilizzo del digitale chiaro e strutturato. Oggi sembra tutto assodato, Spotify e le altre piattaforme sono ben consolidate, ci sono gli algoritmi ed essere psichedelici è una fatica dura.
Da dove arrivano le ispirazioni de La violenza della Luce?
Se sapessi da dove giungono le ispirazioni che ti permettono di scrivere delle cose sincere – altro discorso è per una scrittura più giocosa e divertente –, credo proprio che non mi sarebbe possibile scrivere nulla. Accettare questo mistero è fondamentale, l’ispirazione è quella stessa cosa che l’essere umanoide ha sentito nella notte dei tempi, quando da animale disorganizzato si è trasformato in essere senziente.
Perchè la scelta di un titolo così evocativo?
La violenza della luce è il titolo di una canzone che fa parte dell’album, una canzone che parla della trasformazione della disperazione in gioia pura: la gioia della voglia di amare, che è diversa dalla gioia di aver amato, perché bisogna desiderare di amare anche dopo avere già amato. E questo è tanto, tanto complicato.
Da dove arriva la passione per lingua italiana e la capacità di scrivere così bene?
Ho sempre scritto e ho sempre molto letto, sin da ragazzino, tantissima fantascienza, i classici, quei mattoni folti di migliaia di pagine, quei romanzi in cui la struttura è fondamentale, e il mio adorato Fedor Dostojevskij. Poi, gli studi universitari e la tesi su Carmelo Bene. Credo che oggi imperversi una frammentazione dei discorsi e delle parole evidentissima (che sfocia spesso in orrore sintattico ormai accettato anche sulle gazzette nazionali). Ma la scrittura è quella cosa che assieme alla strategia permette al cervello dell’uomo di creare immensi castelli, mondi complessi e rari.
Dove nasce il tuo legame con l’isola, Pantelleria?
Il legame con Pantelleria nasce in una manciata di brevi giorni passati sull’isola. Un’isola incredibile, un’isola di scomode scogliere a picco in cui mi sono sentito più a mio agio che mai. Ho pensato che girare il video di una canzone che parla di mare e di sale e di cale azzurre mostrando il mare, il sale e le azzurre cale, avrebbe inevitabilmente banalizzato anche l’estetica e il potere immaginifico delle immagini. Anche Pierluigi, mio fratello (che ha curato la regia) si è trovato d'accordo: sarebbe stato meglio solo evocare in chiave pop tutto questo.
Dopo Pantelleria è prevista l’uscita di un altro singolo, accompagnato da un altro video?
Sì, uscirà a breve un nuovo video per il nuovo singolo Solo una bocca.
Quanto c’è di personale nei testi de La violenza della Luce?
Tutto, è un disco personale quanto L’universo elegante, nelle parole, nei tragitti armonici, in tutto.
Stai lavorando a nuovi progetti paralleli o collaborazioni?
C’è in cantiere un nuovo bellissimo progetto con musicisti formidabili, ma siamo davvero all’inizio, non posso dire altro. Restano sempre in piedi le diverse incredibili e mutevoli formazioni con cui talvolta portiamo al pubblico artisti del passato, tra Beatles, Battisti, Lennon… Con musicisti come Lino Gitto, Rob Dell’era, Andrea Pesce, Leo Pari, Bob Angelini e altri.
Quali sono i tuoi riferimenti, oltre al cantautorato?
La musica classica è la musica che ascolto comunque e sempre. La lirica (soprattutto Mozart e Rossini) mi travolse quand’ero ragazzo e comunque a casa dei miei, grazie a mio padre, io e i miei fratelli abbiamo cominciato ad ascoltare classica già nelle acque materne. Schubert, Handel, Bach, Schumann, di tutto.
Io, mica voi è un omaggio al teatro-canzone e a Giorgio Gaber?
Mi accostano spesso a De Andrè a o Gaber, probabilmente anche per il regime vocale. Ma, ad esempio, conosco molto meglio Ciampi e Paolo Conte. Il somigliare a qualcos’altro che ci ha preceduto, oltre a non essere un male, è anche naturale, suppongo. Il nostro cervello recepisce alla velocità della luce tante informazioni che crediamo di aver smarrito, per cui è probabilissimo che i nostri cliché siano dense di suoni e significanti che non sappiamo nemmeno di aver assorbito, chissà dove e chissà quando.
A distanza di oltre 10 anni, quali erano i punti di forza della musica de Il Genio?
Il Genio era l'espressione felicissima di due menti vispe e giocose. Era un piacere scrivere assieme, ci divertivamo davvero e credo che la forza maggiore risiedesse in questo. Abbiamo scritto assieme o da soli anche tanti brani che io credo debbano ancora essere profondamente analizzati e capiti. Il Genio per i più è Pop Porno, ma non mi lamento, sta bene anche così.
Uno dei tuoi side project si chiama Lato ed è dedicato a Lucio Battisti: che ne pensi del rapporto tra Battisti e Mogol, a volte controverso?
Difficile pensare al loro lavoro insieme come a qualcosa di negativo. Impossibile direi: hanno gettato assieme le fondamenta del pop italiano e assieme ad altri sono il tessuto stesso della musica italiana. Tanto indie giovanile odierno non fa altro che continuamente riferirsi a loro. E loro, nello specifico, hanno scritto un repertorio che li rende, agli orecchi degli italiani, quello che i Beatles sono per gli inglesi.
Quali sono gli ultimi dischi che hai ascoltato?
Da ascoltatore distratto e occasionale ti posso dire che tra le cose nuove trovo che Mahmood meriti davvero il successo che ha riscosso, perché dimostra di conoscere la musica che lo ha preceduto, e non mi sembra che si fossilizzi su alcune tematiche pressoché stantie e scoraggianti ("sesso, mignotte, suv di lusso").
Prossimi spettacoli-concerti?
In ottobre sarò in giro con dei piano voce, per lo più al sud, decreti permettendo. Vi aspetto il 28 novembre all’Apollo di Milano, per una presentazione full band dell’album.
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L'articolo Gianluca de Rubertis: “Con 'Pop Porno' abbiamo portato l'indie in una major" di FabMonTro è apparso su Rockit.it il 2020-10-22 12:30:00
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