Il rap in Italia? Roba da maschi. Ci sono stereotipi particolarmente duri a resistere, e Paesi particolarmente tosti nel perseverarli. Poi ci sono le persone che cambiano le regole del gioco. Tipo Madame, una ragazza da poco maggiorenne, nata a Vicenza, che in un paio d'anni scarsi, e con una manciata di singoli sempre più curati, sta ridicolizzando l'idea che per impressionare sui beat serva almeno un filo di barba.
Il suo vero nome è Francesca ed è stata scoperta dagli Arcade Boyz. Il suo primo singolo si chiamava Anna, ma è qualche tempo dopo, con Schiccherie – disco d'oro da poco, dopo aver superato i 20 milioni di streaming complessivi sulle piattaforme digitali e su YouTube – che fa il botto. Qualche settimana fa, a quarantena già in corso, aveva rilasciato Baby, ora è la volta di Sentimi, sempre per Sugar e con la produzione "di peso" di Crookers. Madame ci apre le porte di casa sua con una (lunga) WhatsApp Call per tirare giù qualche altro pregiudizio di genere, per parlare di rime e barre, e di avere 18 anni oggi.
Sai che non so perché ti chiami Madame...
È avvenuto tutto in maniera abbastanza casuale. Ho iniziato a darmi nomi d’arte da giovanissima, anche se i primi erano scelte inascoltabili. Robe tipo “tre-emme”. Imbarazzanti. Ero in seconda superiore: durante la ricreazione con la mia amica Giada abbiamo provato uno di quei generatori di nomi automatici di Instagram, un generatore di nomi per drag queen. A me era uscito qualcosa tipo Pink Girl Pig, a lei invece è uscito Madame Wilde, l'ho trovato subito fichissimo. Il soprannome con cui tutti chiamano Giada, dai compagni ai professori, l’aveva coniato io! Quindi, le ho chiesto in prestito il suo. Ho pubblicato i miei primi tre pezzi su YouTube come Madame Wilde, ma poi li ho bloccati. Diciamo che il vero progetto Madame è iniziato con Anna. Mi sembrava un nome più coinciso, meno infantile e più d’effetto.
Come ti sei avvicinata alla musica?
Ho sempre avuto il sogno del mondo dello spettacolo, non volevo per forza diventare una cantante. Mia madre, pur essendo la figura più importante della mia vita, ha sempre seppellito ogni mia speranza. Mi ripeteva continuamente, citando Morandi, che solamente “uno su mille ce la fa”. All’inizio le ho dato poco importanza, in fondo, nessuno poteva impedirmi di cantare per me stessa. Ho iniziato con i karaoke di Justin Bieber, mi sono auto-eletta vocal coach di me stessa. Ho fatto dei grandi progressi a dire il vero: ed è assurdo, perché in realtà non so cantare. C’è molta gente che sa cantare benissimo, che ha un’impostazione vocale perfetta, ma il mio stile naif è pur sempre un segno di distinzione. Il mio tratto d’originalità.
E il rap?
Quello è arrivato grazie a mia cugina, che ha qualche anno in più di me, e che quindi è sempre stata un mio punto di riferimento. A 13 anni, ho imparato tutte le canzoni di Fedez e Emis Killa a memoria. A un certo punto avevo finito tutti i karaoke rap, cosa potevo fare? Fortunatamente ho scoperto i type beat, così ho iniziato a comporre le mie prime strofe. Bimbo, che poi ho bloccato su YouTube, è stata la mia prima vera canzone. Con i type beat ho fatto un po’ di pratica, e alla fine è uscita Anna. Eiemgei mi ha scoperto con questa canzone, mi ha fatto togliere il video e l’ha ripubblicata sul suo canale: in poco tempo è arrivato a 150.000 views. Con lui ho pubblicato anche Sciccherie, da lì a poco è arrivata la Sugar.
Ora hai un vero e proprio team a supportarti?
Devo molto a Fada e Barlow: gli Arcade Boyz mi hanno aiutato sotto molti aspetti, ma quando il progetto Madame è esploso non potevo più fare affidamento su di loro. Con Sugar abbiamo costruito un microteam: siamo io, Paola (Zukar) e Fabio (Rinaldi). Sono sempre stati molto protettivi nei miei confronti, anche se, fortunatamente, nonostante l’età, la consapevolezza non mi è mai mancata. Mi hanno trattato come un neonato, facendomi scoprire il mondo della musica e le sue dinamiche. Non volevano bruciarmi. Non mi hanno promesso promo fantasmagoriche: erano sicuri che, se il prodotto fosse stato valido, radio e testate sarebbero arrivate di conseguenza. Paola, nei miei confronti, è molto sensibile, ma più professionale. Il legame con Fabio, invece, è il legame più famigliare che io abbia mai provato al di fuori della famiglia reale. Lui era entrato da qualche mese in Sugar, io sono arrivata poco dopo, sono stato il suo primo progetto, ancora oggi continua a ringraziarmi perché anch’io l’ho aiutato a crescere. I primi tempi l’ho odiato come non mai, ora gli voglio benissimo. È forse la persona più importante abbia incontrato in questo percorso. In fondo, sono il primo progetto urban su cui la Sugar ha puntato, sono un po’ la loro cocca.
Come va con la scuola?
Ora mi sono iscritta in un istituto privato. Sono in quarta superiore: per fortuna non ho la maturità quest’anno, non perché mi spaventasse sostenere l’esame online, ma sto lavorando come una pazza al disco.
Come mole emotiva, come fai a conciliare musica e studio?
Hai usato il termine giusto. Non ho ancora la maturità per gestire tutti questi cambiamenti. Purtroppo, o per fortuna, avere una carriera come la mia implica un pensiero fisso: chissene frega (tra virgolette) della verifica di matematica se lo stesso giorno devo uscire con un singolo. Se ho un concerto importante. Ho cambiato tre scuole: all’inizio frequentavo un liceo normale, che straripava di professori repressi che hanno fatto di tutto per rovinarmi la vita. Non potevo continuare così, sono quindi passata a una scuola paritaria, ma, a causa degli impegni musicali, avevo praticamente esaurito il numero di assenze. Motivo per il quale alla fine mi sono spostata in questo istituto privato. Ho cambiato anche indirizzo, ora studio economia e marketing. Penso possa tornarmi utile anche in futuro.
Com’è cambiata la tua immagine agli occhi dei compagni?
Io non mi reputo cambiata di una virgola: anche se fuori da scuola faccio la rapper, con i miei compagni mi rapporto in maniera normale. Ho avuto la fortuna, se così si può dire, di essere bocciata in terza superiore, e nella nuova classe, l'anno dopo, ho conosciuto la mia attuale migliore amica. La prima volta che mi presentai ai miei nuovi compagni l'ho fatto così: “Sono Francesca. Domani esce il mio nuovo singolo”. Ma, essendo una persona alla mano, tutti hanno iniziato a fare il tifo per me. Non sto incitando i ragazzi a non studiare, ho passato tutto l’anno a fumare canne e scrivere canzoni, però sono uscite Anna e Sciccherie. Diciamo che, in qualche modo, ho recuperato l’anno così.
I tuoi testi sono molto profondi, maturi. La carriera musicale ti ha dato quello che non ti ha dato la scuola, ti ha costretto a crescere in fretta?
La scuola mi ha aiutato a prendere consapevolezza della mia condizione. Un giorno ho consegnato una verifica in bianco. A prova conclusa, ho sentito delle mie amiche confrontarsi sulle risposte che avevano dato, in quel momento, mi sono sentita ignorante come mai mi era capitato nella vita. Ho iniziato a scrivere riflettendo su me stessa, ma riflettere su di me mi ha inevitabilmente aiutato a capire di più gli altri. Ora il mio obiettivo non è più che le mie canzoni suonino bene bella mia cameretta, ma che suonino bene nella cameretta di chi mi ascolta.
Se dovessi descrivere il tuo stile, almeno quello iniziale, con un’unica definizione parlerei di mumble rap. Ma se ci spostassimo sul piano letterario, potremmo persino chiamarlo stream of consciousness...
All’inizio m’ispiravo molto alla letteratura. Almeno, alla letteratura che conosco. Ma non è un’ispirazione così palese, innanzitutto, copiare qualcosa mi crea un gigantesco senso di colpa. E poi non riuscivo sempre a incastrare ciò che mi piaceva a livello musicale. Ero proprio fissata con lo Stilnovismo e tutta la letteratura medievale, ma ormai tutto quel che potevo “sucarci” l’ho sucato. La mia ispirazione maggiore per questo disco è stata la mia cazzo d’esperienza. Scrivo i testi in 5-10 minuti, in questo senso, sì, un vero e proprio stream of consciousness. Nel momento in cui prendo la penna in mano, mi faccio così tante seghe mentali che le idee mi straripano dalla testa. Quando scrivo mi sento fuoco. Quella botta lì me l’ha data Marra.
Quasi dimenticavo... Marracash! Con cui ha fatto un feat. nell'ultimo disco, L'anima.
Fabio non scrive perché si diverte, scrive quando ne ha bisogno. Anche io ho iniziato a buttare i miei cazzi in versi invece che raccontarli alla mia amica. Per questo il disco è nato velocemente, non mi sono neanche troppo impegnata a livello linguistico. Il mio impegno l’ho rivolto alla comunicazione. Questo è stato un consiglio di Paola, abituata a lavorare con Fibra. Fibra scandisce molto bene le sue parole, io invece avevo scritto Sciccherie, puoi immaginarti... Ai prossimi live, oltretutto, vorrei che la gente cantasse le mie canzoni. Fare rap vuol dire mandare un messaggio chiaro alle persone. Se voglio avere una carriera lunga, devo dare ai fan qualcosa. Prima il mio obiettivo era fare un pezzo fico, ora il mio obiettivo è “dire questa cosa qua”.
L’unico altro rapper di Vicenza che ho intervistato è Mambolosco, mi ha parlato della base aerea americana in città. Vicenza è veramente così influenzata dalla cultura statunitense?
Mambo è mezzo americano, di sicuro ha dei parametri diversi. Io, purtroppo, sono sempre stata sulle mie, non ho mai frequentato troppo il bar degli americani, non saprei dirti. Per farti un esempio, una volta sono uscito con un nero americano, mega fico, muscoloso, ma non capivo nulla di quello che mi diceva. Non intendo per la lingua. Ho preferito chiuderla subito. Povero. Nella base americana ci sono entrata un'unica volta. Se parliamo d’influenze, di sicuro, la musica italiana sul mio percorso ha avuto molto più peso.
La prima volta che ti ho ascoltato ho pensato avessi qualcosa in comune con Izi. Quali sono i tuoi riferimenti?
Sono cambiati parecchio, anche se nel giro di pochi anni. Izi è sicuramente il mio primo riferimento musicale, ho dovuto faticare un po’ per staccarmi questa etichetta di dosso. Tutta quella wave mi ha influenzato parecchio: Ernia, Ghali, Tedua e soprattutto Rkomi che, a livello di contenuto e tecnica, ritengo pazzesco. Sono i rapper della mia generazione: pur non ritenendomi nemmeno lontanamente al loro livello, adesso il mio orizzonte si è spostato verso altri obiettivi, verso Marracash. Verso Massimo Pericolo, un rapper dalla scrittura sconvolgente: nessuno in Italia sa essere diretto e poetico come lui. Poi citerei comunque Michael Jackson, a livello internazionale. sono cresciuta con la sua musica in casa. Così come il cantautorato, in particolare De Andrè.
Magari sbaglio, ma penso che per una donna sia più naturale ascoltarti, mentre per un ragazzo, abituato ad ascoltare rapper maschi, si quasi implicito inserirti nel filone del rap femminile. Partendo da questo presupposto: dovremmo limitarci a parlare di rap. Come si divide il tuo pubblico, e come ti vivi questo ruolo di “più credibile interprete in rosa”?
Una cosa è certa: io non vorrò mai far pesare a nessuno di avere una vagina tra le gambe. Ci saranno tantissime ragazze cui manca il coraggio d'esporsi. Anzi, ci sono un sacco di Madame non ancora esplose in tutt’Italia. Parte della colpa è proprio del pregiudizio: una ragazza che non è spinta a fare rap, di sicuro, preferirà cimentarsi col pop romantico. Io sono sempre stata un po’ maschiaccio, ho avuto la fortuna di diventare la sorellina minore di tanti rapper importanti, questo mi ha aiutato, ora che anche il rapper femminile si sta diffondendo, a non essere stereotipata, a evolvere uno stile mio. Ad esempio, io non sento il bisogno di mostrare il mio corpo, forse semplicemente perchè ancora non mi sento fiera del mio culo, ma non sto accusando chi lo fa, voglio arrivare a possedere la sicurezza per fare un live nuda un giorno. Trovo ridicolo chi giudica un’artista perche sceglie di mostrare il suo corpo. Ovviamente, se supportata da una valida proposta musicale. Quest’atteggiamento mi da fastidio, siamo nel 2020 cazzo. Allo stesso tempo, chi si merita di vedermi nuda in questo momento?
Non so, dimmi tu...
Voglio dire, il mio corpo è una cosa preziosa, non sono ancora così famosa da permettermi un paparazzo che mi scatta una foto al mare. Ma se scelgo questa carriera, volente o nolente, coperto o scoperto, prima o poi il mio corpo dovrà diventare di dominio pubblico. In America esistono già le versioni 2.0. delle nostre rapper, quando una ragazza si cimenterà col rap sarà inevitabilmente portata a imitare uno stereotipo statunitense. Tornando al punto. Ora ho una social media manager che mi segue, posso darti delle cifre precise. In realtà mi seguono più uomini che donne: almeno su Instagram, la proporzione è di 52% a 48%. Sotto i mie video i commenti non sono mai roba del tipo “sei meglio\peggio di Beba o di Chadia”. I miei commenti inneggiano a ciò che ho dato ai miei ascoltatori: c’è chi si rispecchia in un mio pezzo, chi si commuove... Se non c’è confronto vuol dire che sto costruendo qualcosa di veramente mio, che prescinde dal sesso.
Il pubblico della trap è tendenzialmente molto giovane, ma suppongo tu sia ascoltata da una gran fetta di pubblico ben più adulta...
Guarda, questa te la spiego con un aneddoto. Ero in centro a Vicenza con una mia amica che fa la youtuber e il suo fidanzato, cantante di reggaeton. Ci siamo seduti al bar e la scena è stata questa: un’orda di ragazzini tra i 9-12 anni si è catapultata sulla mia amica, una seconda orda di ragazzine sui 15-16, invece, si è fiondata sul suo fidanzato. Mi sentivo quasi esclusa. A un certo punto passa un signore, sicuramente over 50, con un bambino neonato, troppo piccolo per essere suo padre. Probabilmente era addirittura suo nonno. Lascia il passeggino in mezzo alla strada e corre tutto emozionato verso di me. “Madame, possiamo farci un selfie? Ti condivido sempre con il mio gruppo di amici”. Ho un pubblico mediamente più adulto dei miei colleghi, banalmente, quelli che mi scrivono cose del tipo “ti voglio scopare” non hanno mai tredici anni. Sono sempre ragazzi più grandi che ormai si sono stufati della fica X e cercano qualcosa di più particolare, di più profondo. È una prassi umanamente molto interessante. Anche se poi, nell’approccio, non si dimostrano così maturi.
Alla tua età, come ci si proietta nell'olimpo del rap?
Marra mi ha donato una credibilità agli occhi della scena, che comunque avrei impiegato anni a costruirmi da sola. Ma, a essere sincera, ero talmente proiettata verso quest’obiettivo che non ne ero manco sconvolta. Quando ho iniziato ho proprio pensato: “voglio entrare nella grazie di Marra, diventare la cocca dei più forti”. La vera emozione è arrivata quando l’ho incontrato. Non sapevo come parlargli, come rivolgergli parola, per due ore sono stata zitta, rigida come un sasso. Mi ha assorbito cosi tante energie fisiche ed emotive incontrarlo che mi sono addormentata come un bambino sul divano. Santeria, Status, sono tutti album che ho ascoltato, ma non mi sono mai entrati dentro, non potevano rispecchiarmi per vari motivi: la carriera, le esperienze di vita, la differenza di età. Fino a quel momento Izi o Rkomi erano ancora i miei idoli musicali. Poi Fabio mi ha fatto ascoltare in anteprima i brani di Persona e ho cambiato totalmente idea nei suoi confronti. Non sono cresciuta con il rap di Fibra, dei Club Dogo… Marra, ora è forse il mio artista preferito. Mi ha proprio cambiato la vita.
Hai cambiato diversi produttori, come ci si pone sulle basi di artisti così differenti?
Ho scelto di comporre un disco con tutti i produttori che mi piacciono perchè non riuscirei a lavorare con una sola persona. In futuro magari cambierò idea, devo ammetterlo, sono anche avantaggiata dal fatto che questo è il mio primo disco, la gente non sa realmente cosa aspettarsi. Sono una persona che tende facilmente ad annoiarsi, ho bisogno di stimoli esterni. Stimoli che un’unica figura difficilmente riuscirebbe a darmi. Se devo lavorare con un mio Charlie Charles, oltre a essere il produttore più bravo d’Italia, deve anche sapere intuire ogni mia mood con una base, farmi da psicologo. Questa persona non è ancora stata inventata. Ogni producer mi regala una vibe diversa, ad esempio, quando provo un particolare sentimento, so che devo andarlo a registrare a Bologna con Monkey. Lui è sicuramente quello con cui scambio più parole, quello più vicino alla mia età, con cui faccio vere e proprie sessione di psicoterapia. Con Estremo (produttore di Wild Bandana) attuo una ricerca più sperimentale. Mentre a Crookers, che è il più grande e il più affine al lavoro, mi rivolgo quando cerco un sound ben preciso, che sappia andare in radio, ma non risulti commerciale. Sentimi e Baby sono state passate dai maggiori network nazionali. In un certo senso, sono il direttore artistico della mia roba, un percorso che mi piacerebbe intraprendere in futuro. Off topic, mi piacerebbe diventare la più giovane giudice di un talent in Italia. Mara Maionchi in versione teen.
In questo periodo di quarantena, anche il concetto di Sciccherie sarà radicalmente mutato?
Il senso della canzone è proprio quello, una "chiccheria" non è determinata dal suo prezzo, dal lusso ostentato. E, per quanto assurdo, spero questa crisi possa cambiare in meglio la scala gerarchica dei nostri valori. Ad esempio, sono mesi che non vedo la mia migliore amica, poterla riabbracciare è un gesto cui non posso quantificare il valore. Del resto mi ritengo già fortunata a fare questo lavoro. Poter stare a casa con un tetto sulla testa e una famiglia a supportarmi. L’unico problema che sono una persona molto proiettata sul futuro, le aspettative su questa quarantena mi segano proprio le gambe. Non so quando ne usciremo, non so quando potrò tornare a suonare live. Ma doversi fermare, necessariamente, ha anche sortito degli effetti positivi: innanzitutto, per paura, ho smesso di fumare. E poi, fossi stata a Milano a lavorare sull'album, sono sicura, non sarei mai riuscita a godermi a pieno questo disco d’oro.
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L'articolo Madame: "Sto costruendo qualcosa di mio, donna o uomo poco importa" di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2020-05-02 18:32:00
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