I Jennifer Gentle sono forse una delle più bizzarre e incredibili rock band italiane di sempre, di un talento straordinario.
Sono il gruppo che più di ogni altro è riuscito a portare la bandiera dell'indie italiano all'estero; non a caso sono stati la prima band tricolore ad essere messa sotto contratto dalla leggendaria etichetta americana Sub Pop, che non fu cosa da poco. Quest'anno festeggiano vent'anni tondi di carriera, dal lontano '99 nel padovano alla pubblicazione del loro utlimo disco, dal titolo: Jennifer Gentle, un tripudio di musica allo stato puro.
Qualche tempo fa è passato Marco Fasolo in redazione, non solo per suonarci live dal divanetto What in the World ma anche per raccontarci la storia dietro questo ultimo grande progetto, che è un viaggio prima di tutto con se stessi e poi con la musica. Pubblicarlo è stata una liberazione che lo porterà presto a fare quello che gli mancava più di tutte: suonare su un palco.
Questo disco è stato un parto nella sua realizzazione, come stai vivendo questo momento? Mi accennavi a una gran voglia di tornare sul palco
Io sapevo che lo avrei finito, quando si tratta di dischi non lascio mai i lavori a metà. Alla fin fine ho lavorato a questo progetto per tre anni, quindi ho avuto dei momenti in cui mi sono chiesto quando sarebbe arrivata la fine. Lavorando con macchine d’epoca, nastro, problemi tecnici, cose da riparare ho avuto delle lungaggini non indifferenti, considerando anche il fatto che a livello tecnico ero piuttosto solo. Ho imparato da solo a riparare le cose, e andare avanti con la lavorazione, sembra una stupidaggine ma in realtà è stato fondamentale, ho fatto di necessità virtù. Nel momento in cui sono riuscito effettivamente a finirlo è stata un’epifania per me. Già dall’inizio dell’anno con I Hate My Village avevo inziato di nuovo a suonare in giro, ed era proprio quello che volevo, stare sul palco. Ora che sono in giro con i Jennifer chiaramente è tutto ancora più bello, perché le canzoni stanno esistendo davvero, su un palco, davanti ad un pubblico, nei locali. Bello.
Nella recensione che ha scritto un nostro redattore per il disco Jennifer Gentle, ho letto questa frase che credo descriva perfettamente questo album: “se vi foste mai domandati se possono convivere Piero Piccioni, i Flaming Lips di qualche tempo fa, l'anima di Syd Barrett, i Suicide, i Beatles sotto trip, i Queen dell'era pre-baffi, il rock'n'roll dei '50s, il funky bianco omaggiato da Beck in "Sexx Laws", le suite prog, il David Bowie di "Hunky Dory", gli Stones più tossici, Mark Bolan e i New York Dolls più un'altra caterva di band oscure da "storia della musica di un certo tipo", allora dovete comprare questo disco a scatola chiusa”; concordi?
Bellissima questa recensione di Simone, mi ricordo di averla letta, è vero! Ho sempre inteso questo disco come un viaggio, era un po’ che non pubblicavo qualcosa di nuovo quindi ho proprio voluto intraprendere un percorso. Volevo sia approfondire tutte le cose che potevo, misurandomi con me stesso, sia fare un viaggio che parlasse il linguaggio della musica, e la musica che amo è quella che viene citata anche nella recensione. Quando nasci ascoltando quelle cose, ti sviluppi come musicista con quei riferimenti, ed entrano nel tuo sangue, nel tuo cervello, nel tuo intestino e si mischiano, entrando a far parte del tuo immaginario. Diventano parte di te, del tuo linguaggio, del tuo pensato. Non ho a monte scelto un disco che si muovesse all’interno di quei riferimenti, però inevitabilmente se il tuo linguaggio è figlio di quelle cose lì alla fine si sente. Non è un concept album, ma di sicuro c’è un concetto che lo guida, ed è quello del viaggio.
Tre anni, un viaggio con se stessi e la musica: è per questo che ci sono dentro 17 brani ?
Erano 34 tracce in realtà e per un breve momento ho pensato anche di farlo uscire come doppio disco, però diventava una vera e proprio enciclopedia. Alcuni dei brani che sono rimasti fuori erano di una complessità assurda. Ho scelto quelle tracce che alla fine (insieme) raccontavano una storia compiuta. Non c’è un vero messaggio dietro, semmai una voglia di spaziare con la fantasia.
E’ un disco che va contro ogni tipo di canone imposto dal mercato musicale attuale ed è il motivo che lo rende ancora più bello. Hai evitato le logiche?
Il progetto Jennifer Gentle è nato (e quindi finché esisterà sarà così) con il presupposto di seguire una visione, in questo caso la mia, al di là di tutto e di tutti. Questo non vuol dire fare musica solo per me, anzi, sopratutto con questo disco ho voluto creare qualcosa che volesse essere ascoltato, non voglio mai creare un muro con l’ascoltatore, voglio semmai farlo entrare in un mondo. L’approccio alla musica è sempre lo stesso, quello che cambia è il lavoro che fai sulla tua personalità, con il passare degli anni. Certo che ci ho pensato alle logiche di mercato, so com’è il mondo fuori, solo che non mi interessa. In qualsiasi ambito lavori un creativo non deve mai mettersi dei paletti. Non credo nella creatività calcolata.
Se è stato una viaggio con te stesso ce l'hai una traccia a cui sei più affezionato?
Francamente no. La selezione finale non è stat facilissima e questo era anche l’intento, che non ci fosse un brano inferiore a un altro. Mi piacciono tutti, ed ognuno rappresenta a suo modo una parte di me, egualmente buona.
A Padova cosa si faceva per iniziare a fare musica nel 1999?
Era molto diverso: sembrava non ci fosse scampo all’epoca, per misurarsi con il mondo dovevi suonare, più che fare dischi, dovevi andare in giro. Adesso c’è molta attenzione (e questo non dico che sia un male) all’ impacchettamento del prodotto finale, vent’anni fa invece dovevi solo salire su un palco per far vedere la differenza. Oggi ci si concentra molto sul far sapere che c’è una cosa piuttosto che lavorare sulla cosa stessa. Mi è capitato di conoscere degli artisti giovani che prima che musicisti sono impiegati di loro stessi, si pongono davvero il problema di comunicare al mondo cosa stanno facendo, più che lavorare su loro stessi e quello che stanno producendo. Questo crea dell’opportunità senza dubbio, però tra i 20 e i 30 anni bisogna chiudersi in studio, dormire in furgone, suonare a concerti non pagati, bisogna crescere. Nel ’99 a Padova tutte queste cose non c’erano, e non è detto che io abbia usato il metodo giusto, però in quegli anni c’erano le sale prove in cui lavoravi per creare qualcosa di unico e irripetibile.
Dischi che ti sono rimasti addosso?
I miei capisaldi sono gli stessi da quando ero bambino. Quelli della recensione che mi hai citato prima ci sono praticamente tutti. E molta musica classica. Chi scrive pop non può non ascoltare la musica classica, basti pensare ai Beatles, o a Mozart, era pop anche il suo solo solo che era di trecento anni fa.
Il 28 novembre i Jennifer Gentle saranno al Serraglio di Milano.
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L'articolo Jennifer Gentle: "Bisognerebbe creare meno hype e suonare di più" di Chiara Lauretani è apparso su Rockit.it il 2019-11-19 10:51:00
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