"La primavera della mia vita": il sogno neorealista di Colapesce e Dimartino

Fino a qualche anno fa un film del genere non sarebbe stato possibile. Non è (solo) una questione di hype da Sanremo, ma di quanto il cinema italiano sappia osare e immaginare mondi. Grazie ad Antonio e Lorenzo (aka I Metafisici) e Zavvo Nicolosi, ora un po' di più

Una scena del film
Una scena del film

“Per fare un video io parto sempre da suggestioni musicali. Per questo non posso illustrare una sola storia; la musica suggerisce una molteplicità di storie ogni secondo. Limitarsi a rappresentarne una sola è stupido; un film è come un quadro, un quadro che dura nel tempo”. Mi sono avvicinato a La Primavera della Mia Vita di Zavvo Nicolosi, il film con protagonisti Colapesce e Dimartino in sala dal 20 al 22 febbraio, dopo aver finito di vedere Sátántangó, film di sette ore di Béla Tar; con in testa il terrore, reale, concreto, palpabile, provocato dal ricordo delle pellicole (forse troppo “celebrate”) che, in passato, hanno avuto protagonisti due musicisti italiani: Jolly Blu di Stefano Salvati, con Pezzali e Repetto, ossia gli 883, e Senza Filtro di Mimmo Raimondi, con J-Ax e DJ Jad, ossia gli Articolo 31.

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Se non avessi avuto a mente queste parole dette da Zavvo anni fa e l'immagine di Colapesce con la t-shirt degli Swans a svoltarmi una tristissima serata ragusana di una decina di anni fa, probabilmente, avrei rimandato ad libitum la visione del film. E sarebbe stato un peccato. Sembra quasi che il cinema italiano contemporaneo si sia assunto l'onere di ridurre fino ad annullare quel divario stilistico-espressivo che fino all'altro ieri lo separava da buona parte del cinema straniero. E questo, comunque la pensiate, è una meraviglia.

Se Gabriele Mainetti, quello di Lo Chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out, sulla spinta di Manetti Bros e Sydney Sibilia prima di lui, ha portato la fantasia a un altro livello di narrazione come segnale in base al quale interrogarsi sul perché solo gli inglesi o gli americani possano osare tanto; e se un prime-mover qual è Renato De Maria (Paz! ha più di vent'anni!) gli è giustamente andato dietro alzando l'asticella del ucronia (ops, l'authenticity) con Rapiniamo il Duce; e se i due fratelli romani D'Innocenzo oramai se la giocano intellettualmente (economicamente col quasi, ma è un altro discorso...) ad armi pari con Alejandro Amenábar e Yorgos Lanthimos, atri registi si stanno muovendo in quella stessa temeraria direzione, con esiti più o meno riusciti ma che comunque smuovono le acque - si pensi a Carolina Cavalli, per dire, o Giovanni La Parola.

Ecco, Zavvo Nicolosi è uno di loro. Cineasta quarantenne di Catania, poco noto e soprattutto estraneo alle grandi produzioni dei suoi illustri colleghi stranieri, oramai da diversi anni va in giro con la cinepresa a fare video musicali narrativi e non-narrativi, muovendosi in ogni canzone come se si trovasse a casa propria, alla ricerca di un'armonia delle cose basata su una assoluta disponibilità verso qualsiasi formula musicale. Dal bedroom-pop autarchico di Persian Pelican al alt-folk di Thony, passando per l'indie 2.0 di Galeffi, Giorgio Poi e Canova, fino agli Zen Circus e ai Baustelle. È soprattutto nella composizione delle inquadrature e nell'uso del montaggio che si fa amare Zavvo ma in genere tutte le strutture espressive dei video traducono efficacemente il suo estro e il suo amore per il cinema tutto ancor prima della musica - ovviamente. Della trentina di video girati fin'ora, una decina sono quelli per Colapesce, uno per Di Martino e due insieme, quelli per Musica Leggerissima e Splash.

Scene dal film
Scene dal film

La Primavera della Mia Vita, che segue la partecipazione a Sanremo del duo e che in origine si sarebbe dovuto intitolare con un ancor più evocativo Mandorlo Amaro, è la storia di due omonimi artisti, Lorenzo (interpretato da Colapesce) e Antonio (interpretato da Di Martino) che dopo uno split per divergenze sia artistiche sia etiche (Antonio è più idealista, mentre Lorenzo più pragmatico), dopo tre anni passati senza né vedersi né parlarsi, si ritrovano ad andare in giro per l'isola a scoprire se alcune leggende nascondano un fondo di verità o se siano soltanto il frutto delle credenze popolari.

Raramente nella Sicilia dei film è stato palesato questo aspetto narrativo che è, invece, reale e vero. Ogni provincia ha, oltre alle leggende note, la sua schiera di studiosi, dotti, personaggi bislacchi e strampalati che, oggi come ieri, tramandano una miriade di storielle di ogni tipo. Io stesso per tanti anni ho sentito il racconto che a Cimillà, una notte estiva, un terreno viene calpestato dai fantasmi dei Garibaldini. Tutto vero, confermo. Quindi, al di là delle apparenze, La Primavera della Mia Vita è un film “neorealista” e chiunque sia stato in Sicilia, anche solo in villeggiatura, non farà fatica a riconoscerlo.

Scrivo “al di là delle apparenze” perché Zavvo Nicolosi ha inseguito i suoi riferimenti filmici per molto tempo prima di arrivare all'agognato debutto e il risultato finale non può allora che dare libero sfogo alla sua voracità cinematografica, che lo ha portato a trovare una chiave di lettura (strano ma vero) assolutamente originale, personale e fedele alla matrice anarchica che lo alimenta. Eppure legato indissolubilmente fin dai primi minuti a un citazionismo mai a grana grossa. Durante allora questo che è a tutti gli effetti un road-movie, ogni cosa è illuminata - citando appunto. Colori, nomi, inquadrature, musica, La Primavera della Mia Vita è soprattutto un viaggio nella formazione dell'immaginario e della cinefilia di Nicolosi.

Scene dal film
Scene dal film

Gli omaggi, mai filologici, sono a Tarantino e a Wes Anderson, fino ad arrivare a Quentin Dupieux e alla tradizione dell'illustrazione italiana ma anche alle sue radici siciliane, facendo del film un'autentica perla. Considerando una sceneggiatura tutto sommato solida, al netto di qualche momento di ingenuità, la continuità fluviale di rimandi visivo-uditivi è ancora più impressionante, così come lo è la cura di tutti i dettagli, nel non fare scontrare i riferimenti d'autore a quelli più pop. Al pari del puntuale accompagnamento musicale, creato ad hoc dagli stessi Colapesce e Dimartino, con qualche cammeo qua e là più (Erlend Øye) o meno (bocca mia taci...) azzeccato, il film ha un ritmo irregolare, indie nel senso di indipendente, saltellando da una situazione a un'altra senza preoccuparsi troppo della consecutio temporum.

Coerentemente alla flemma tendente all'accidia dei due protagonisti, in termini di messa in scena, la camera non è mai a spalla, non segue i due nelle azioni, ma li osserva nei loro (spesso) statici confronti dialettici con un lavoro di riempimento scenografico e di cipiglio fotografico veramente lodevoli. Senza saltellare da un personaggio all'altro o imbarcandosi in lunghi piani sequenza che, oltre a non avere nulla di che spartire con la flemma della narrazione, finirebbero assai facilmente per farvi venire il mal di mare. La storia degli amici (precedentemente noti come I Metafisici) ritrovati è intrecciata poi a riflessioni di carattere ambientalista, musicale, etico ed esistenziale una volta tanto in un modo leggero ma non per questo immotivato o sbrigativo. L'abilità e la sensibilità con la quale il film intreccia la traccia della storia apparente del viaggio reale con quella reale del viaggio interiore, attraverso elementi a essa estranei, è davvero ricca di invenzioni notevoli.

Il finale, che fa i conti con la finitezza di tutte le cose e con la libertà individuale, nel quale il regista omaggia palesemente The Wicker Man del 1973, è persino toccante. E Colapesce e Di Martino? Oserei dir sorprendenti, soprattutto il secondo, sono una sorta di Jay & Silent Bob in giacca di vigogna che al posto dell'erba spacciano paranoie, sarcasmo e malinconia. E allora viva! Se il nuovo cinema italiano, oggi, sembra essere finalmente capace di smuovere qualcosa, di provocare una reazione capace di fare uscire di casa e andare nei cinema, se è in grado di raccontare altre storie e sa intrattenere finalmente con soluzioni altre, sane, oltre il qualunquismo e la retorica del qualunquismo come in tempi passati ha saputo fare, copiando (male) dalla Francia, dalla Spagna, semplici commedie che sapremmo fare meglio da dare in pasto ai vari Luca e Paolo o Raoul Bova per gente che dal cinema italiano non si aspetta altro che Luca e Paolo o Raoul Bova. Quindi, fa bene chi comunque decide di urlare qualcosa di diverso in questo ridicolo marasma di matrimoni, crisi di coppia, buoni sentimenti e adulti immaturi che non accenna a diminuire. Anzi, ci sono tempi in cui l'attesa può rivelarsi mortale. Quindi Zavvo ancora, grazie.

Scene dal film
Scene dal film

4 Salti in Sicilia, ovvero 4 domande al regista Zavvo Nicolosi

Quanto di ha influito questa collaborazione per i video nella scelta di chiamarli come attori? 

È avvenuto il contrario, nel 2020 prima dell'uscita dell'album I Mortali, Antonio e Lorenzo hanno iniziato a coltivare il sogno di fare un film, il mio stesso sogno da quando ho 12 anni, ed abbiamo iniziato con dei piccoli cortometraggi, poi Musica Leggerissima è esplosa e l'improvvisa popolarità ha aperto le porte di un mondo che prima ci sembrava inarrivabile. Sono stati loro per il rapporto di stima e fiducia reciproco a volermi a bordo di questo progetto. Abbiamo sviluppato tutto insieme.

Come mai il titolo Mandorlo Amaro non è stato mantenuto? 

La parola “amaro” è stata giudicata respingente. Dinamiche distributive che comprendo, ma per noi quello rimarrà sempre il vero titolo.

Qual è la citazione alla quale sei più affezionato o quella per cui bisogna avere un occhio incredibile?

È talmente pieno di citazioni che non saprei. C'è dentro Spielberg, Lynch, Jodorowski e molti altri, ma la più assurda è quella della pubblicità anni '80 di Caldo Bagno probabilmente.

Faccio bene a considerare questo film come il #0 di una fanzine,  come un soundcheck, come qualcosa che nel tempo acquisirà una sua maggiore specificità?
 
Se intendi in relazione a un proseguimento del progetto con Colapesce e Di Martino assolutamente direi si, anche se parallelamente vorrei avere la possibilità di cimentarmi con film di genere sempre diverso e molto lontani anche nel tipo di regia. Ho già in mente un thriller folle tutto al femminile.

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L'articolo "La primavera della mia vita": il sogno neorealista di Colapesce e Dimartino di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2023-02-20 11:35:00

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