I genovesi Japanese Gum sono attivi dal 2005, e dal 2011 in formazione a tre: Paolo Tortora, Davide Cedolin e Giulio Fonseca. È musica psych-pop di stratificazioni vocali e scenari elettronici ipnagogici: “High Dreams”, loro secondo album, è un quadro sonoro sorridente, uscito allo scoperto nella decade della scena occulta italiana. I Japanese Gum sono un gruppo che nelle architetture vocali incontrano la sensibilità pop, sulla scia della scuola statunitense Animal Collective in fase “Domino”, e cercano nell’autoproduzione il mito dell’indipendenza creativa. L’altra faccia della musica italiana anni 10.
Siete in giro dal 2005, secondo voi in "High Dreams" in che parte si ascoltano i Japanese Gum cresciuti di otto anni?
Davide: Essendo parte del gruppo posso dirti che sento tutto molto naturale, nei Japanese Gum di oggi ci sono quelli di otto anni fa, come in un certo senso in quelli di otto anni fa c'eravamo già noi. Siamo cresciuti, cambiati, invecchiati, rinnovati, ma la nostra attitudine resta la stessa, ci interessano le stesse cose a livello espressivo. La forma magari cambia. Per noi evolversi è alla base di tutto.
Paolo: In otto anni è cambiato tanto. “High Dreams” è il secondo disco, ma nel mezzo ci sono stati EP che ci hanno aiutato a sperimentare ed evolvere dal punto di vista sonoro e che hanno marcato la via di quello che sarebbe poi stato il nuovo disco. Se dovessi dirti, a livello macroscopico, quel che sento maggiormente cambiato è il modello compositivo della canzone stessa. Ad esempio, prima le canzoni venivano create a partire quasi sempre dalla sezione ritmica, mentre in questo disco l’attenzione si è spostata maggiormente sui synth.
Appena ho ascoltato "High Dreams", a me è venuto subito alla mente un altro disco, che mi piacque molto al tempo, magari ora vi arrabbierete, ma di "Merriweather Post Pavillion" e Panda Bear sentite l'influenza? Ovviamente sotto il punto di vista della percussività nulla a che fare con la vostra musica.
Davide: Stimiamo molto gli Animal Collective, principalmente per altri lavori però (“Campfire Songs”, “Feels”, “Sung Tongs”). Panda Bear essendo una costola importante degli AC, è un artista del quale seguiamo il percorso dall'inizio. Sono proprio le parti ritmiche che ci affascinano di più, perché hanno dinamiche varie, mai omologate ad un genere, semplici ma originali. Se si parla di influenze relative a "High Dreams" però è diverso; se dovessi fare qualche nome come riferimento al disco, sia a livello di suono finale, sia di ascolti nel making of, direi Grizzly Bear indubbiamente per come ci siamo posti nei confronti delle registrazioni voci, Flaming Lips per la necessità di eterogenia e di sviluppo del disco nel suo insieme, tanta ma tanta musica giamaicana (abbiamo lavorato parecchio con attrezzature ed effetti analogici tipici del dub); a livello di elettronica più che gli Animal Collective direi i primi Tangerine Dream e i Silver Apples. Di contemporaneo, per quanto riguarda la commistione sonora tra elettronica e non, i Gang Gang Dance credo siano ad ora la miglior band al mondo, sono capaci di fare una cosa che nessun altro potrebbe riprodurre, specialmente dal vivo. Evito sempre di parlare della nostra musica in questi termini in generale, mi rimane difficile… come si dice… la bellezza è negli occhi di chi guarda.
C'è un'idea, una suggestione, che vi ha guidato durante la composizione di “High dreams”?
Davide: Un insieme di esigenze. Quella espressiva per poter cristallizzare un istante, quella compositiva per poter sviluppare canzoni con strumenti diversi da prima, quella fisica di poter suonare dal vivo in un certo modo. Esigenze che abbiamo soddisfatto o che stiamo soddisfacendo. Il prossimo disco sarà nuovamente diverso in questo senso, non siamo gelosi difensori di status quo o di scene particolari. Difendiamo unicamente le nostre pulsioni, e cerchiamo di liberarle nei canali che meglio ci aiutino ad esprimerle.
Paolo: Prima di iniziare a comporre qualcosa di strutturato come un disco, c’è sempre dietro un’idea di come dovrebbe suonare. Senza questi binari, si rischierebbe di ottenere canzoni troppo scollegate fra loro. A livello più pratico, durante la registrazione, abbiamo cercato di avere progetti con meno tracce audio.
Quanto avete lavorato su "High Dreams" e quel che ne è uscito era nei vostri piani? In sala di registrazione avevate idee chiare o solo spunti? Nei lavori precedenti dove c'è il germe di questo disco? Cosa secondo voi preannunciava gli attuali sviluppi sonori?
Davide: I pezzi più vecchi di "High Dreams" risalgono all'autunno del 2009, in concomitanza dell'uscita del nostro disco precedente. Di lì in avanti abbiamo registrato demo per almeno un totale di 14-15 brani, e verso la metà del 2011 abbiamo iniziato a lavorare all'architettura dell'album in base ai sei pezzi selezionati. Solo tre sono del 2012, e li abbiamo fatti "su misura" per creare la giusta equilibratura tra i vari momenti. Da quando abbiamo iniziato a suonare insieme ad oggi, abbiamo imparato una grande lezione: il controllo delle cose, la maniacalità della programmazione, lo studio al millimetro dei suoni e dei pezzi, per come siamo fatti e per come ci risulta più semplice e produttivo lavorare, non serve. Abbiamo una sorta di autodisciplina nel fare, ma raramente abbiamo tratto giovamento dalla pianificazione di un pezzo in sé. Solitamente lavoriamo a diverse versioni e poi decidiamo su quale puntare. Il germe di questo disco quindi direi che lo trovi nell'attitudine, nell'essere curiosi, nella coesione ma anche nell'eterogenia.
Paolo: L’album è stato fatto a più riprese. Siamo stati estremamente lenti nel produrlo a causa di tanti cambiamenti che hanno caratterizzato questi anni, sia per me che per Davide. Quindi questo è il rimpianto maggiore, averlo fatto uscire in ritardo rispetto a quello a cui avevamo pensato. Sicuramente il prossimo avrà tempi decisamente più brevi, anche a discapito della produzione. Per quanto riguarda lo studio di registrazione, ci sono canzoni che abbiamo portato praticamente solo da migliorare, come “Fine Again”, “Homesick” ed altre che non convincevano che abbiamo letteralmente rivoltato come un calzino. Come ti spiegavo nella prima risposta, la chiave di lettura risiede negli EP. E’ li che sono nate le idee di suono e le tecniche per produrli che poi abbiamo utilizzato inseguito durante le registrazioni. “End of Summer” è il primo tentativo di allontanamento dal primo disco. Le prima due canzoni sarebbero dovute essere contenute nel primo disco. Ma abbiamo deciso di rimaneggiarle per iniziare a dare una virata stilistica. L’ultima, invece, è quella con cui concretamente abbiamo cercato di staccarci da un certo tipo di cliché che ci stavamo creando. In “Mantra”, il pezzo “Places” è l’anello di congiunzione su cui stavi indagando.
Ho sempre sentito molti accostarvi allo shoegaze, voi stessi in una intervista citavate: "My Bloody Valentine, con i quali condividiamo una certa idea di suono, The Jesus & Mary Chain a livello rock", insomma i capostipiti del genere e i precursori: credete di aver perso questa componente nell'ultimo disco? Io direi di sì, sento più glitch-pop, più hypnagogia, meno rock e più elettronica. Mi sbaglio?
Davide: Ho tatuato "Loveless" addosso, credo possa già in qualche modo anticiparti la risposta.. L'idea di suono stratificato nel senso più formale forse può essere un po' sfumata per questioni tecniche di strumentazione che usiamo live; non abbiamo più un batterista, e certe scelte come mixato non avrebbero reso e dal vivo sarebbe stato un problema. Il wall of sound inteso in senso purista shoegazer non c'è quasi mai nell'album perché comunque i pezzi non suonano più con batteria vera completa, ma solo con elettronica e percussioni, e anche quindi meno chitarroni. Direi quindi che resta la passione per lo sviluppo di tessiture dense, una certa attenzione sull'equalizzazione, creare i vuoti e i pieni, dare alla voce la valenza e l'utilità formale che hanno gli altri strumenti. Avevo letto che anche Dalek citava nelle sue influenze i My Bloody Valentine, e nonostante lui faccia praticamente hip-hop anche se con i dovuti svarioni, credo di comprendere e condividere il suo pensiero. Sul fatto che il disco sia più elettronico ti do ragione al 100%. Anche in questo caso non è stata una scelta fatta a tavolino, piuttosto in fase di arrangiamento. Shoegaze, se ci pensiamo, è unicamente una label da appiccicare ad un certo tipo di band di un certo periodo storico; già nella seconda metà degli anni '90/inizio 2000, il concetto di shoegaze era cambiato con la Morr Music per esempio. Quando abbiamo pensato a come suonare live le canzoni, ci è risultato naturale approcciarci al disco in modo più elettronico.
Vi sentite in linea con le sonorità della chill-wave, dell'hypnagogic-pop (che sembra avere già perso la sua notorietà, dopo la grande mareggiata di due e qualcosa anni ..)?
Davide: La chillwave è una corrente particolare, nel senso che vale un po' tutto e niente… Se pensi a Toro Y Moi e i Purity Ring hanno pochi punti in comune nonostante si possano più o meno accomunare come macro-genere. Credo che nella sua accezione storica sia oramai morta e sepolta da almeno cinque anni, ha avuto un vivissimo ciclo produttivo e creativo fino al 2009/2010, un botto che ha portato in primo piano artisti interessantissimi e che in un certo senso ha influenzato un certo modo di fare musica. Penso ad Ableton Live, ai controller midi, etc. In questo senso potremmo considerarci in linea: quando suoniamo come trio con Giulio a.k.a. Go Dugong, lui si occupa proprio di questo aspetto, suona i campioni e fa partire le sequenze, edita ed effetta i loop live con Ableton. Ad essere sincero però, non ho mai sentito i Japanese Gum come parte integrante della chillwave anche se amiamo artisti e amici come Go Dugong appunto, Sun Glitters, Slow Magic, Life & Limb, Welcome Back Sailors (che reputo i padri fondatori della chillwave italiana in un certo senso) e tanti altri.
Essendovi formati da ormai così tanto, tipica domanda seriosa per il gruppo veterano: parlatemi della scena italiana dal punto di vista dei Japanese Gum e non parlo strettamente della musica, parlo del retroscena .. Ho letto delle vostre sortite in campo estero, quindi il festival SXSW, Repubblica Ceca, Polonia. Qual è la differenza con l'Italia?
Davide: E' strano. Rifletto giusto in questo momento sul fatto che tra non molto compiremo dieci anni di attività. Alla fine credo che la gavetta o quello che è comunque il percorso di maturazione per una band non dovrebbe mai finire. O meglio, una band dovrebbe continuare a suonare fino a quando ha qualcosa da maturare, un'idea, un suono, un percorso. Alla fine di ciò è giusto fare dell'altro, scoprire nuovi suoni, nuovi strumenti, suonare con altre persone cose diverse, suonare con le stesse persone cose diverse, sviluppare qualcosa. Essere in un gruppo vuol dire sviluppare qualcosa insieme, in condivisione. Credo che in Italia ci siano molte realtà interessanti, ma anche molte inutili. Forse mi si potrà additare come snob o altre robe del genere, ma come riconosco che in Italia ci siano artisti che nulla hanno da invidiare agli stranieri, ritengo anche che nel nostro paese, il problema dei "mammoni" sia visibile anche in ambito musicale indipendente. E' raro che qualcuno di spontanea iniziativa decida di distaccarsi dalla realtà italiana, credo che questo sia il più grande problema. In molti pensano che suonare all'estero sia una roba pazzesca, impossibile. Molti nemmeno la ipotizzano come idea. Questa è la cosa peggiore. Fare esperienza, mettersi in gioco sempre, lasciar perdere i fortini conquistati nel proprio ambiente, salire in auto o in aereo e imparare che c'è dell'altro in giro, capita anche di perdersi nei campi di grano in Polonia, farsi respingere alla dogana croata, ma si cresce. Ed è per questo che certe cose che qua diventano hype, per quanto magari figate, fuori funzionano meno, perché sono cose già successe, accadute. Essere attivi musicalmente significa anche esserlo a livello di (in)formazione. Badare al proprio orto è indubbiamente rassicurante, ma ti priva di vivere in una realtà più ampia e di capirla. Il SXSW è un'esperienza che anche solo come pubblico andrebbe fatta almeno una volta nella vita. Ti fa capire di quanto tutto vada veloce e di quanto stare dietro alle tendenze serva a ben poco. I nostri concerti sono stati molto buoni, abbiamo conosciuto e suonato insieme a gente interessante, ma capisci da subito che se alla stessa ora del tuo live ci sono altri 20 concerti nel raggio di tre isolati, con gente sconosciuta ma anche con i Jesus & Mary Chain per esempio, quello che devi fare è spaccare tutto, sia che ci siano tre persone, sia che ce ne siano mille. Perché l'importante è ricordarsi che tu stai suonando perché è ciò che ami, e quando ami una cosa devi dargli tutto. Suonare all'estero è bellissimo, se ti piace viaggiare ancora di più. Impari un sacco di cose, scopri realtà che non sospettavi, conosci persone diverse da te che però hanno la stessa attitudine. Confronti non mi va di farli perché ogni posto ha le sue peculiarità positive e negative, vi tedierei con chilometri di parole.
Ora invece dal punto di vista musicale: vi sentite underground? E se sì, parlatemi della vostra concezione di underground e se esiste una sotto-scena psych italiana, di cui vi sentite parte integrante, con cui condividete linguaggio e intenti, magari, o anche solo estetica.
Davide: Ci sentiamo underground nel senso che siamo un gruppo indipendente, che spesso autoproduce le uscite. Questa è la condizione oggettiva. Sicuramente per noi la dimensione underground è quella più congeniale perché ci permette di lavorare alla musica nel modo a noi più naturale. Abbiamo fatto di necessità virtù. I generi musicali nascono, si modificano, muoiono, risorgono proprio come la moda di abbigliamento. A me è sempre interessato essere informato su quello che succede, mi piace condividere delle passioni e la mia visione musicale, che però va avanti abbastanza trasversale rispetto ai generi.
Paolo: Underground è quel luogo dove non arriva la luce dell’interesse musicale collettivo e dove quindi portare avanti le proprie idee musicali è più difficile. Noi lo facciamo autoproducendo i nostri dischi. Però non cambierei mai questo luogo, in cui posso esprimermi come ritengo più opportuno, per un altro dove venire a patti con la produzione in cambio di essere radiofonici. Quindi, in questo senso mi sento underground. Mi sembra un po’ limitativo recludere la scena psichedelica in sotto-luoghi come quello italiano visto che dischi di questo genere continuano ad arrivare da ogni angolo del mondo.
”How to sleep well” (di chi è la voce femminile?) e “Waterwalls” sono i pezzi che preferisco tra i nuovi, più sperimentali da un certo punto di vista, più sporchi e più crudi in partenza, davvero ottime vibrazioni: come sono nati? Perché li avete relegati a fine disco, è una specie di commiato?
Davide: La voce femminile in "How To Sleep Well" è della mia compagna Lisa. Ha una voce molto bella ma è anche molto timida.. dopo anni di fatiche sono riuscito a strapparle una parte per questa canzone. E' in ordine cronologico l'ultimo pezzo scritto per il disco, indubbiamente la composizione più diretta, in quanto ha avuto una lavorazione più rapida. Tutto gira intorno a dei loop sui quali si stende il resto. "Waterwalls" è invece una delle più vecchie, e ha avuto un processo totalmente diverso. Si parte sempre da loop però qui la struttura è molto più free-form. Il posizionamento all'interno della tracklist è la conseguenza della sostanza delle canzoni. Il disco aveva bisogno di avere una circolarità, con all'interno una sorta di break ("Hi Dreams") verso la metà, ma che si concludesse in modo coeso a come inizia. Sono pezzi importanti e dopo varie prove di tracklist hanno trovato posto nello spazio dove erano necessarie. Se guardi un film è tanto importante l'inizio quanto la fine, anzi, in certi casi è più importante la fine. Ma tutto non avrebbe senso senza la trama. Noi abbiamo dato una trama consapevoli di voler ottenere una certa sequenza di emozioni e attenzioni, ogni persona che ascolta il disco ci può ovviamente trovare spiegazioni o suggestioni personali, noi anche, ed è per questo che abbiamo scelto questo ordine di brani.
Paolo: Quando abbiamo scelto la tracklist del disco, si partiva del presupposto che per fare una scelta simile, tutti i pezzi ci soddisfacevano allo stesso livello. Il lavoro era disporli in base alle dinamiche, in modo da farli suonare insieme in quello che volevamo fosse un divenire, non solo un cambio traccia. A me piaceva particolarmente l’idea di far iniziare e finire il disco con una canzone guidata da arpeggiator come una sorta di ciclicità. Un loop di canzoni.
Avete una sensibilità pop? Pop sperimentale, senza dubbio, ma è una vostra direttiva?
Davide: Se per sensibilità pop intendi qualcosa che possa richiamare alla forma canzone sicuramente sì. Al momento questo genere di caratteristiche ci interessa perché abbiamo voluto provare a sfondare certe barricate che in passato avevamo noi stessi eretto, in futuro non so.. O meglio, abbiamo qualche idea, ma per il momento a livello embrionale.
Paolo: Lo penso anch’io. A volte ho paura a dire che mi sento pop. Non abbiamo come direttiva l’utilizzo delle melodie. Strutture come ritornelli e strofe non sono proprio per noi. Non ci hanno mai riguardato a parte laddove si sono creati spontaneamente. Semplicemente credo che sia un lato che difficilmente potremmo scindere dalla nostra musica. Comunque potrebbe tranquillamente essere qualcosa che cade al centro della nostra attenzione in un’uscita futura.
Come nascono le vostre architetture vocali? Prima o dopo il pezzo? È una cosa che mi sono sempre chiesto in rapporto alla musica di queste coordinate...
Davide: Le voci nascono quando e dove ne sentiamo il bisogno. Le trattiamo a livello di importanza come tutti gli altri strumenti che utilizziamo. Solitamente dopo aver registrato qualche beat, in situazioni quasi minimali, provo a creare crescendo con armonizzazioni tramite loop in tempo reale, e su quelle provo a cantarci. Non è un metodo molto scientifico…
E ora che si fa? "High Dreams" dove vi porta? Japanese Gum ancora in crescita per il prossimo o cosa?
Davide: Su dove ci possa portare "High Dreams" vedremo. Nei prossimi mesi ci sono concerti e tour in programma, uscite di singoli/video e registrare qualcosa di nuovo. Il prossimo disco sarà diverso da questo, è l'unica certezza che abbiamo e che possiamo darti per conferma.
Paolo: Ora sicuramente vorremmo suonare dal vivo quanto più possiamo, visto che entrambi lavoriamo, e stiamo pensando a quello che sarà il prossimo album. A breve inizieremo a tirare giù le prime idee.
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L'articolo Japanese Gum - Tutto va veloce e non serve stare dietro alle tendenze di Ex User63267 è apparso su Rockit.it il 2014-02-12 00:00:00
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