Il giorno dopo la vittoria della nazionale all’Europeo, la home di Instagram di chiunque è stato preso d’assalto dai post sulla finale di Wembley. Dai festeggiamenti in tutte le piazze d’Italia a Chiesa che chiama la madre dallo stadio, da Donnarumma che non si rende conto di aver appena parato il rigore decisivo ai giocatori inglesi che si sfilano le medaglie, sembra non esserci spazio per parlare di altro che non sia il calcio. Ma in realtà, non è così: nella mattina del 12 luglio scorso l’associazione La musica che gira, nata dopo lo scoppio della pandemia per supportare tutti quei lavoratori dello spettacolo che si sono trovati in enorme difficoltà, ha pubblicato un post in cui si lamentava della cosiddetta riforma annunciata circa un mese fa dal Ministero della Cultura.
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“La riforma che non c’è”, si può leggere a caratteri cubitali nella prima foto del carosello pubblicato da La musica che gira. Scorrendo si possono leggere le motivazioni – oltre a un meme ad hoc che ha come base la già iconica trattenuta di Chiellini su Saka durante la finale – per cui questa riforma, rivendicata a gran voce dal ministero, non sia altro che uno specchietto per le allodole. “Riteniamo opportuno puntualizzare che le misure anticipate dal ministero non sono il frutto dell’ascolto di tutti gli operatori del settore”, si può leggere nella descrizione del post. “Ci aspettavamo una riforma coraggiosa, perché l’occasione di correggere davvero quelle storture che ci hanno resi così fragili durante la pandemia è storica, ma nonostante mesi di incontri con il MIC ci siamo trovati di fronte a una riforma che si basa ancora sugli errori del passato”.
La “rivoluzione” che il ministero sostiene di aver portato all’interno del settore dello spettacolo è composta dal decreto legge Sostegni Bis, che conferisce agevolazioni e indennità ai lavoratori che nel corso del primo lockdown si sono trovati scoperti e senza aiuti dallo Stato, e dal disegno di legge per la riforma del codice dello spettacolo. Entambe misure ottenute “attraverso l’interlocuzione costante con gli operatori del settore e il dialogo costruttivo intessuto con le parti sociali”, ma per La musica che gira, assieme a tante altre organizzazioni che negli ultimi mesi si sono spese per sostenere i lavoratori dello spettacolo, non è così. Abbiamo parlato con Manuela Martignano, una delle promotrici dell’associazione, per capire al meglio quali fossero le loro richieste e perché il ministero le avrebbe ignorate.
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Partiamo dall’inizio. Come si è arrivati a questa riforma?
Quest’anno il ministero lo ha affrontato tenendoci seduti a un tavolo, anche in maniera intelligente, perché erano presenti realtà che in una situazione normale il ministero non sarebbe tenuto ad ascoltare, a differenza delle associazioni di categoria e dei sindacati. Invece ha coinvolto tutte le realtà che in questo anno si sono manifestate. Realtà non solo di rappresentanza, ma che essendo composte da addetti ai lavori portavano un punto di vista prezioso sia sui problemi che sulle possibili soluzioni. Le fragilità della pandemia derivano da tutta una serie di errori nell’impianto legislativo che regola il settore. Il dialogo con il Ministero ci ha aiutati a risolvere alcuni problemi di carattere emergenziale ma noi sin dall’inizio chiediamo una riforma, nel corso del 2020 sono state depositate delle proposte di legge, tra le quali quella a firma Orfini-Verducci che era frutto di un confronto davvero molto ampio con le realtà del settore, e che inoltre partiva dal foglio bianco e riscriveva le regole partendo dalla ridefinizione del settore. Rispetto ad altre proposte di legge che mettevano un cerottino sui problemi del settore cercando di correggere un impianto sbagliato, la Orfini-Verducci proponeva un trapianto di cuore.
Perché c’era la necessità di ricominciare da zero?
Una riforma totale ci aiuta a non dipendere esclusivamente dai provvedimenti emergenziali e a risolvere una serie di contingenze legate alla natura del nostro lavoro. La discontinuità, per esempio, che è peculiare del nostro settore e che, ricordiamo, si riferisce solo al reddito e non al lavoro. Tutto ciò che si svolge sul palco necessita di svariati giorni di preparazione che non vengono remunerati, a tal fine la riforma dovrebbe prevedere un raddoppio del valore contributivo di quelle giornate di lavoro riconosciute per far sì che anche la parte di preparazione al lavoro vada a comporre il “tesoretto” contributivo del singolo lavoratore. Funziona così in Francia e in Belgio per esempio, quelli dovrebbero essere i nostri modelli.
E questo aspetto, per esempio, com’è stato affrontato dal governo?
All’interno del decreto sostegni bis ci sono delle misure emergenziali che purtroppo non sono risolutive e contribuiscono a una stratificazione di norme che non sono organiche tra loro. Ma va bene, le abbiamo prese come tappe di avvicinamento a una riforma, in qualche modo ce le siamo fatte piacere. Sono state introdotte delle misure di welfare, come la riduzione del numero di giornate per accedere alla maternità, che sono senza dubbio utili ma che ci restituiscono sempre delle differenze rispetto ai diritti degli altri lavoratori in altri settori.
Dove c’è stata la rottura con le vostre richieste?
Al Governo è stata rinnovata la delega per la riforma del settore, che permetterà di arrivare a un Codice dello Spettacolo in tempi più brevi rispetto a quelli previsti dal normale iter parlamentare di una legge. Ma con lo svantaggio che il Parlamento a quel punto avrebbe solo un ruolo consultivo, non può emendare la legge, non può correggerla. Nel momento in cui il ministero ci ha presentato una sorta di riassunto di quello che volevano fare ci siamo resi conto che c’era qualcosa che non andava: l’impianto della legge non rovesciava il tavolo, non riscriveva il sistema ma provava a correggerlo qua e là.
Voi come avete reagito?
Dal ministero ci hanno chiesto dei commenti, abbiamo inviato quindi dei documenti analitici molto dettagliati su quella prima bozza, nei quali ripetevamo che quello di cui avevamo bisogno era una riscrittura delle regole, non una correzione delle precedenti, perché così rischiavamo di fare una riforma basata sugli stessi errori del passato. Ci sono state almeno tre o quattro occasioni durante le quali abbiamo esposto queste necessità, e non solo come La musica che gira, ma con almeno una quindicina di sigle con le quali abbiamo condiviso questa linea. Tuttavia il ministero il mese scorso ha annunciato una serie di misure legate alla delega che a noi sembrano irricevibili.
Per esempio?
Il Sostegno Economico Temporaneo (SET) sarebbe il loro modo di affrontare la discontinuità nel quale ci trattano come dei disoccupati, tanto da mandarci anche a fare formazione nei periodi di inattività. Ma noi non siamo disoccupati. Se un artista, prima di una settimana di prove con il suo gruppo, per venti giorni a casa sua prova i brani quello è già lavoro, che facciamo? Gli diciamo che deve anche andare a fare formazione? E se sono un addetto alla produzione o un tecnico vale lo stesso principio. E questo è l’unico articolo che dice qualcosa di sostanziale.
Vi lamentate anche del “registro nazionale dei lavoratori dello spettacolo”. Come mai?
Cito dal decreto: “L’esercizio delle attività professionali dello spettacolo non sarà condizionato dall’iscrizione in tale registro”. Quindi non servirà a niente, neanche a fare una mappatura del settore, di cui abbiamo un disperato bisogno. Il portale per i lavoratori dello spettacolo non è altro che il sito dell’INPS con alcune funzioni in più. Questa sarebbe una riforma rivoluzionaria? Se leggo questo annuncio, cosa devo pensare? Siamo stati seduti per mesi a un tavolo per chiedere una mappatura del settore e delle semplificazioni che favoriscano l’emersione del lavoro nero; incentivi per le imprese che premino chi produce cultura; il riconoscimento effettivo di tutti i nostri contributi previdenziali; diritti che ci diano la stessa dignità degli altri lavoratori e il riconoscimento della discontinuità, ma una vera discontinuità non una disoccupazione 2.0. Nelle ultime comunicazioni del Ministero di tutto ciò non c’è traccia, anzi c’è traccia della discontinuità con il SET ma affrontata in maniera sbagliata.
Quindi non siete stati ascoltati.
Insieme alle altre sigle con le quali abbiamo firmato il comunicato stampa (l'elenco completo è a fine articolo, ndr) abbiamo sentito la necessità di puntualizzare che questi risultati non sono assolutamente quello che abbiamo chiesto, nonostante sia questo quello che il ministero fa passare. Non siamo tutti d’accordo con questa riforma, anzi, questo ascolto sembra essere solo il prezzo in termini di tempo che il Ministero deve pagare per poter dire che c’è stato confronto con tutti, ma poi il risultato racconta una storia diversa: non tutti gli operatori sono stati ascoltati. Il Ministero può senza dubbio continuare a proporre cose diverse da quelle che noi abbiamo richiesto ma per noi a questo punto è importantissimo che si sappia che queste misure non vengono dal nostro di lavoro, non rappresentano il nostro modo di interpretare il cambiamento necessario per il settore. Se il dialogo continuerà a non funzionare saremo costretti a tornare in piazza, non rinunceremo a esprimere il nostro dissenso nei confronti di una strada che non riteniamo giusta. L’assurdità sta nel fatto che in tanti abbiamo sempre suggerito di partire dalla Orfini Verducci, perché era frutto di un lavoro di confronto con tutte le realtà del settore durato un anno. Era un ottimo punto di partenza, si poteva senza dubbio discutere di qualche punto se non tutti erano d’accordo, ma almeno l’impianto di quella legge era quello giusto.
E per quanto riguarda i sindacati?
Noi non sappiamo cosa ne pensino i sindacati di questa legge, al momento non li abbiamo sentiti lamentarsi di queste proposte. Se sono d’accordo che lo dicano e se ne assumano la responsabilità. Se fra un anno avremo una legge che avrà cambiato tutto per poi cambiare poco o niente qualcuno se ne dovrà assumere la responsabilità. Non voglio fare speculazioni, mi limito a registrare che al momento non abbiamo letto da nessuna parte una loro forte contrarietà a questo impianto.
Perché non basta una correzione della situazione, ma va proprio rivoluzionato il settore?
I problemi del passato hanno fatto sì che questa crisi provocasse un cataclisma nel settore, perché in tanti ci siamo trovati senza tutele (lavoratori e aziende). Solo per fare un esempio che sembra paradossale ma è esemplificativo abbiamo affrontato una pandemia con un’alta percentuale di lavoratori che non avevano diritto all’indennità di malattia. Quando il sistema è strutturato così male bisogna avere il coraggio di cambiarlo radicalmente. E questo significa anche che lo Stato deve riconoscere di dover investire.
Perché avete condiviso queste vostre istanze subito dopo un evento mediatico come la vittoria della Nazionale, che inevitabilmente ha il monopolio dei social?
Ci siamo domandati a lungo se farlo o meno, ma la verità è che andava fatto. Dobbiamo toglierci di dosso un senso di inferiorità che la politica e la società sono soliti farci indossare, non possiamo permetterci di vestirci di inferiorità da soli. Il parallelismo con il calcio è calzante, perché domenica sera per quella partita che ci ha fatto sognare c’era gente che lavorava. Noi siamo quelle persone lì, esattamente come chi lavora nei grossi eventi calcistici lavoriamo perché poi il pubblico possa tornare a casa felice, perché ha assistito a qualcosa di memorabile. Noi non vogliamo perdere questa occasione, non vogliamo che la riforma si trasformi in un compitino poco risolutivo. Non dobbiamo solo resistere alla crisi, dobbiamo uscirne migliori, sia sotto il punto di vista del nostro atteggiamento (e mi riferisco agli addetti ai lavori) che sotto il punto di vista dei risultati che portiamo a casa. Noi dobbiamo venire fuori da questa crisi con la consapevolezza che ci siamo battuti per avere un cambiamento reale delle nostre condizioni. Così, se dovesse succedere un altro incidente di percorso come nel 2020, non avremo paura di crollare rovinosamente come siamo crollati a questo giro.
Come vi muoverete adesso?
Aspettiamo di sentire il ministero perché il nostro obiettivo principale resta sempre il confronto. Se poi dovesse rivelarsi nuovamente infruttuoso vedremo come andare avanti. Per ora non abbiamo piani sul come, ma sappiamo che l’obiettivo è quello di ottenere una riforma che si possa definire tale. I problemi che ci hanno resi così fragili arrivano da ben prima del covid, è lì che dobbiamo andarli a correggere. La pandemia passerà, questa situazione evolverà, ma se ne veniamo fuori senza esserci impegnati al massimo per risolvere quei problemi allora ce la meritiamo l’inferiorità che la società e la politica ci riservano. Questo è il momento di cambiare le cose, l’attenzione che come settore abbiamo è legata a queste contingenze, quando le cose torneranno alla normalità è molto probabile che anche il riguardo nei nostri confronti torni ai livelli “normali”.
Elenco delle organizzazioni che si oppongono alla riforma del settore annunciata dal Ministero della Cultura
A.I.A. - Artisti Italiani Associati
ACEP - Associazione Compositori Editori Produttori
ACMF – Associazione Compositori Musica per Film
AIDAC – Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi
A.M.A.M.I. Associazione Manager e Agenti Musicali Italiani
ANAC – Associazione Nazionale Autori Cinematografici
ANART – Associazione Nazionale Autori Radiotelevisivi e Teatrali
ANPAD - Associazione Nazionale Produttori Autori Deejay
ARIACS - Associazione dei Rappresentanti Italiani di Artisti di Concerti e Spettacoli
ASAE - Associazione Sindacale Autori Artisti ed Editori
ASSOARTISTI – Confesercenti – Associazione Italiana degli Artisti e degli Operatori dello Spettacolo
Associazione Musinapoli
ASSOLIRICA
BAULI IN PIAZZA
B.u.l.l.s. (Brescia Unita Lavoratori Lavoratrici dello Spettacolo)
CAFIM ITALIA
CAM (Coordinamento Associazioni Musicisti)
CENDIC – Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea
FAS (Forum Arte e Spettacolo)
FEDERAZIONE AUTORI
FEDERAZIONE NAZIONALE DEL JAZZ ITALIANO
FNAS - Federazione Nazionale delle Arti in Strada
Forum Nuovi Circhi
ITAL SHOW
L’ASSOCIAZIONE – Autori Compositori Interpreti Esecutori
LA MUSICA CHE GIRA
MIA (Musica Indipendente Associata)
MIDJ - Associazione Musicisti Italiani di Jazz
MIG - Movimento Musicisti Indipendenti per Genova
NOTE LEGALI
PCP (Presidi Culturali Permanenti)
PIU (Promoter Indipendenti Uniti)
R.A.C. Regist_ a confronto
RAAI Registro Attrici e Attori Italiani
R.C.A.A.P.C. Registro Categoria Attrici Attori Porfessionisti Campani
SHOWNET – Rete di imprese del mondo dello Spettacolo
Slow Music ETS
SNAC – Sindacato Nazionale Autori e Compositori
UNA Unione Nazione Autori
UNCLA - Unione Nazionale Compositori Librettisti e Autori
UNICA – Cantautrici Unite
UNIONE OBIS - Associazione Orchestre Ballo Italiano e Spettacolo
UNISCA (Unione Nazionale Settore Creativo e Artistico)
UNITA (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo)
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L'articolo Governo Draghi, che fine ha fatto la riforma dello spettacolo? di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2021-07-13 16:07:00
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