Il prossimo 14 ottobre Goodfellas Records pubblicherà "Chronicles", il nuovo album dei Mokadelic, un lavoro mastodontico suddiviso in due volumi, il primo di ispirazione post-rock e il secondo di ispirazione elettronica (qui trovate un primo estratto).
Prima di tutto ciò, però, i Mokadelic hanno lavorato alla colonna sonora della serie tv italiana più popolare dei nostri anni, Gomorra. Ad intervistarli Angela Maiello, autrice del libro “Gomorra La Serie - La famiglia, il potere, lo sguardo del male”. Hanno parlato di tv, di cinema e, ovviamente, di come scrive una musica esplicitamente pensata per le immagini.
Partiamo dai fondamentali: come si scrive una colonna sonora?
Non c’è una regola, così come non c’è un unico momento in cui iniziare a scrivere. Per “Come Dio Comanda" di Gabriele Salvatores, ad esempio, abbiamo prima creato dei temi che il regista ha usato come musica d’ambiente sul set e poi, una volta girato il film, siamo tornati in studio e abbiamo riadatto tutto alle immagini filmate. Per "Marpiccolo", la pellicola di Alessandro di Robilant, abbiamo iniziato a lavorare quando il montaggio era concluso. Per Gomorra, invece, abbiamo iniziato a lavorare su un montaggio non ancora definitivo.
Il libro di Saviano l’avevate letto?
Sì certo, e avevamo anche visto anche il film di Matteo Garrone, ma non so hanno influenzato il nostro lavoro. È stata decisiva la visione del primo episodio della serie: quei 55 minuti ci hanno letteralmente traumatizzati, abbiamo capito subito che si stava andando in direzione totalmente diversa rispetto alla fiction italiana.
Scrivere per una serie tv è diverso rispetto a farlo per il cinema?
Per noi no. Gomorra è stato il primo e l’unico lavoro nato per la televisione ma tutto - a partire dal processo creativo fino alla cura dei mix e di tutti gli aspetti del sound design - ha avuto uno sviluppo simile a quello di un film. La grande differenza, probabilmente, sta nella quantità: le 12 puntate è come se fossero stati 12 film. Quindi all’inizio devi produrre fluidamente e bene. Mi pare che siamo arrivati a 50 temi.
La vostra colonna sonora - soprattutto nella prima stagione - si inserisce tra due generi precisi: la musica neomelodica e il rap. Vi siete posti il problema di come collocarvi tra questi due mondi?
Fin dal primo montaggio sono state utilizzate delle musiche di repertorio che andavano a caratterizzare geograficamente e culturalmente quel tipo di realtà, quindi il rap e i cantanti neomelodici. Nonostante non fossero elementi tipici del nostro background abbiamo lavorato molto serenamente: non ci siamo posti alcun tipo di limite e si è dimostrata una scelta efficace. Sono addirittura nate collaborazione inaspettate, abbiamo da poco fatto un brano con Lucariello.
Facciamo un passo indietro: come è nata l’idea di scrivere musica per film?
L’intenzione di lavorare con le immagini c’è sempre stata. Sin dall’inizio quando facevamo le prove proiettavamo dei film e per i concerti abbiamo sempre lavorato con videomaker. Il passaggio poi è stato quasi naturale. Paradossalmente non è che abbiamo mai spinto o tirato per la giacchetta i registi, in gran parte di casi si è tratto di un incontro.
E l’incontro con Sollima come è avvenuto?
Lui ci aveva conosciuto ad un nostro concerto, aveva comprato uno dei nostri primi cd, ma in quell’occasione non ci eravamo parlati. Quando poi ha iniziato a lavorare ad "ACAB", il suo primo film, ci ha contattato via mail e ci ha coinvolto nel progetto.
Credi ci siano dei punti di contatto tra la vostra cifra musicale e quella cinematografica di Sollima?
Ci siamo trovati d’accordo su molti punti e il più importante è questo: per lui la musica ha un ruolo di rottura, non deve essere solo un sottofondo che accompagna le scene, non deve sottolineare. È come se fosse un personaggio: quando c’è la devi sentire, quando non c’è lo spettatore deve apprezzare i suoni d’ambiente e i rumori della scena. Fin da subito Stefano ci ha spinto a concepire delle musiche in 5.1, pensate apposta per l’impianto di un cinema. C’è stata una forte componente sperimentale, soprattutto da un punto di vista percettivo. Stefano è uno che ti coinvolge tanto e che non si accontenta mai. Gomorra è il risultato di questo suo tipo di ostinazione.
Come si fa a trovare la musica giusta per il male assoluto?
È sempre difficile spiegare il momento della creazione. È un tipo di legame fluido che si crea tra noi e il regista. Nello specifico per Gomorra, abbiamo visto le prime immagini e ci è rimasta dentro una certa sensazione, quando poi siamo andati in studio a suonare è uscito quello che è uscito. Il lavoro fatto dal montatore e dal regista ha dato il risultato finale.
Voi non partecipate alla fase di montaggio?
No. Al massimo il montatore ti può fare una richiesta specifica, un pezzo di una determinata lunghezza, con quella specifica ritmica. Però nella fattispecie Patrizio Marone, che è il montatore di Gomorra, ha un senso musicale incredibile, lavora in montaggio con tutte le tracce dei singoli strumenti separate che gestisce in totale autonomia. Lui si è definito il sesto Mokadelic.
Una delle scene della prima stagione che più mi ha colpito per l’utilizzo della musica è quella della rivolta in carcere guidata da Don Pietro. Sembra che lì la colonna sonora funzioni ad enfatizzare la furia del boss che è pacata e distruttiva allo stesso tempo. C’è questo contrasto?
In effetti in quel brano si mescolano bene i due mondi dei Mokadelic, ovvero un’anima più elettronica e più dark - che viene espressa dalla prima parte, più distorta e acida - ed una seconda più melodica. Il contrasto tra queste due anime crea una tensione che, in una serie come Gomorra, non deve mai eccedere e deve rimanere costante. Tutta la colonna sonora ha il compito di farti sentire questo tipo di tensione.
Invece il pezzo che ritorna ad ogni fine puntata, “Doomed to live”, sembra proprio che voglia sciogliere questa tensione.
È vero, in un certo senso è così. Il pezzo è nato dopo la prima volta che abbiamo visto il montaggio. Dopo tutto quel carico emotivo, quella novità, tutto è andato a comporre una serie di elementi che poi sono sfociati in quel brano. Abbiamo pensato subito a Ciro: quando muore Attilio, che era una specie di padre per lui, Ciro capisce che invece di essere il cosiddetto immortale, come lo chiamano a tutti, è un condannato a vivere. Ci piace che “Doomed to live” chiuda tutti gli episodi e che, ogni volta, assuma un significato diverso.
Che poi è perfetta per introdurre il brano di Nto e Lucariello, "Nuj vulimm na speranza", su cui scorrono i titoli di coda. Il beat di quel brano è lo stesso di “Doomed to live”. Nella seconda stagione la musica di repertorio sembra essere stata ridotta per dare maggiore spazio ai vostri interventi, è così?
Tra la prima e la seconda c’è stato proprio un cambiamento concettuale, e qui parlo più che altro da spettatore. Mentre nella prima stagione i personaggi venivano osservati dall’esterno, con la seconda, vengono spiati nei loro aspetti più intimi. Stefano ci ha espressamente richiesto di non creare dei nuovi temi, ma di remixare quelli già esistenti, perché bisognava ricreare una memoria sonora.
E qual è il tuo parere da spettatore sulla serie?
È difficile rispondere, quando lavori ad un progetto non riesci poi guardarlo da altri prospettive. Mi piacciono molto i vari personaggi, hanno tutti delle evoluzioni molto interessanti e imprevedibili.
Vi aspettavate che Gomorra avrebbe avuto tutto questo successo?
Per noi Mokadelic è stato del tutto inaspettato. In molti, da tutto il mondo, ci fanno i complimenti. Certo non ci siamo mai posti l’obiettivo di avere successo con la musica: per noi la cosa più importante è produrre qualcosa di qualitativamente alto, o quanto meno buono. Per farlo abbiamo lavorato tantissimo: Gomorra ci ha impegnati ininterrottamente da luglio 2013 fino a giugno 2014, per questo abbiamo creato attorno a noi una staff fidato che ci aiutasse, a partire da Taketo Gohara con cui avevamo già lavorato per la colonna sonora di "Come Dio Comanda".
Da poco avete pubblicato un nuovo disco di inediti, “Chronicles”, come lo descriveresti?
Ha un ipotetico lato A dove la matrice predominante è il rock, a volte anche con strumenti acustici, mentre il lato B è dedicato all’elettronica. È il risultato della nostra evoluzione sonora degli ultimi 10 anni e, allo stesso tempo, è come se fosse un ritorno al passato, a quando facevi le cose da solo e lavoravi per mettere da parte i soldi per incidere i dischi.
Nessuno di voi ha mai fatto il musicista di mestiere?
No, abbiamo sempre avuto anche altri lavori, l’underground non paga così bene. È una cosa che nel tempo è anche diventata un valore: la musica è sempre stata il luogo dove potersi sentire liberi. Abbiamo sempre fatto di tutto per preservare questo spazio, trovando un equilibro tra l’aspetto lavorativo con quello musicale.
E com’è stato tornare a scrivere musica facendo a meno delle immagini?
È difficile risponderti, come avrai capito per noi le due cose non si separano mai. Anche se questi brani non stanno su film, sono svincolati formalmente da immagini, hanno all’interno un loro immaginario. Viene meno l’aspetto narrativo, resta molto forte quello emotivo ed evocativo. Perché ogni volta che ascoltiamo un suono creiamo nella nostra testa delle immagini. Spero che accada lo stesso a chi ci ascolta.
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L'articolo Dentro la colonna sonora di Gomorra: l'intervista ai Mokadelic di Angela Maiello è apparso su Rockit.it il 2016-07-22 12:50:00
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