Sono da poco passate le 13 di un pigro lunedì di fine anno. A sfidare gli stereotipi dell’autunno/inverno friulano, un sole pieno investe le banchine della stazione di Udine, semideserta. Canticchio mentalmente in automatico una delle canzoni che sto ascoltando da giorni, chiamata Schiaffi: "C’è un sole che spacca i coglioni". Assieme a un altro paio di passeggeri, salgo sul treno proveniente da Trieste delle ore 13:05: in barba al Covid, sto varcando i confini regionali per andare al capolinea della tratta, Venezia, aggrappandomi a una parvenza di mobilità libera dopo giorni di clausura in casa.
Come mio solito, in una tasca della giacca ho la Settimana Enigmistica, nell’altra un libro che so già che in due ore di viaggio non aprirò perché troppo preso dal rebus di turno. Questa volta, però, l’enigma che mi sta assillando ce l’ho nelle cuffie del telefono, tanto che anche le fedeli caselle bianche delle parole crociate rimangono intonse. Il centro dei miei pensieri sono i Laguna Bollente – nome preso da un fantomatico club di scambisti veneziano, come poi mi verrà rivelato –, duo reduce dalla pubblicazione di un ep, chiamato Discocesso, seguito qualche giorno fa da Nord Sud Ovest Sert, pubblicato assieme a Dischi Sotterranei. Sono loro che sto andando a conoscere e non ho idea di cosa aspettarmi.
So che sono una coppia, che si chiamano Dunia Maccagni ed Elia Fabbro, che bazzicano tra Mestre e Venezia. Punto. Me li immagino un po' come i Suicidedi Alan Vega, solo che siamo in Veneto nel 2020 e non nella New York degli anni '70. Mi hanno catturato dal primo ascolto di Discocesso: 12 minuti di "canzoni di una donna col cazzo e un uomo con la figa", come hanno scritto nella descrizione dell’ep. Brani lo fi tra il rabbioso e l’ironico – come la Schiaffi citata prima –, fortemente ispirati dal post punk e dalla new wave, ma anche con una certa decadenza baustelliana. Droga, bestemmie, sesso, alcol regnano sovrani, ma non come una celebrazione: c’è una richiesta di soccorso in mezzo, il racconto senza filtro di un disagio vero, anche se non per forza vissuto in prima persona. Non cercateli su Spotify, come su Facebook o su Instagram. Non li troverete lì, non hanno un profilo della band. In compenso, su SoundCloud, YouTube sul nostro sito c’è tutta la loro musica.
Arrivo a Venezia e mi rendo subito conto della fortuna che ho: vedere la città quando non c’è quasi nessuno. Niente folla urlante di turisti, solo qualche sporadico passante locale. L’appuntamento è alle 15:30 in Campo della lana, dove c’è la sede dello IUAV. Sull’ingresso dell’edificio, a caratteri cubitali, c’è scritto: Centro provinciale dell’igiene. Dato il periodo, non c’è punto d’incontro migliore. Arrivano, ci presentiamo e Dunia attacca subito a parlare: "Volevo portarti nella mia cicchetteria di fiducia, vengo sempre qui quando riesco, mi capita anche di suonare qualche pezzo insieme ai fioi", dice ridendo. Il posto in questione si chiama Osteria della Rivetta: un bugigattolo senza neanche l’insegna fuori, composto solo da un ingresso con il bancone e uno stanzino con dei tavoli. Meraviglioso.
Ci sediamo e inizio a chiedergli qualsiasi cosa mi venga in mente, con la curiosità che monta da giorni di ascolto ossessivo della loro musica. "Io studio allo IUAV", inizia a spiegarmi Dunia. "Cercando casa a Mestre ho conosciuto Elia e Gianluca Malshyti, aka Ammiraglio Mario, un altro nostro amico che poi ha fondato Bad Bird, l’etichetta con cui abbiamo pubblicato Discocesso. Elia ha uno studio arrangiato in casa, io un giorno mi sono messa lì a improvvisare un po’ e ho chiesto a Gianluca se avesse un testo da cantare. Così è nato Latta, il primo brano dei Laguna Bollente. È stato tutto un caso".
Tutto questo succedeva appena prima del lockdown di marzo, anche se il "virus cinese" viene citato all’interno di Saluti e sputi, l’ultima traccia di Discocesso. "Lì eravamo già in quarantena, Elia non l’ho visto per tre mesi perché lui se l’è fatta a casa sua a Sacile, mentre io sono romagnola ma sono rimasta a Mestre in quel periodo", mi svela Dunia. "Visto che eravamo distanti, l’abbiamo registrata col telefono". Non è difficile da credere: ascoltando le loro canzoni, si percepisce come tutto sia suonato e inciso con mezzi di fortuna, tanto che a volte è difficile capire i testi. In tutto questo dialogo, Elia è molto taciturno. Sulla sua felpa capeggia Silent Bob di Clerks e mi viene da pensare che non sia un caso.
"Io mi sono innamorato di voi su 'P***o dio ti rubo gli Oro Ciok'", dico, citando un passaggio del loro brano Radicale. Loro ridono, forse un po’ imbarazzati dall’idea di trovarsi uno sconosciuto di fronte che li abbia sentiti cantare un verso così crudo. "Lì si parla delle elementari, quel sentimento di invida verso il bambino ricco che a ricreazione ha sempre la merendina buonissima, mentre gli altri si ritrovano con i cracker”, mi spiega Dunia. "Io mi chiedo se la cosa può risultare offensiva per chi crede, però è un intercalare che fa parte della quotidianità, penso sia inutile censurarlo". Dopodiché, Elia ha un raro momento di loquacità: “E poi, come dice Capovilla, la bestemmia è una forma di preghiera".
Al di là dell'espressione blasfema, sono tanti i passaggi espliciti che i Laguna Bollente usano nei loro pezzi. "Uccidete i drogati, gli immigrati e puttane", per esempio, sempre in Saluti e sputi. "Quando l’ho detto temevo che qualcuno mi prendesse sul serio", commenta Dunia. "Adesso c’è una patina glamour dei contenuti soprattutto sui social, dobbiamo essere perfetti e senza crepe, anche in musica siamo abituati a degli standard per cui devi avere il suono perfetto e pulito. Noi vogliamo dire che il brutto esiste e fa parte della vita quotidiana di tutti. Non abbiamo più bisogno di questa ghettizzazione".
La questione social è in particolare interessante perché, in un certo senso, i Laguna Bollente non esistono. Non c’è né una pagina Facebook né un profilo Instagram, per non parlare della totale assenza su Spotify. "C’è un libro bellissimo del filosofo Byung Chul Han che si chiama La società della trasparenza, dove dice che i contenuti sono velocizzati al punto da essere pornografici. Siamo abituati a un martellamento costante di sensazioni che uno riceve senza metabolizzarle", mi racconta Dunia. "La musica è così, usa e getta. Noi cerchiamo di limitare questo fenomeno, per cui possiamo essere ascoltati da tutti, ma non vogliamo spingere la nostra musica in maniera ossessiva e diventare schiavi di questa dinamica".
Usciamo un attimo a prendere una boccata d’aria. Mentre guardiamo gli assurdi graffiti fuori dal locale, parliamo del perché le canzoni di Discocesso siano fatte da "una donna con il cazzo e un uomo con la figa": "Per quanto adesso si parli molto più di un tempo di genderfluid e argomenti simili, nelle realtà provinciali è ancora molto difficile, ci sono forti pregiudizi su cosa è maschile e cosa è femminile. A me pesa molto, mi hanno sempre detto di essere un maschiaccio, si fanno accostamenti caratteriali a ciò che è l’orientamento sessuale e secondo noi non ha senso". Questo risalta ancora di più nel momento in cui Dunia, spesso, si trova a cantare dalla prospettiva di un uomo. "Scrivere i testi al maschile aiuta a veicolare il concetto che certe cose sono universali. Assumere un genere che non è il tuo secondo me è più incisivo dell’asterisco o della schwa, per dire,io preferisco rivendicare il maschile perché è ancora più forte come messaggio".
Per quanto riguarda Nord Sud Ovest Sert – "Lavoro in un ristorante qua a Venezia e ogni giorno mi devo sorbire Max Pezzali e gente simile nello stereo, quindi questo titolo è una piccola rivincita", mi confessa Dunia –, i Laguna Bollente mi rivelano di essere un po’ preoccupati. “Vorremo avere un parental control al contrario", dice Elia ridendo. "Di fatto le nostre sono provocazioni, che però riflettono vicende o personali o vicine a noi, quindi inevitabilmente ci sentiamo un po’ messi a nudo", aggiunge Dunia.
Uno degli esempi più eclatanti in questo senso è: "Se vieni dentro, ti invito al mio funerale", in Versace. Un verso diretto e apparentemente di un cinismo spiazzante, ma che in realtà è una critica molto precisa. "A me piacerebbe, prima o poi, mettere su famiglia, ma guardiamoci attorno: noi non sappiamo se domani saremo in grado di mantenerci. Per i giovani sotto i 30 anni questo è la normalità. Rispetto ai nostri genitori, puoi sentirti un fallito se sei da solo, ma la verità è che le condizioni socioeconomiche hanno un peso fortissimo in questo discorso. Se poi aggiungiamo che una donna rischia di trovarsi lo stronzo in farmacia che non vende la pillola, la situazione è ancora più drammatica".
A questo punto, Dunia mi confessa come tutto quello che hanno registrato, oltre a essere nato per caso, non sarebbe mai dovuto diventare pubblico. "Abbiamo provato a nasconderci con degli pseudonimi all’inizio: Elia doveva essere Max Turbato, io Caffè con verme, che è una citazione dei Baustelle, però poi la cosa ci è scappata di mano. Comunque almeno io non ho l’ambizione di fare soldi con la musica. Sto finendo una magistrale in design, vorrei lavorare come grafica".
Dopo un intero pomeriggio assieme, si sono fatte le 18. Come da DPCM, l’osteria chiude. Finisco al volo la mia ombra, come chiamano il bicchiere di vino in Veneto, e ci dirigiamo assieme verso la stazione. Dunia continua ad aggiungere dettagli sulla loro musica, mi rivela il suo amore folle per Bianconi e per Siouxsie & the Banshees, di come si sia innamorata di Elia mentre lui le insegnava a suonare la chitarra, di come stia facendo di tutto per laurearsi a maggio e potersi cercare un lavoro vero, invece di doversi guadagnare da vivere come cameriera. In tutto questo, Elia si lascia andare appena a qualche parola in più da sotto la mascherina.
Arriviamo al binario del mio treno, li ringrazio della giornata assieme e salgo a bordo. Riprovo a sfogliare la Settimana Enigmistica, ma adesso mi trovo il problema opposto rispetto all’andata: cerco di rimettere mentalmente in ordine tutto quello di cui abbiamo parlato, ho la testa che continua a tirare fuori scampoli di conversazione – o di silenzio, se ripenso al mutismo dettato dalla timidezza cronica di Elia – e mi rendo conto che anche in queste due ore non riuscirò a scrivere una definizione che sia una. Quindi, apro SoundCloud, mi infilo le cuffie nelle orecchie e faccio partire, ancora una volta, Discocesso.
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L'articolo Laguna Bollente, storie di una donna col cazzo e di un uomo con la figa di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2020-12-22 10:14:00
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