Intervistare Albertino è un po' come intervistare una voce della coscienza: sei così abituato a sentire quella voce alla radio che riesce molto difficile non prendersi subito confidenza. Se poi dall'altra parte trovi una persona accomodante, il gioco è fatto.
La cosa che mi ha lasciato ovviamente perplesso è che per la prima volta ho parlato alla radio e, come sotto un acido, la radio mi ha risposto.
Seguendoti da anni e studiando la tua biografia ho individuato quattro lati che compongono la tua persona: Albertino, Alba, Albertone e Albert Einstein della comunicazione. Parliamo quindi del dj, della persona, dell'attore che inventa personaggi e dell'ideatore di nuove terminologie radiofoniche e linguistiche (sei stato menzionato dalla Crusca per i neologismi creati nel Deejay Time). Come li vedi questi quattro volti?
Mi piace questa tua analisi della quadrupla identità; fino alla doppia ci arrivano tutti, alla quadrupla finora nessuno. Però è un'analisi giusta della mia versatilità, della mia personalità completa non di semplice dj ma di intrattenitore e comunicatore, insomma sono tutte sfaccettature del mio carattere e aspetti professionali che hanno sempre convissuto. Ho sempre cercato di mettere tutti questi elementi in ogni singola cosa che ho fatto, ho sempre cercato di contaminare l'ironia e l'autoironia con il mondo della musica dance, che è un mondo in cui invece vedo tutti prendersi troppo sul serio, si sentono degli strafighi, si sopravvalutano. Io ho sempre cercato di sdrammatizzare anche perché il mondo della dance è quello del divertimento e quindi non ci si può prendere troppo sul serio. Poi questa cosa in verità è sfociata addirittura in comicità, a un certo punto della mia vita. Ho sempre partecipato ai momenti comici della radio, ad esempio con Fiorello, poi in alcuni momenti ho avuto addirittura delle intuizioni che mi hanno portato su palcoscenici come quello di Zelig che non era certo il mio ambiente ma che è stata una scommessa vinta. Per quanto riguarda il genio della comunicazione, in realtà io mi sento un ascoltatore più che un comunicatore, perché molte delle cose che ho reso tormentoni sono linguaggi di cui mi sono appropriato, magari cose sentite per strada che ho usato per colorare le mie trasmissioni e che hanno poi funzionato.
Se ti chiedessi quattro immagini che hai di questi tuoi quattro profili?
Albertino dj per me è quello con i capelli lunghi anni '90. Quello è il suo apice, anche come precursore. Non voglio fare il nostalgico, non voglio essere legato ad un periodo storico del passato, non mi piace l'effetto cantante che ha una sola canzone e continua a cantarla per sempre, però noi in quegli anni abbiamo fatto quello che sta ora avvenendo in tutto il mondo, ci eravamo arrivati prima di tutti. Ci sono stati momenti negli anni '90 in cui si poteva sperimentare, io ho anticipato moltissimo quello che sento su molte radio adesso e che non è comunque ancora al livello di quello che abbiamo fatto noi.
Per la comicità invece, be' mi ha sempre stuzzicato, ma credo che la voce fuori campo di Ranzani sia stato un momento fondamentale e anche molto attuale. Anche ora quando lo riproponiamo è una cosa che riscuote successo, è uno stereotipo, un personaggio che un po' tutti abbiamo incontrato una volta nella vita.
Come Alba invece io sono molto riservato. È una parte di me che vedo lontana da tutti, dai luoghi popolati, anti centro commerciale. Paradossalmente io che sono il re della commerciale sono anti centro commerciale.
Per la linguistica proprio oggi mi è venuto a trovare in radio un vocalist con cui ho lavorato questa estate al Muretto, locale in cui sono stato resident e che è uno dei luoghi più gratificanti per uno che arriva dal mio percorso, un po' la conquista di un nuovo regno. Questo ragazzo, che poi non è proprio un vocalist ma più un performer, tra le sue frasi tipiche aveva "Illumina la prima fila" che io gli ho prontamente rubato perché alla fine illumina non vuol dire un cazzo ma alla gente piace, ed è diventato un tormentone. Questo è un po' il meccanismo che ho sempre usato: sentire e riportare, come fanno i dj. Campionare insomma.
Hai detto che quello dell'Albertino coi capelli lunghi è stato un momento importante; il Deejay Time era un momento della giornata che tutti seguivano, anche io che ero più esterno ai circuiti dance e preferivo la musica delle band. In fondo era li che scoprivi la musica, passavate tutti i generi. Il tuo ruolo era quello di una Annie Mac italiana, ma questo essere precursore e punto di riferimento sei riuscito a portarlo avanti fino ad oggi?
Guarda, rispetto alle altre radio di gran lunga. Diciamo che ultimamente ho fatto un po' di fatica perché la nostra radio è un po' cambiata, la linea editoriale è andata su cose più rassicuranti, ho dovuto un po' combattere, insomma.
Nell'ultimo periodo sono ritornato invece su quella roba là e devo principalmente ringraziare la musica perché è in un ottimo momento. Prima era molto meno radiofonica e rendeva difficile entrare in quel discorso, era molto meno ascoltabile e si poteva passare in radio solo collocandola in orari o appuntamenti secondari. Mi è capitato di fare il Deejay Time il venerdì sera ma non ha mai avuto lo stesso effetto che poteva avere alle due del pomeriggio, con una certa ripetitività e costanza giornaliere.
Oggi sono ancora io a mettere Major Lazer per primo e a farlo diventare un successo su tutte le radio nazionali, siamo ancora sul pezzo. Quel che è cambiato è l'ascolto, la fruizione. Ecco se devo dirtelo, l'errore è cercare di non invecchiare assieme alla nostra popolazione radiofonica.
Invece a livello editoriale secondo me Radio Deejay è cresciuta assieme alla propria utenza. Le persone che al tempo ascoltavano il Deejay Time e che ora hanno 30 o 40 anni, oggi trovano dei programmi per loro.
Nonostante questo, se te l'avessi fatta sei mesi fa questa domanda avrebbe sicuramente avuto un altro peso: il rinnovamento di cui parli si vede, stai passando nuovi produttori, hai portato Mace in radio e giù di spettacoli di twerk, etc etc. Però l'impressione è un po' quella che Radio Deejay sia invecchiata assieme al suo pubblico.
Purtroppo invece di avere il coraggio di rischiare c'è stato un freno. Questo potrebbe sembrare un motivo di polemica interna ma non è così, di fatto non è facile fare degli ascolti molto alti, come è obiettivo della nostra proprietà, facendo contemporaneamente cose fighe. "Get Lucky" non ti viene sempre, un pezzo figo che arriva a tutti capita poche volte, è più facile arrivare a tutti con Chihuahua, no? Ma io Chihuahua non lo voglio fare, certi compromessi insomma non sono facili da accettare, e poi ci vuole tempo... insomma non è semplice, però ci sto riprovando.
Tutto sta cambiando, nel 2014 la musica digitale ha venduto più di quella stampata per la prima volta nella storia. Tu che sei il fautore della cassettina, come la vedi questa evoluzione?
Sai, la tecnologia corre un po' troppo forte, le abitudini della gente cambiano ed è una delle ragioni per cui è difficile fare scelte, come ti dicevo prima. Il Deejay Time una volta era il punto di riferimento, oggi sono cambiate certe abitudini e i ragazzi pensano che andando sul web possono semplicemente crearsi la loro playlist, e che sia la migliore possibile. Il Deejay Time invece aveva un ruolo molto importante perché faceva da filtro, no? Compiva una scrematura. Quindi in mezzo a due ore di trasmissione trovavi il 50-60% di pezzi che erano davvero fighi e che avrebbero avuto successo.
Ora invece i ragazzini pensano di fare la loro ricerca ma senza avere esperienza. In questo modo invece che andare avanti si sta tornando indietro. Fare una ricerca o fare una scrematura non è la stessa cosa, bisognerebbe comunque affidarsi a qualcuno che lo fa da più tempo e che ti faccia da guida. Il vero ruolo del Deejay Time era quello di educare, le radio in generale lo facevano, io stesso sono cresciuto con le radio private milanesi che mi hanno fatto crescere e poi io ho fatto lo stesso sulla mia. Le nuove generazioni invece hanno perso la voglia di accendere la radio e con le loro ricerche che pensano libere, in realtà finiscono solo in mano a chi sa comunicare meglio, a chi è più bravo a farti credere di essere bravo.
Io non credo che ci sia così tanta gente che a 17 anni sia in grado di distinguere un dj veramente bravo da uno che non è bravo. Questo accade anche nella produzione, nella musica. Non è cambiata la fruizione della musica, è solo che nessuno la vuole più comprare, è come i free drink. Comunque rimane ancora il veicolo più importante per un artista, che ora però troverà la sua ricchezza durante i set o i concerti.
Vedi qualche spiraglio per una club culture italiana matura come negli altri paesi del mondo?
Intorno ai dj c'è tantissimo interesse, purtroppo in Italia manca ancora la cultura, le strutture, la preparazione. Insomma per chi segue certe sonorità c'è un brutto pubblico, le strutture che si possono chiamare club si possono contare sulle dita di una mano.
Secondo te all'interno delle discoteche si sta prendendo una piega sempre più commerciale?
Sì, ma d'altro canto mi piace il fatto che alcuni locali cerchino di alternare serate di ogni tipo. Mi piace vedere il locale come un contenitore senza che ci debba essere per forza una "bandiera", come si faceva prima. L'importante però non è il genere, ma che il prodotto sia di qualità. Una cosa che poi nella realtà manca, perché la realtà non è il Cocco o il Muretto, è il locale normale in provincia, dove comunque ci sono ancora lacune a livello organizzativo o di impianto. Con il vocalist che urla, il pr che mette i dischi perché porta la gente, è un po' sempre la cultura dell'arrangiamose.
Le famose line up da 300 euro.
Esatto.
Cambiamo discorso. Il primo album che hai comprato in vita tua?
"Everybody Dance" degli Chic 77
Un disco che ti porteresti sempre in valigetta?
Da suonare? Ci sono delle costanti che non hanno tempo, tipo "Rockafeller Skunk" di Fatboy Slim o "Sweet Dreams" degli Eurythmics, chiaramente in qualche versione un po' più aggiornata. Quando le metti fai sempre la tua bella figura.
Qualche tempo fa abbiamo intervistato Jovanotti, che ci raccontava di come secondo lui ormai i dj e le rockstar sono le persone di una certa età, non i giovani. Per lui non era un problema, per te?
Io ti rispondo come rispose mia figlia negli anni '90: mio papà si chiama Alberto e di lavoro fa Albertino. È un brand, Albertino. Come Valentino per lo stilista.
Sarai uno dei dj del MI AMI, sei contento di essere nella lineup di un festival che punta così tanto sulle novità?
Mi fido delle persone che mi hanno chiamato, tra tutte queste novità evidentemente c'è posto anche per me, e sono sicuro sia un contesto in cui mi divertirò. So che è una situazione molto aperta, trasversale, dove accadono diverse cose e sono contento di venire a suonare. Io sono uno che dove mi metti sto, sono pronto un po' a tutto, vedrete.
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L'articolo "Il vero ruolo del Deejay Time era quello di educare": l'intervista ad Albertino di Ale Tilt è apparso su Rockit.it il 2015-05-20 12:20:00
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