"Jack Uccide" esce dopo circa sette anni dall'ultimo disco ufficiale di Jack The Smoker, un album che segna una nuova tappa nel percorso artistico e personale del fumatore, il primo dopo l'approdo in Machete Empire. Un disco che pone al centro la competizione e il desiderio di autoaffermazione cercando di essere per una volta fautori del proprio destino. È Jack che prova a rimettere al centro dell'attenzione, ancora una volta, un certo tipo di rap, quello fatto per il gusto di spaccare, quello pieno di incastri e punchline, quel rap tanto caro al compianto Sean Price che in alcune piazze d'Italia sono soliti chiamare rapcazzoduro. L'attitudine è quella di sempre come è identica la volontà di confrontarsi con sonorità diverse e nuove per non adagiarsi troppo su territori già esplorati. Con lui abbiamo parlato del disco ma anche tirato qualche somma per capire l'evoluzione di un artista che dai tempi de "L'alba" ad oggi ha già alle spalle tredici anni di carriera da professionista.
L'album si intitola "Jack uccide" ma già dalla seconda traccia si parla di una tua ipotetica sepoltura: uccidi ma vieni ucciso anche tu. Qual è la chiave di lettura di questi due diversi punti di vista?
Il mio modo di fare musica è poco costruttivo, non voglio promuovere dei valori o fare l'aizzatore di folle, non voglio fare l'educatore di nessuno. Nella mia musica conservo sempre uno spirito nichilista che va anche a discapito di un certo tipo di comunicatività estesa, con l'inconveniente di rinunciare ad un pubblico più vasto, ma sono un anti demagogo per eccellenza e poco portato al messaggio facile. Mi piace nascondere dei messaggi nelle singole rime e soprattutto mi piace quello spirito del rap fatto per il gusto di spaccare. Concentrarmi sulle punchline è fondamentale perché sono cresciuto con questo imprinting artistico, in anni in cui il rap non andava nelle grosse radio e non era così presente nell'immaginario collettivo. Ecco perché ora sono un po' diviso fra questi due mondi, da una parte l'esigenza di modernità e di comunicazione e dall'altra la necessità di fare il rap solo per il gusto di farlo. Pezzi come "Burial" ad esempio sono un puro esercizio stilistico dove il tema della morte è di contorno, alla fine scrivo di questo lascito artistico ma senza la volontà di comunicare un messaggio edificante per l'umanità: il tema della morte stessa è usato come metafora di nichilismo artistico.
Non vuoi fare l'educatore ma fuori dal rap insegni scrittura creativa ai ragazzi?
Sì, mi piace dare la possibilità alle persone di capire che il rap può essere qualcosa che davvero ti salva dal punto di vista sociale e psicologico, perché come me che sono cresciuta in provincia a Milano, in un contesto lontano dal centro città e dove era facile cadere in situazioni sgradevoli, il rap è stato motivo di salvezza e di autodifinizione psicologica e personale. Questo mi piace comunicarlo al di là del personaggio di Jack The Smoker anche se poi davanti ai ragazzini mi presento come tale e vengo legittimato ai loro occhi proprio come Jack The Smoker, forse se mi presentassi come il professor Giacomo Romano avrei meno credibilità. Sono comunque laureato in psicologia il che mi consente di avere allo stesso tempo un'attendibilità con le istituzioni con cui mi interfaccio.
Dove insegni principalmente?
Nei Centri di Aggregazione Giovanile o nelle scuole, ma soprattutto sono gli educatori che mi chiamano e che lavorano nei vari C.A.G. o nei laboratori promossi dalle più svariate realtà e mi danno l'occasione di fare le mie lezioni. Mi è capitato anche di farne durante dei laboratori con l'EXPO per dirti. Alla fine si è creato un bel passaparola e quando qualcuno vuole un po' di rap fatto da persone che hanno esperienza nell'ambito allora mi chiamano. È una cosa che mi dà molte soddisfazioni, non devo salvare il mondo e lo ripeterò all'infinito ma in un microcontesto del genere è bello dare un proprio contributo che va al di là dell'aspetto artistico e della popolarità e allo stesso tempo è un'esperienza che può fare da apripista ad altre persone.
Alla fine questo è Hip Hop, è fare comunità?
Sì, alla fine oggi la gente ha quasi paura e vergogna di dire una cosa come l'hai detta tu ma è così, sembra che si abbia il rigetto di dire Hip Hop, cultura o robe del genere, è ovvio che non vai a fare la lezione a nessuno e non c'è più quel modo di pensare degli anni '90 in cui se non sapevi chi era Krs-One eri un figlio di puttana e dovevi morire (ride) però è bello trasmettere qualcosa di aggregativo e non pedante.
Torniamo al disco, che importanza ha al suo interno il concetto di competizione?
Io ho un imprinting da freestyler molto forte e il concetto di spaccare e dimostrare che sono più forte di te me lo porterò dietro fino alla mia tomba artistica. Anche quando faccio un pezzo pieno di significato la capacità di fare incastri e la tecnica deve sempre risaltare. "Jack uccide" non è un disco fine a se stesso però quell'aspetto competitivo in cui ti mostro quanto sono bravo a cercare l'incastro e quanto spacco sopra il beat è presente in tutte le tracce. E penso che se tu risulti credibile a tutti i livelli la gente pian piano riuscirà a capire che questo aspetto del rap è fondamentale. Ci sono degli mc's in Italia che stanno dando importanza a questo lato della scrittura anche se non ha ancora quell'attenzione che merita e non viene visto come un elemento primario, mentre io ad esempio lo metto sempre in primo piano.
Se tu senti Gué lo sai che sta spaccando e che tecnicamente è un mostro, e anche se direttamente la gente non se ne accorge sta assimilando l'importanza del saper rappare bene. Marracash fa 5 milioni di visualizzazioni con un suo pezzo però nel frattempo sta facendo degli incastri e anche solo implicitamente questo rimane all'ascoltatore perché diventa un metro di paragone.
Ti sei messo in gioco un'altra volta con sonorità nuove e diverse dai lavori precedenti...
Sì, per questo disco ho scelto scientemente di fare robe minimali da un punto di vista musicale perché era proprio l'impronta che volevo dare all'intero lavoro. Confrontarmi sempre con sonorità nuove è una cosa a cui tengo molto, seppur la mia discografia sia esigua ho 13 anni di carriera e mi piace mettermi in gioco con i suoni più freschi, senza ovviamente venire meno alla qualità artistica. Molta gente ad esempio ha criticato il fatto che ho usato delle basi trap ma non vedo perché debba usare sempre le stesse basi in cui so già di essere capace e non darmi da fare con suoni diversi, dimostrando di essere altrettanto abile nello scrivere con questo tipo di suoni. Poi vorrei metterlo in chiaro, non ho usato l'autotune, ho semplicemente intonato qualcosa (ride): purtroppo capita che qualche ascoltatore sia abituato a ragionare per compartimenti stagni e non sia capace di filtrare l'ascolto in maniera critica, capendo le differenze tra una cosa e un'altra. Dopotutto se ascolti "L'alba", se ascolti "V.Ita", i mixtape, l'ep e quest'ultimo disco si capisce che c'è sempre un'evoluzione nelle produzioni, un cambiamento costante.
Cambiamento che si riflette anche nella vita di tutti i giorni?
Sì, ho deciso di diventare più individualista nei miei testi concentrandomi più su me stesso che su tematiche di rilevanza sociale e questo in realtà è proprio il risultato di un percorso di crescita personale. Ne "L'Alba" c'era l'illusione adolescenziale di spaccare il mondo e di costruire qualcosa, in "V.Ita" c'era la disillusione completa di questa visione, in questo disco c'è invece la voglia di autoaffermazione che alla fine è parte di un processo di crescita, spesso comune, in cui una persona arrivata oltre i trent'anni si ferma e dice ok, non posso cambiare il mondo né il mondo può cambiare troppo me stesso ma se comunque ho la forza di fare il mio, compatibilmente con quello che la società offre, posso essere l'artefice in parte del mio destino. Questo vale però per me che sono della classe media, non può valere per tutti, non puoi dire ad uno che vive per strada se ci credi davvero ci riuscirai, sarebbe una cosa stupidotta, è un discorso valido per me che vivo in una condizione in cui la mia produttività incide sul mio stile di vita e sui risultati che ottengo.
Come è nata la collaborazione con Moses Sangare?
Il ritornello l'ho scritto io, sia melodia che parole, alla fine però non lo sentivo nelle mie corde. Il beat è di Shablo e a lui ho mandato il provino del cantato per cercare una soluzione su come gestire il ritornello. È venuto fuori il nome di Moses che non conoscevo prima di allora: lui ha una voce super pulita, melodica e non banale e siamo riusciti a trovare la soluzione perfetta per il pezzo, facendo un ritornello comunque melodico ma non strappalacrime all'italiana.
Era la prima volta che scrivevi melodia e parole per un ritornello?
In realtà avevo già fatto qualche lavoro di scrittura per altri cantanti ma non è andata mai in porto, però è una cosa che mi piace e mi interessa fare e che potrebbe essere qualcosa di bello da approfondire in futuro. Mi intriga l'idea di scrivere cose in cui non parli direttamente di te ma che ti interessa provare da un punto di vista teatrale, esterno ai fatti, e dopotutto è piuttosto improbabile che possa ancora scrivere testi da frontman fra 30 anni (ride).
Fai più fatica a scrivere pezzi come "Burial" pieni di punchiline ed incastri o brani come "5 Momenti Top" o "Estate albina", più introspettivi e intimi?
Un pezzo come "5 momenti top" riesco a scriverlo più facilmente in realtà, perché ho già una trama in testa, ho già i concetti ben chiari e pensare a delle rime per descrivere quei concetti è senza dubbio più facile. Scrivere il pezzo pieno di incastri è invece più complicato e ci vuole più tempo dal momento che non è semplice collegare le varie parti e trovare le parole giuste dando un senso al tutto, devo dire che però a me piace la geometria e la rima è bella perché ti dà la possibilità di rendere tutto paranoicamente regolare.
Vedi qualche tuo erede nel rap italiano da un punto di vista della tecnica e della scrittura?
In questo momento quello che faccio non è a vocazione maggioratoria, magari oggi chi approccia al rap cerca di emulare modelli che fanno i numeri, modelli di successo, a differenza di quando ero piccolo io in cui tutto quello che volevo era solo spaccare come Bassi Maestro perché era il migliore. A Milano abbiamo fatto un po' di scuola da un certo punto di vista, io, Bat, Kuno, Mondo Marcio, e senza dubbio qualcosa abbiamo lasciato alle generazioni successive, se però dovessi indicarti qualcuno che abbia questa dedizione alla tecnica sinceramente ancora non lo vedo. E non lo dico perché il mio livello è inarrivabile ma proprio perché non vedo persone che fanno di questo concetto il perno del loro sviluppo artistico. Forse gente come Nerone, Rella hanno preso questa direzione. Personalmente questo è il rap che preferisco però mi piacciono anche delle cose molto semplici, mi piace molto Ghali ad esempio che è una roba semplicissima, funziona e suona bene. L'incastro non è quindi sempre sinonimo di garanzia anche perché negli anni passati molti si ostinavano a voler incastrare a tutti i costi cinquanta rime. Alla fine a me piace il rap, quindi ascolto di tutto, faccio sempre l'esempio di quelli che sono due tra i rapper americani che ascolto di più, French Montana e Roc Marciano, che sono agli antipodi per modo di fare rap, uno ha trovato una formula semplice per suonare bene e l'altro ti infila 50 rime a battuta, che è difficile da metabolizzare ma anche solo sentire quelle sillabe tutte uguali mi fa sognare tantissimo.
Che importanza ha oggi in Italia lavorare con un realtà come Machete?
Io credo di essere un caso esemplare dell'importanza di Machete. Faccio questa roba da sempre, il mio stile è quello, adeguato ai tempi ovviamente, e apprezzo Machete proprio perché mi ha preso per fare questo e non ha guardato i miei numeri su YouTube né si è raccomandato che cambiassi registro per vendere 20.000 copie e fare un milione di visualizzazioni, e questo ti fa capire come loro lavorino più sul progetto che sul numero e per una realtà vincente non è assolutamente un dato scontato, non esiste da nessun'altra parte. Detto questo Machete mi dà la capacità di far girare i miei prodotti al massimo e mi permette di curare al meglio tutto ciò che ruota intorno alla mia musica, come video, immagine, promozione, componenti che oggi sono troppo importanti per essere messi in disparte, ma questo è evidente. In più ora sto avendo la possiblità di aprire i concerti di Salmo dove ti ritrovi con 1300 persone davanti e magari tra quelle persone ce ne saranno molte che non conoscono affatto il mio lavoro ma saranno curiosi di cercare quello che faccio e che ho fatto in passato, una bella vetrina insomma.
Hai qualche esperienza o consapevolezza che avresti voluto avere durante il periodo de "L'alba"? E cosa ti manca invece di quegli anni?
Del periodo de "L'alba" rimpiango di non aver avuto la lungimiranza di capire come stavano andando allora le cose nel rap italiano e di aver avuto poca voglia di guardare il mercato fregandomene un po' troppo, anche perché a quell'età non me ne fregava niente di nulla, avevo solo voglia di fare il rap e di togliermi dei sassolini dalle scarpe. Quello magari è stato un errore perché poi ci ho messo più anni per raggiungere dei risultati più grossi che avrei potutto raggiungere da subito, però va bene così perché in quel momento non sentivo quell'esigenza e non mi pesava la cosa. Di contro oggi mi manca la spensieratezza di quel periodo (ride), però è normale, a 18 anni ti interessa solo parlare di te e cercare di cambiare il mondo e hai quelle aspettative giovanili che chiaramente andando avanti con gli anni si ridimensionano.
"Qua la gara è a chi ha più fotta", scrivevi in "Solo un altro dissin'":, oggi secondo te qual è la gara nel rap italiano?
Aspetta, fammi trovare una risposta democristiana, lo sappiamo tutti qual è la gara oggi (ride). Adesso i numeri contano tantissimo, quindi bisogna fare numeri. La gara attuale è quella di accapararsi una fetta più grande a livello di pubblico. Penso però che l'immagine che sta creando la Machete o i risultati di Salmo e di altri artisti abbiano sottolineato che la gara oggi è cercare di durare il più possibile e porre le basi per qualcosa di più duraturo. Magari ora gente che è al top e non sta ragionando in maniera lungimirante da un punto di vista artistico fra due o tre anni non ci sarà più.
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L'articolo Jack The Smoker - Artefice del mio destino di Stefano Pistore è apparso su Rockit.it il 2016-04-15 14:29:00
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