In questo mondo che, pieno di lacrime, io certe volte dovrei fare come Dario Hübner
Attacca così il brano contenuto in Evergreen dedicato da Calcutta all’ex bomber di Brescia e Piacenza. Che poi, cosa intendesse indicare il cantautore di Latina con il termine mondo rimane un ministero: mondo inteso nella sua accezione più fisica di pianeta, la Terra, o per indicare la società nella sua interezza? Il mondo di provenienza di Edoardo, la scena indipendente italiana che, da almeno dieci anni, ha riacceso i riflettori sulla provincia italiana e su tutte le sue manifestazioni? Massimiliano Raffa, conosciuto ai più come Johann Sebastian Punk, ironizzò su quest’usanza che aveva ormai preso piede in una canzone intitolata Voglio vivere a Voghera. Sembrava quasi un brano, per essere ritenuto indie, dovessero rispettare determinati criteri geografici, toponomastici, citare almeno una città desueta per testo. Agglomerati che hanno ben poco a che fare con i grandi centri urbani.
Nomi che spuntano come i funghi tra i versi di Calcutta, quel genere di città dove a Hübner piaceva andare a giocare. Generazione di cantautori cresciuti col mito di questi calciatori hanno riadattato l’operazione nostalgia in termini musicali. Con quel modo sgraziato di giocare e quel fare da antidivo, afflitto da vizi così umani che, pur - forse - limitandone la carriera, non sono mai stati in grado d’intaccarne la mitologia. L’epica di uno dei più importanti centravanti di una Serie A che non c’è più. Bobo Vieri, Ronaldo, Del Piero, Batistuta, Totti, Pippo Inzaghi? Nomi tributo del mainstream. Roby Baggio? Lasciamolo a Cesare Cremonini.
Dario Hübner non poteva che essere uno dei calciatori preferiti da Calcutta. In occasione dell’uscita del suo primo libro Mi chiamavano Tatanka(Baldini+Castoldi Editori), abbiamo scambiato quattro chiacchere con il Re dei bomber di provincia.
Cosa dobbiamo fare per essere come Dario Hübner?
Non mi sono mai atteggiato da prima donna. E non mi è mai piaciuto stare sotto i riflettori. Pensandoci oggi, forse il mio atteggiamento è stato sbagliato, avrei potuto guadagnare qualcosa di più, ambire a qualcosa di più importante. Sono sempre stato genuino, ho vissuto la mia carriera con naturalezza e tranquillità. Giocavo uno sport che mi piaceva, praticavo un lavoro che mi piaceva. Mi sentivo appagato. Già dal Treviso: un conto è prendere 800 mila lire montando finestre, un conto percepire lo stesso stipendio allenandosi due ore ogni pomeriggio. Credo che per un musicista valga lo stesso discorso, a qualsiasi livello. Aver la possibilità di guadagnare facendo ciò che si ama è un privilegio.
Calcutta lo conoscevi già, la canzone ti è piaciuta?
Mi è piaciuta. Anche se devo essere sincero, sono abituato a tutt’altro genere musicale, all’inizio ero un po’ spiazzato. Fortunatamente sono intervenuti i miei figli, più pratici con le dinamiche di questi autori moderni, mi hanno spiegato quanto fosse importante Calcutta. Non me ne sono reso subito conto.
Quindi ai tuoi figli piace?
Certamente, loro lo ascoltano. Gira un sacco di musicaccia oggi, mi hanno tranquillizzato “Papà è una bella canzone, parla bene di te. Racconta dei valori che incarnavi … “
Nel libro c’è un capitolo dedicato alla musica, com’è nata la tua passione per i Queen?
Erano gli anni di Born to be alive, di Diana Ross e di quelle canzoni là … Una volta ascoltati i Queen non ho più potuto più farne a meno. Non sono un esperto di musica, ma mi piacciono i complessi dove posso distinguere tutti gli strumenti. La voce di Freddie Mercury è la migliore che io abbia mai sentito. Mi piacevano i ritmi e quel poco che riuscivo a percepire dai testi, in poche parole, i Queen mi soddisfacevano. Correvano gli anni '70, usavo una delle prime radio a cassettine per registrane le canzoni, appena passavano un brano, correvo allo stereo a premere il pulsante REC. La mia prima cassettina originale la comprai alle bancarelle di una sagra di paese, quelle che dalle mia parti chiamano osmiz. Con i miei primi stipendi e l’avvento dei lettori iniziai a comprarmi i cd, maturai una forma di follia, li collezionai tutti, dal primo alle opere postume. Mi hanno accompagnato in tutti i momenti della mia vita, durante la nascita di entrambi i miei figli.
Ascoltavi i Queen anche prima delle partite?
I Queen sono sempre stati presenti sul mio portatile, li “pompavo” in ritiro, quando eravamo tutti insieme, nei momenti di socialità. Li ascoltavo anche in camera, ma non era sicuramente come oggi. Prima delle partite preferivo un bel massaggio ai polpacci. Oggi puoi ascoltarti la musica sul cellulare, le riprese negli spogliatoi mostrano i calciatori assorti nelle loro cuffie, probabilmente se le portano anche in panchina. Ribadisco, roba d’altri tempi.
Qualche compagno di camera che proprio non li sopportava?
Ho ascoltato i Queen in ogni società in cui sono andato, qualche compagno, a furia di sentirli, ha iniziato ad ascoltarli proprio grazie al sottoscritto. Non ho mai trovato nessun contrario. In fondo, in camera nostra si ascoltavano i Queen, ma era un bello scambio musicale. I gemelli Filippini ascoltavano solo Bruce Springsteen. Emanuele e Antonio erano veramente fissati con Bruce Springsteen, innamorati del Boss.
Però non sei mai andato a un concerto dei Queen?
Quando i Queen si esibirono al Palasport di Milano nel 1984 il calcio non mi garantiva ancora un’autonomia economica tale da potermelo permettere. Credevo si sarebbero ripresentate altre occasioni. Anni dopo, con mio cognato, compimmo un vero e proprio pellegrinaggio sulle orme di Freddie, visitammo la sua casa di Londra, a Kensington, lo studio, il cimitero dove è stato sepolto. Ma il Kensal Green Cemetery è grande come Crema e non trovammo la tomba. Non assistere a un concerto dei Queen e non indossare la maglia della nazionale sono realmente i miei più grandi rimpianti.
Avrai assistito ad altri concerti...
No, l’unico grande evento cui ho partecipato sono i Gran Premi di Monza. Scavalcando grazie all’aiuto di mio cugino che conosceva il parco dell’autodromo. La formula 1 è la mia più grande passione sportiva dopo il calcio. Non sono mai stato a nessun concerto, ma adesso devo organizzarmi per andare a vederne uno di Calcutta. Ho chiesto a Pierluigi Pardo: il fatto che, ogni volta che mi vede, mi canta la canzone, ogni tanto mi chiama al telefono canticchiando. A lui piace molto Calcutta, gli piace tutta questa nuova scena musicale italiana.
Nella foto qua sotto c'è uno spettatore francese che indossa la tua maglia a un live di Calcutta a Parigi, durante l'ultimo tour europeo: incredibile, eh. Ora speriamo che i concerti riaprano presto. Nel libro sono menzionate due catastrofi, il terremoto del Friuli e l’esplosione della centrale nucleare in Ucraina. Che, oggi come allora, ha costretto gli italiani a chiudersi in casa.
Oggi in realtà è un po’ più semplice, da giovane mi pesava non poter uscire a giocare a calcio. E poi non c’erano tutti questi confort. Ma la nube di Chernobyl arrivava realmente da lontano, a Crema ora ci troviamo nell’epicentro di una crisi. Stiamo a casa, giochiamo alla PlayStation, guardiamo le serie televisive, sistemiamo la cantina. Cerchiamo di passare il tempo, dobbiamo ascoltare quelli che sanno più di noi. Sono felice abbiamo spostato gli Europei. Il nostro obiettivo è stare in casa, mi sembra anche superfluo parlare di calcio.
Oltre ai Queen, avrei ascoltato qualche altro gruppo?
Il sabato sera ascoltavamo i Bee Gees, mi piacciono i Rolling Stones. Ho sempre ascoltato principalmente musica inglese, pur parlandolo ben poco. Grazie a mie moglie ho imparato ad apprezzare la musica italiana: Renato Zero, Claudio Baglioni trovano spazio sulla mia chiavetta USB tra un brano dei Queen e l’altro. Quando devo affrontare un viaggio in auto di più di tre ore con mia moglie meglio non farla arrabbiare.
Oltre che come Tatanka, sei stato chiamato “Il re dei bomber di provincia”. Ti piaceva?
Io vado fiero di questa definizione, che sia di provincia o di una grande squadra, l’importante è essere bomber. Quella della provincia è una narrazione diversa, non credo sia giusto parlare di perdenti, quando di figure che sono state capaci di rialzarsi. Forse è questo che ci accumuna. Sopperire a determinate mancanze con la passione. Avrei potuto compiere scelte diverse per la mia carriera, giocare in una provinciale vuol dire rischiare di retrocedere ogni anno. Il più delle volte sono retrocesso. Ho anteposto i valori umani a quelli economici. E non me ne pento. Non mi sentivo meno importante di un attaccante blasonato. Se giocavo a Brescia o Piacenza il mio obiettivo era salvarmi, salvarsi era il mio scudetto. 24 gol a Piacenza pesano più che 24 gol alla Juve. Trezeguet calciava in porta 15\20 volte a partite, c’erano match in cui io non riuscivo a compiere nemmeno un tiro.
Come va la vita da allenatore?
Alleno i ragazzi dell’Accademia Fabrizio Lori, mio presidente ai tempi del Mantova, disputano un campionato riservato a calciatori disabili. Ma sono affiancato da ragazzi ben più competenti del sottoscritto, che fanno la maggior parte del lavoro, mi limito a metterci la faccia e dare qualche consiglio. I ragazzi sono felici di vedermi e io di vedere loro divertirsi.
Scusa, off topic: i tortelli cremaschi del tuo matrimonio sono quelli con le mentine sbriciolate nell’impasto?
Guarda, non conosco la ricetta precisa, anche se il mio è il paese del tortello d’oro. I famosi tortelli cremaschi per cui arrivano persone da tutta Italia. Ormai sono 30 anni che sto qui a Crema, quando arrivai alla Pergo andai a pranzare in questo ristorante dove conobbi mia moglie, mi chiesero se volevo provare i tortelli cremaschi. In tempi migliori, ogni volta che dovevo sostenere un’intervista, portavo i giornalisti allo stessa trattoria. La maggior parte delle persone sembra andarci matta. A me non piacciono proprio, sono troppo dolci, ho un’altra idea di pasta.
Dario Hübner è l’unico calciatore della Serie A cui era concesso fumare. La nostra domanda quindi è: di che marca di sigarette hai “usufruito” per segnare oltre 300 gol nella tua carriera?
Durante i gran premi scroccavamo sempre le Gitanes, sponsor della Ligier di Jacques Laffi, puzzavano terribilmente ma erano gratuite. Le prime sigarette che ho provato, invece, sono state le MS rubate a mio padre, poi qualche Diana a mia sorella. A quattordici anni ho iniziato a lavorare e avevo i soldi per comprarmele. Ho iniziato con le Camel senza filtro, le migliori in circolazione, l’unico problema, lavorando erano molto scomode e sono quindi dovuto passare al filtro. Da quel momento ho iniziato con le Malboro.
Rosse?
Rosse, ma premetto, da almeno un anno sono passato alla Iqos. Ho provato tutti i tipi di sigarette elettronica, tutti i tipi di liquidi, questo è un buon compromesso per chi vuole smettere di fumare, ma non rinunciare al tabacco. Sono molto soddisfatto, mi trovo bene, mi è anche tornato il fiato. Quasi quasi torno a giocare.
Per acquistare "Mi chiamavano Tatanka", il primo libro di Dario Hübner, clicca qui.
---
L'articolo Dario Hübner: io, il pallone, Calcutta e le sigarette elettroniche di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2020-03-19 10:11:00
COMMENTI