Giovanni Gulino dei Marta sui Tubi ha da poco condiviso su Spotify l'album d'esordio della sua prima band, gli Use and Abuse. "Sick Love Juice" torna così alla ribalta dopo 22 anni, e Giovanni ci racconta in quest'intervista il perché di questa scelta, le sue prime esperienze musicali, l'importanza di suonare in Sicilia e la fondamentale differenza tra pubblicazione e condivisione.
Perché hai deciso di ripubblicare quest’album dopo tanti anni?
Volevo restituire dignità a dei pezzi che sono usciti nel ‘96, 22 anni fa, in un’epoca in cui non esistevano i social e Spotify, in un’epoca in cui internet e lo streaming erano ancora dei lontani miraggi. Riuscimmo a costruirci un bel seguito e anche a compiere un tour di circa 20 date per tutta l’Italia. Ma, come puoi immaginare, “Sick Love Juice” rimane un album con una diffusione limitata, praticamente impossibile da ascoltare oggi. Trovavo interessante ripubblicare un album “antico” con delle modalità così moderne. Sia chiaro, non ci saranno reunion, concerti o nuovi album, ma gli Use and Abuse rappresentano una parte importante del mio percorso musicale e della storia di molti ragazzi del sud, soprattutto siciliani.
“Sick Love Juice” è stata la tua unica esperienza discografica interamente concepita in Sicilia, una regione in cui ancora oggi è difficile esprimersi o suonare…
C’era un bel fermento, una scena molto viva, specialmente a Palermo dove militavano band come i Kali Yuga e gli Airfish. La mia regione non è certamente la più adatta per fare musica ma poter suonare in Sicilia per me era un sogno. Marsala era la mia Los Angeles, c’era la spiaggia, la sala prove, tanti ragazzi che suonavano… La sera ci ritrovavamo tutti intorno ai falò per bere e conoscere gente. Era il mio microcosmo felice. Probabilmente, come per gli artisti californiani, se non ci fosse stato il mare, il sole torrido della nostra città, non avremmo scritto quei pezzi cosi agitati, così aspri. “Sick Love Juice” è la rappresentazione perfetta della nostra gioventù siciliana, volevamo raccontare la parte più triste e distorta dell’amore.
I membri degli Use and Abuse erano gli stessi con cui hai fondato i Marta sui Tubi?
Non c’erano membri dei Marta, ma gli Use and Abuse furono un’esperienza fondamentale per arrivare ai Marta. Non ho lasciato gli Use and Abuse, il progetto UaA si è esaurito nel duemila quando tutti i miei compagni dell’epoca (Gianfranco Marino alla chitarra, Francesco Ciccio Sciacca alla batteria dal 1994-98, Ivan Paolini alla batteria dal 1998-2000, Giuseppe Tramati al basso) intrapresero il proprio percorso. Per due anni smisi di fare musica. La fondazione dei Marta ha avuto una storia a sé stante, anche musicalmente c’entra poco col mio disco d’esordio. I Marta sono nati a Bologna quando Gianfranco, chitarrista degli Use and Abuse, mi presentò il chitarrista dei Marta perché avevano amici in comune.
A quali gruppi ti ispiravi?
Gli Use and Abuse riflettono esattamente i nostri ascolti dell’epoca, metà anni ‘90, dopo la morte di Kurt Cobain. Venivamo dal post grunge, dallo stoner, i gruppi a cui guardavamo principalmente erano gli Helmet e i Motorpsycho. Quello era il nostro mondo, ci facevamo anche dei grandi chilometri per andare a vedere i concerti dei nostri artisti preferiti in giro per lo stivale. Ma ascoltavamo anche rap, i Public Enemy, i Beastie Boys. Non trovando riferimenti simili in Italia finimmo per cimentarci noi con la musica che ascoltavamo. Definivamo il nostro genere noise-core.
Perché all’inizio cantavi in inglese?
Una scelta naturale, ho sempre ascoltato musica anglofona, cantata in inglese più che inglese di origine. Ma era molto difficile per noi pensare di far carriera facendo quel tipo di musica partendo dalla Sicilia. La necessità di cantare in italiano si presentò solo in seguito con i Marta. Una delle prime band che mi ha convinto si potesse cantare in italiano senza sembrare degli scemi sono stati i Ritmo Tribale. Negli anni ’90 con i miei amici partimmo da Marsala per andarli a vedere a Misterbianco.
“1996, 4 ragazzi, 7 canzoni, milioni di capelli, una Band: #UseAndAbuse. Pubblichiamo il disco "Sick Love Juice" (quando il verbo pubblicare era associato solo a chi faceva arte)” : hai presentato il tuo album su Facebook con questa descrizione, cosa intendevi con quella parentesi?
Erano tempi diversi. Comunicare era diverso. Ti faccio un esempio banale: se dovevamo incontrarci con la band per registrare e avevamo un appuntamento, se un membro non si presentava, non potevamo sapere se aveva perso il treno. In quell’epoca il verbo pubblicare era veramente associato a chi faceva arte. Quando si usava questo verbo, “pubblicare”, bisognava veramente sciacquarsi la bocca. Pubblicare un disco, un libro, un articolo connotava sempre una certa importanza nei confronti dell’autore. Le uscite dell’epoca, per i media dei tempi, avevano una risonanza gigante. Ed i media dei tempi erano principalmente formati dalla carta stampata. Avere una recensione positiva su un giornale importante (Rockerilla, Rumore, Blow Up), negli anni ‘90, aveva un peso specifico non indifferente, palpabile. La nuova discografia si basa più sul concetto di condivisione che di pubblicazione. Allora anche io ho condiviso il mio album di 22 anni fa.
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L'articolo 1996, 4 ragazzi, 7 canzoni, tanti capelli: Giovanni Gulino racconta il suo esordio nella musica di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2018-03-22 11:44:00
COMMENTI (2)
grandi gli use and abuse; orgoglioso di aver fatto parte della generazione anni 90 a Palermo, dove anche per suonare dal vivo dovevi sbatterti e pubblicizzare facendo volantinaggio e attacchinaggio di notte. praticamente era l’era dei social di strada
Grande voce e superba poesia. Una domanda importante da fare era.. quando tornano i Marta? :(