A pochi mesi dalla pubblicazione di “The Miracle Foundation”, i Jules not Jude sono l'unica band italiana ad aver mai ricevuto una nomination ai Berlin Video Music Awards: insieme a nomi del calibro di James Blake, Sigur Ròs, e Vitalic dal 1° Aprile è possibile votare il videoclip di “Perfect Pop Song” sul sito del premio. Letizia Bognanni li ha intervistati e ci hanno spiegato come hanno fatto a scrivere la canzone pop perfetta e a realizzare il video perfetto.
Esiste la canzone pop perfetta?
Simone: Non credo esista realmente la canzone pop perfetta. Perfezione e arte sono due concetti che possono creare un “ossimoro” indiscutibile. Esiste però la canzone perfetta per te, in quel particolare momento. Se poi è pop sarà sicuramente, in quel momento di quel giorno della tua vita, una “Perfect Pop Song”.
Qual è il vostro metodo per (provare a) scriverla?
S: In realtà non abbiamo mai avuto la presunzione di voler scrivere una perfetta canzone pop. Abbiamo voluto giocare a farlo credere a chi pensa che scrivere una canzone pop sia semplice e immediato. Non lo è affatto. Anzi credo sia impossibile, ma ci abbiamo provato lo stesso, e in quel momento era cosi perfettamente pop per noi che nessun altro titolo sarebbe stato più adatto.
Perché “The miracle foundation”, a proposito di titoli?
Daniel: è sempre difficile dare un nome al proprio album. Dovrei dirti che è perché c’è un’associazione che si occupa di orfani in India e bla bla bla. Ma in realtà non è l’unico motivo che ci ha indotto a questa scelta. Quando è comparso il titolo “The Miracle Foundation” ci è parsa la perfetta descrizione del disco. Rievoca in modo psichedelico, immateriale, un qualcosa di non compreso del tutto, Miracle, ma fortemente legato a qualcosa di reale, concreto, Foundation. Il risultato tangibile di un lavoro astratto.
Rispetto al primo album questo, pur essendo sempre molto pop appunto, è più ricco, con un suono e una visione più ampi. Che cosa è successo in questi 3 anni?
S: Siamo cambiati. Nel senso che fisicamente non siamo più gli stessi quattro che hanno scritto il primo disco nel 2010. Abbiamo avuto la fortuna di macinare un sacco di chilometri su e giù per lo stivale. Siamo riusciti a realizzare uno dei nostri più grandi desideri, che era quello di suonare all’estero, e ci siamo riusciti tre volte. Quando inizi non vuoi più smettere. Nel frattempo abbiamo pubblicato due Ep. Poi abbiamo deciso di fermarci per un po’ per scrivere un nuovo disco. Volevamo fosse qualcosa di compatto e coerente, in grado di rappresentare un mood, un nostro momento particolare.
Quando si parla dei Jules not Jude a un certo punto inevitabilmente compare la parola Beatles. Stavolta lasciamoli un po' perdere, ditemi cos'altro influenza la vostra musica (ascolti ma non solo).
S: Abbiamo ascolti completamente differenti. È il momento che viviamo che influenza la nostra musica. È un insieme di esperienze, di situazioni più o meno emotive. Questo determina gli ascolti di ognuno di noi singolarmente, che poi si uniscono in un'influenza sulla band. Spesso le influenze sono causa di incontro-scontro fra di noi. Non c’è niente di più formativo di una bella litigata sui gusti musicali.
Adesso sono curiosa, su cosa (o meglio chi) vertono queste litigate?
S: Su tutti. Siamo così democratici che ci teniamo a non escludere proprio nessuno. Hai presente quella band che, quella sera là, ha suonato in quel locale famoso? Ecco. Sicuramente abbiamo litigato anche su di loro.
Ho cambiato idea, parliamo dei Beatles: qual è il vostro beatle preferito, e perché? (avete presente quando in “500 giorni insieme” lui percula la ragazza perché il suo beatle preferito è Ringo? Ditemi che qualcuno di voi ha la foto di Ringo in cornice!)
D: No i Beatles no, ti prego (comunque Simone ha in casa una cornice con una foto dei Beatles e loro poster ovunque).
Che cosa hanno portato nel mondo dei JnJ le persone con cui avete collaborato (Enzo Moretto, Jon Astley...)?
S: Lavorare con artisti con la a maiuscola come Jon Astley o Enzo Moretto sicuramente ti aiuta a crescere. Poter condividere con Enzo lo studio e vivere con lui il palco ci ha permesso di osservare in lui un connubio di estro e professionalità da fare invidia ai più grandi. È un’esperienza di cui andiamo fieri. Purtroppo non abbiamo conosciuto fisicamente Jon. Ma ricevere i complimenti per il tuo disco da uno che stava masterizzando la discografia degli Who ti manda ai matti. Credo però che la persona più importante ad aver collaborato con noi a questo disco sia Pierluigi Ballarin dei The R’s. È stato il nostro produttore per il disco, ci ha seguito dai primissimi provini, abbiamo smontato e rimontato i pezzi con lui più volte. Ci ha sopportato e supportato cogliendo e valorizzando le idee di ognuno di noi. Un protagonista dietro le quinte.
È un momento fortunato per il tipo di musica che fate, penso al successo di gruppi come Tame Impala, Toy... come mai secondo voi c'è questa voglia di suoni psichedelici e copertine colorate?
D: Secondo me la psichedelia è quadriennale, nel senso che circa ogni quattro anni si ripresenta in diversi generi musicali e/o artistici sotto una nuova veste. Oggi forse la si vive maggiormente nel genere pop-rock, è un po’ scanzonata, fresca e molto legata al suono dei singoli strumenti. I Tame Impala ne sono maestri.
Dite che l'album “ha una sua coerenza, non è una raccolta di canzoni”. In che senso? Che cosa distingue secondo voi un album da una raccolta di canzoni?
D: La coerenza in “The Miracle Foundation” è dovuta, secondo me, a una calibrata scaletta dei brani. Ascoltando l’album, ci si può leggere dentro una storia che ha un inizio, uno svolgimento e una fine. Chi ascolta le singole canzoni percepisce il fil rouge che le tiene insieme dentro allo stesso disco, come parte di un unico microcosmo.
Quindi una sorta di concept? Se doveste riassumere questa “storia”?
D: Con "storia" non intendevo narrazione. Secondo me i brani di “TMF” sono elementi costitutivi di una storia. Una situazione iniziale, un movente, lo svolgimento dei fatti e una situazione finale. Non saprei dire cosa narra “TMF”, è anche molto soggettivo. Non saprei neanche dire quale storia leggo io nell'album. Cambia in base a tanti agenti esterni. Quindi un concept? Forse sì, in qualche modo. Racconta per forza di noi.
Qualche giorno fa ho letto – non ricordo dove e a che proposito – una specie di sfottò verso gli italiani che fanno musica “non italiana” e provano a esportarla, era tipo “poracci questi gruppi che vogliono portare la musica inglese agli inglesi”. Quando mi capita di sentire cose del genere – siamo in Italia cantate in italiano, siamo in Italia fate i cantautori e lasciate stare i Beatles – penso sempre: perché? Non mi sembra – magari mi sbaglio – che i tedeschi, gli svedesi, gli islandesi, si facciano problemi a esportare musica che non sia “tedesca” o “svedese”, perché non dovremmo poterci provare anche noi?
S: Il problema in Italia è che sputiamo nel piatto in cui mangiamo un pasto che non riusciamo a smettere di mangiare. Siamo i primi ad insultare il nostro provincialismo, ma appena qualcuno mette la testa fuori da questo “paese di sabbia” tutti gli puntano il dito dandogli del folle. In tutti i paesi europei si canta in inglese, si cerca di esportare i propri artisti in Europa. Probabilmente non siamo ancora pronti, arriviamo di solito dieci anni in ritardo rispetto agli altri. Il mio discorso va al di là del cantautorato italiano. È giusto che esistano i cantautori in Italia, è la nostra tradizione e anzi penso che negli ultimi anni “la leva cantautorale degli anni ‘00” abbia portato perle rare. Questo però non ci dà il diritto di accontentarci. Dovrebbe sempre pervaderci il desiderio di voler far parte di una comunità musicale internazionale. Non può ridursi tutto all’andare al Primavera Sound una volta l'anno.
Voi che a suonare all'estero ci andate, ditemi, a vedere un gruppo italiano ci vanno solo gli italiani “emigrati” o c'è curiosità anche da parte degli autoctoni? E dove avete trovato più curiosità e partecipazione?
S: Siamo sempre rimasti felicemente sorpresi dalla presenza di molti autoctoni nelle nostre date all’estero. Ovviamente non mancavano gli italiani, ma è sempre stato un pubblico eterogeneo. Alcuni addirittura sono tornati l’anno dopo durante il secondo tour, si erano ricordati di noi. Berlino è sicuramente la città a cui siamo più affezionati. C’è sempre stata un’accoglienza speciale.
Porterete all'estero anche questo disco?
S: Credo di sì. Anzi dico di sì. Sicuramente. In autunno, magari?
Non avete mai provato a fare canzoni in italiano?
S: No. Non so dirti se mai accadrà. Non escludo nulla, ma per il momento la vedo una cosa lontana anni luce da ciò che amo fare in ambito musicale.
Restando in tema geografico, non conosco Brescia, ma me l'immagino, come un po' tutte le città di provincia, piuttosto desolata. Formare una band è sempre un modo per scappare? C'è ancora l'idea del rock come via di fuga?
S: Brescia in realtà da un punto di vista musicale ha un’offerta incredibile. Probabilmente quell’idea iniziale di vivere la musica come fuga si è tramutata nel corso degli anni in un approccio reale e tangibile. È comunque una città piccola e grigia. C’è nebbia e freddo. La musica a volte è l’unico modo per uscirne. Per noi è stato così.
C'è una canzone nell'album a cui siete più legati?
S: Credo che ognuno abbia la sua preferita. Ogni brano ti lega a sé a suo modo. Però credo che “Raise The Hood”, il brano con il featuring di Enzo Moretto, sia quella a cui tutti siamo più legati e che meglio rappresenta cosa è successo alla nostra musica negli ultimi tre anni.
Il video di Perfect Pop Song è l'unico italiano candidato ai Berlin VMA.
S: Abbiamo girato il video con il collettivo Secret Wood. È il primo singolo del disco. Abbiamo lasciato l'aspetto artistico del video totalmente ai registi che han raccontato la storia di questi due uomini barbuti che facevano parte di un duo di ballerini separatosi e ricongiuntosi proprio sulle note di “Perfect Pop Song”. La nomination ai Berlin VMA è stata totalmente naturale e inaspettata. Secret Wood ha inviato il video senza mai pensare che ci avrebbero selezionato per le premiazioni, invece, senza strani giri siamo stati contattati : il nostro video era in nomination. Dal 1 aprile al 31 sarà possibile votare via web, e poi ci sarà una giuria di qualità che voterà i video che verranno premiati dal 28 al 31 di maggio. Quindi votateci tutti, vogliamo a tutti costi farci un selfie da Oscar a Berlino!
Quanto prendete per il culo gli hipster nel video di “Perfect pop song”?
D: C’è sicuramente molta ironia in ciò che facciamo, prendiamo un po’ tutti per il culo. Soprattutto quelli a cui vogliamo bene. Soprattutto noi stessi.
---
L'articolo Jules not Jude - Come scrivere la canzone pop perfetta di Letizia Bognanni è apparso su Rockit.it il 2014-04-02 00:00:00
COMMENTI