Parlandoci sembra di avere a che fare con la versione emo di Vacca, magrissimo, completamente tatuato e convinto a pieno della propria scelta musicale. Vittima di pregiudizi, la storia di Gionata Ruggeri è una storia di vera rivalsa, abbandonato in tenera età e cresciuto con una nonna con la quale non spartiva il sangue, hardcore, come i concerti che frequentava. Dopo un percorso pop rap che l’ha comunque portato al successo, GionnyScandal ha finalmente deciso di mettersi a nudo, nei testi, mai così sinceri, come nel sound, internazionale e pieno di chitarre, che contraddistingue il suo ultimo lavoro “Black Mood”.
Questa domanda l’avevo scritto ancora prima di ascoltare l’album, in realtà, è un tema che hai toccato tra le righe di “Mamma”. Nella sfiga totale, senza questi trascorsi, saresti comunque diventato un rapper?
Non credo. La mia situazione famigliare ha influito parecchio, non parlo solamente di rap, è stata fondamentale nello spronarmi ad imboccare un percorso artistico. Un percorso di avvicinamento alla musica ancor prima che all’hip hop. Dovevo trovare una valvola di sfogo. Per anni ho provato a cercarli, ora ho un po’ perso la speranza di re-incontrare i miei genitori naturali. Non voglio sembrare menefreghista ma ad ogni azione corrisponde una conseguenza, credo che mia madre sappia chi sono. Ma nell’album è contenuta anche una canzone dedicata a mia nonna, a tutti gli effetti, è la persona che mi ha cresciuto. A lei devo tutto.
Prima del rap suonavi in una band, quando ha deciso di cambiare genere?
Suonare in una band è utile a prescindere: affina l’orecchio, ho dovuto imparare a suonare la chitarra, anche se nelle mie canzoni rap non “scremmo” sicuramente mi ha aiutato ad avere una padronanza migliore sulla voce. Quando suoni la chitarra, pur esprimendo qualcosa, non racconti nulla di te, lo stesso avviene interpretando delle cover. Al rap mi sono avvicinato quando ho sentito la necessità di scrivere qualcosa che fosse veramente mio. Per raccontare qualcosa non esiste genere migliore.
A mio avviso però, rispetto agli album precedenti, i tuoi trascorsi musicali emergono molto più palesemente in “Black Mood”.
Potremmo definire il mio passato pop-rap, ma non ho mai scritto le canzoni a tavolino. Mi sono sempre auto imposto un sacco di filtri. “Black Mood” è sicuramente il mio album più sincero. Ho deciso di raccontarmi davvero nei testi e per farlo necessitavo un sound che mi rispecchiasse pienamente. “Ti amo ti odio” è la prima canzone scritta dell’album, quando Sam, il mio produttore, ha sentito il giro di chitarra è rimasto esterrefatto. “Giò facciamolo subito!”, non si riferiva alla canzone, parlava proprio di un album emo-trap.
Insomma, sei il primo vero emo trapper in Italia?
Credo di sì, anche se è un termine un po’ abusato. Qualche anno fa Fedez definì un suo album emo-trap. Io Federico lo conosco, sono suo amico, ma il suo album comunque non verteva su quelle sonorità. Sarei felice di essere un pioniere di questo genere nella mia nazione. A Roma c’è una bella scena di ragazzini su soundcloud. Tanti mi scrivono in direct che hanno finalmente trovato un interprete italiano che li rispecchi, mi riempie d’orgoglio. Zoda e Side Baby, ad esempio, spaccano, io li ascolto, ma non sono emo trap. Come nei social si cerca sempre di mostrare una vita migliore allo stesso tempo molti artisti fingono di essere tristi. Io da quella storia ci provengo, loro no. Non basta aggiungere il suffisso emo, non bastano lo smalto nero e un giro di chitarra. Scrivere un testo emo-trap è un’operazione molto più difficile che scrivere il testo per un pezzo trap canonico. Quando un artista americano ascolta una mia traccia mi riconosce in quanto tale, con le canzoni di altri rapper non succederebbe. Prova ad ascoltare una traccia di Lil Xan e dei Thauro Boys.
A proposito, anche se probabilmente non sono molto conosciuti in Italia, sull’album sono presenti dei bei featuring internazionali.
Cal Amies e Cyrus Yung sono conosciuti da me e un altro paio di persone credo. Cyrus, anche se canta in Inglese, è un rapper italiano molto talentuoso. Global Dan, invece, in America è molto famoso, stanno iniziando ad ascoltarlo anche in Italia. Lavorare con lui è stato bellissimo, sono il suo fan numero uno, ho realizzato un sogno. In realtà non l’ho scoperto molti anni fa, su Spotify, ma da quel giorno non ho più smesso di ascoltarlo. Ora è uno dei miei artisti preferiti. Quando è uscito il suo pezzo con G-Eazy ho trovato il coraggio per provare a contattarlo, in direct, senza troppe pretese. Due settimane dopo era sul mio album e per il concerto all’Alcatraz arriverà apposta da Washington. Una bella soddisfazione
La tua immagine molto forte ha due faccia della medaglia, genera tante attenzioni quanto odio ingiustificato. Non pensi che delle volte sminuisca anche il contenuto dei tuoi testi?
Un forte pregiudizio verte su di me ma nessuno dovrebbe muovermi questa critica. Tanti rapper sono poser, tanti artisti lo fanno per moda, io sono sempre stato così, non lo faccio per apparire. Le mie foto del 2009 mi giustificano, ero un emo “sfigato”, con la frangia, i dilatori, i tatuaggi in faccia. Lo smalto, gli occhiali da donna stanno iniziando ad andare anche in Italia, quello che mi fa arrabbiare non è la musica di tanti artisti italiani -che spesso spacca- ma il loro essere poser. Ho subito le conseguenze dell’essere emo: una volta un gruppo di naziskin inseguì me ed un mio amico e gli infilarono un lucchetto nel dilatatore. Ultimamente ho postato una foto con i vestiti della mia ragazza, siamo quasi nel 2020, ma in Italia certe cose sollevano ancora scalpore. Grazie a questa stronzata ho avuto la possibilità di conoscere Yungblud che, in America, fa i concerti vestito da donna. Ho avuto la possibilità di conoscere un mio idolo e fargli ascoltare la mia musica.
L’Italia sembra starti un po’ stretta. Hai delle belle vibe per il mini tour che ti vedrà impegnato in Europa?
Sono molto felice, ma Le aspettative ovviamente sono minori rispetto alle date italiane dove performerò con una band e tanti visual. Volevamo ricreare il piccolo l’atmosfera di un concerto da stadio, suonerò anche la chitarra. All’estero per motivi di logistica preparemo uno show imbastito col dj, ma credo comunque sia un passo importante per muoverci in questa direzione. Per tanti artisti innovativi italiani la lingua è un limite, il rapporto con Global Dan è nato proprio quando, ascoltando i miei pezzi, mi disse di rimanere emozionato pur senza capire le parole. È stato un gran complimento, la certificazione che la ricerca sonora attuata da me e Sam non è stata vana. Il disco infatti è stato rifinito in America, pensa che il missaggio è stato fatto dallo stesso ragazzo che ha curato l’album di Post Malone, cosa potevo aspettarmi di più?
---
L'articolo La vera storia di GionnyScandal di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2019-09-09 10:06:00
COMMENTI