Ci sono musicisti nati per fare live, bestie da palcoscenico che sembrano nati per esibirsi su un palco. Spesso parliamo di quanto sia importante la dimensione live, ma alcuni artisti sono dell'idea opposta. Iosonouncane è uno dei più famosi smanettoni da studio, preferendo synth e produzioni particolari alla presenza scenica. Davide Burattin non è da meno. È originario di Bolzano, ma dopo un po di girovagare per il globo si è fermato a Osaka, dove passa le notti piegato sul pc per produrre brani sperimentali e nu folk col nome di Dropout.
Il suo nuovo disco si chiama Sulla fine delle cose e dentro c'è tanto di Iosonouncane, dal sound, a uno stile anti-pop, all'atteggiamento da smanettone. Davide però ha fatto un passo in più. Realizza e vende effetti digitali per la produzione. Questa cura del sound però non significa iper produzioni e mille ritocchi plasticosi, anzi, l'obiettivo di Davide è proprio creare suoni perfettamente sporchi e poi tenere la prima take. Lo abbiamo incontrato per farci spiegare un po' di questo mondo nerd della produzione e come fa a uscirne un disco così acustico e vintage.
Quando hai cominciato a suonare?
L'evento scatenante arrivò alle superiori quando mi regalarono una chitarra classica. Da lì, con i primi 3 accordi e una mezza poesia abbozzata su un foglio, scrissi la mia prima canzone senza nemmeno rendermene conto. Il tempo mi ha deviato poi su interessi più elettronici, anche per comodità di produzione. Poi i primi dischi, le collaborazioni, le unioni, gli scioglimenti, l’inizio di uno studio più serio della materia, che mi ha portato ora a realizzare effetti VST personalizzati e renderli disponibili sul mercato (anche questa è un’attività che fa parte delle mie giornate).
Vivo tutto ancora in modo spontaneo, forse un po’ volutamente naif, imperfetto, per mantenere in quello che faccio lo spirito sincero del momento, il tocco umano. In questo disco molte solo le tracce improvvisate "first take" delle quali avrei perso l’anima se le avessi registrate di nuovo. Quindi un mix old-school, niente iper produzione, niente correzioni digitali o autotune. Diciamo che è un disco perlopiù di istantanee Polaroid con qualche intromissione qua e là di foto più patinate, da teatro di posa.
Produci tutto da solo?
Da parecchio tempo ho intrapreso l’impegnativa arte dell’autarchia quasi totale (solo il mastering lo faccio fare in UK). Per questo ultimo lavoro però, forse anche per mitigare quel sottofondo di malinconia e solitudine che permea, ho pensato di coinvolgere il più possibile altri amici artisti. Tutti hanno accettato, non tutti ce l’hanno fatta a finalizzare perché è un’epoca piuttosto piena, ma li sento in ogni modo presenti con lo spirito del contatto che li ha raggiunti.
Nel tempo ho collaborato con diversi musicisti spaziando dal rock, al jazz, alla classica fino al rap old school, nazionali e internazionali. Per qualche anno ho fatto parte di una bellissima etichetta, la svizzera Minuta Records. Un periodo davvero stimolante ma purtroppo irripetibile nella realtà d’oggi. C’est le vie.
Come definiresti la tua musica?
La mia musica è piuttosto intimistica. Nei vari periodi ho spaziato dal folk, all’elettronica downtempo ambient trip hop (in stile Air per intenderci), fino alla musica per cinema, installazioni architettoniche e artistiche, teatro e danza contemporanea. Questo ultimo lavoro Sulla fine delle cose lo definirei elettro-folk, e per la prima volta in parecchi anni, è cantato in italiano. Come per purificarmi da questo mare di beat onnipresente ovunque, ho sentito spesso la necessità di sottrarre alla composizione la presenza della batteria.
Secondo me in generale si tratta di musica da ascolto attento e integrale, il disco lo concepisco infatti, da sempre, come un lavoro unico e organico, che se ascoltato skippando e/o come sottofondo mentre si fa altro, ecco, probabilmente rischia di non attecchire più di tanto. Però sono confidente che possa entrare a far parte del bagaglio emotivo dell’ascoltatore appassionato e curioso. Lo ritengo un lavoro fuori dal tempo, ma in senso positivo intendo. Preferisco 50 persone che l’abbiano ascoltato davvero e che ne conservino un qualsiasi tipo di ricordo, piuttosto che milioni di ascolti casuali. Non mi interessa quel tipo di successo, anzi sarebbe bello che tornasse la possibilità, per chi fa un discorso come il mio, di non essere annichilito dal tritacarne della musica liquida e dei like come unico valore tangibile e quindi realmente apprezzabile.
Lo scorso album Memories from a distant future del 2021 ha venduto un bel po’ di copie fisiche, pure su formato vinile, anche se poi a guardare i miei social pare che solo una manciata di ascoltatori poi si sia ricordata di dare un feedback virtuale o iscriversi. Ecco, a me interessa maggiormente la realtà delle persone, quella in cui magari si portano dietro le canzoni nel proprio lettore e che quando ripescano dalla loro collezione un mio pezzo mi mandano una foto carichi di entusiasmo. La virtualità dell’ascolto in streaming ha senz’altro il suo fascino e la sua ragion d’essere ma non credo aiuti granché a chi segue un proprio percorso artistico persistente. Sarebbe bello che il pubblico si risvegliasse e ricominciasse a riaprirsi con curiosità verso la musica alternativa a questo mainstream preconfezionato e piuttosto totalitario. Confido in un ritorno a un migliore equilibrio tra obiettivo di mercato e obiettivo artistico/culturale.
Cosa ascolti di solito?
Ah, qui diventerebbe una risposta a La biblioteca di Babele di Borges. Mi limito a elencare le probabili influenze che inevitabilmente sono affiorate nel mio disco appena uscito: Battisti (lui è sempre con me), Pink Floyd (pure loro), Battiato, Cave, Cohen, U2, Morricone, la produzione RCA italiana (adoro quel tipo si sonorità), Beatles, Le Orme, Bowie e Joy Division.
Ultimamente i miei ascolti più reiterati sono (e scorro adesso le cartelle caricate di recente nel mio lettore portatile): la musica Enka giapponese anni ‘60-‘70 che deve molto a Morricone ma che ha preso una sua diramazione tutta particolare. Il Volo (quello vero), Carella, Ciampi, PJ Harvey, Roberto Cacciapaglia, Stormy Six, Drutti Column (come ho fatto a dimenticarmene per anni!), Banco, Goat, Stevio Cipriani, Scott Walker, Sisters of Mercy, Linda Perhacs, Quatermass, Cure, Iosonouncane, Daniela Pes, Graziani, Motta, Can, Gino D’Elisio, Giardini di Pietra, Neil Young, i Fiumi, i primi singoli di Madame di 4-5 anni fa, Kendrick Lamar… ma adesso stop sennò, come dicevo, intasiamo l’Internet. Quello che ho scoperto da poco essere lo spirito più affine al mio: Nino Ferrer, quello più cantautorale degli anni ’70.
Com'è nato il nuovo disco?
Compongo e suono in primis per esigenza personale. A seconda dei casi poi decido se è opportuno rilasciare ciò che faccio al pubblico.
Sui contenuti, si tratta di una riflessione, da vari punti di vista, dell’inevitabile fine delle cose. Si parla di quei piccoli o grandi episodi che finiscono per forgiare la nostra esistenza, nel bene e nel male. Quando accadono ci feriscono oltremodo ma che con lo scorrere del tempo diventano fotografie di quella strana malinconia quasi confortante da sfogliare ogni tanto, guardandosi indietro. Il sapore dolceamaro degli amori sfioriti e di quelle estati infinite ormai finite, per fare alcuni esempi.
Avevo scritto un appunto sul disco, mai utilizzato, lo riporto qui:
È stato il giugno 2022 un mese bizzarro di un anno che definirei altrettanto.
Ci ho guardato bene dentro e sono nate di getto queste canzoni.
Delicate, intime e quasi vulnerabili dai colpi di quest'epoca frenetica.
Le affido quindi all'ascoltatore attento.
E se gli va, che condivida.
Riesci a suonare live dei brani così sperimentali?
Vivendo così lontano dall’Italia ho ormai sempre meno occasioni ufficiali di suonare in patria, e poi sono più un animale da studio che un performer. Ogni tanto facevo qualche live voce e chitarra, ma adesso non si usa nemmeno così tanto. Ma ho bei ricordi di situazioni passate che stanno quasi assurgendo allo status di sogno. Per esempio quando ho suonato con Markus Stockhausen e Tiziano Popoli in una situazione davvero particolare e collettiva, con ottimi musicisti sperimentali. O l’ultimo live di rilievo che ho fatto assieme ai miei grandi amici e colleghi Kill Ref e THR che mi hanno coinvolto ad aprire la serata dei Cassius al Brancalone a Roma.
Comunque senza una buona band di supporto risulta difficile portare le mie canzoni così come sono sul disco, e in generale vorrei evitare di ricorrere alla scorciatoia del laptop live, che ormai mal sopporto.
Progetti futuri?
Tantissimi, e non solo riguardo la musica, ma ancora piuttosto nebulosi al momento. Avrei anche un paio di album mai pubblicati forse da recuperare. Vedremo.
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L'articolo Iosonodropout di Redazione è apparso su Rockit.it il 2024-06-28 16:29:00
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