Lamante cerca casa

Giorgia ha 24 anni e da quando è una ragazzina è in fuga da tutto. Ora, dopo aver vissuto già varie vite, sta cercando disperatamente il proprio posto del mondo. Lo troverà, grazie a un talento fuori dal comune

Lamante
Lamante

Storpiare il cognome non è proprio il miglior modo di presentarsi a una persona, tanto più se la stai intervistando. "Pietrabasi, giusto?", chiedo a Giorgia, musicista di cui ormai sento parlare da sei mesi. Lei mi corregge subito, tra il rassegnato e il divertito: "Pietribiasi! Oh nessuno lo sa pronunciare mai, sarà quel dittongo...". Lei ha 24 anni, viene da Schio, in provincia di Vicenza, e da qualche tempo ha preso il nome d'arte di Lamante scritto così, tutto attaccato, come a unire i concetti di amore e dolore insieme. Un binomio che si sente ben presente nei suoi pochi brani – L'ultimo piano, Come volevi essere e Rossetto – pubblicati finora: brevi spaccati autobiografici che mostrano una vita lastricata di difficoltà, percorsa sempre in un equilibrio precario, ma allo stesso tempo con una forza d'animo insuperabile.

Non a caso, del talento di Giorgia si è accorto subito Taketo Gohara, uno dei produttori più apprezzati della musica italiana, che ha lavorato ai dischi di Morgan, Afterhours, Samuele Bersani, Baustelle e moltissimi altri. È lui che si è offerto di aiutarla producendo il suo primo disco, in uscita prossimamente. Il tocco nei primi singoli si sente: le canzoni di Lamante hanno una costruzione curatissima, sono dei climax tumultuosi che ricoprono il folk rock del catrame delle metropoli. C'è tanto una radice ancestrale quanto le nebbie della zona industriale, il tutto avviluppato attorno a un senso di umanità che ribolle dentro le viscere. Qualcosa che ci ha colpito dritto in faccia, tanto di invitarla in redazione per farle qualche domanda.

 

Hai deciso di usare un nome d'arte viste le difficoltà nel pronunciare il tuo cognome?

È un cognome difficile non solo per la pronuncia. Per Taketo invece dovevo chiamarmi solo col mio cognome, quando gli ho detto di provare a ripeterlo non riusciva neanche lui (ride, ndr). È un cognome difficile da pronunciare e da gestire. Io vengo da Schio, l'Alto Vicentino è stato molto famoso, soprattutto negli anni '70. Pensa che il movimento del '68 in Italia è iniziato nell'Alto Vicentino Valdagno con l'abbattimento della statua di Marzotto, che era questo grandissimo industriale, ed è finito nel '79 a Thiene con una bomba. Una storia molto importante che si è intersecata con quella della mia famiglia.

In che modo?

Mio padre faceva parte di gruppi extraparlamentari di lotta e di contropotere, mia zia pure, poi piano piano, è entrata a far parte l'eroina nel giro, quindi poi nella mia famiglia ci sono stati problemi di tossicodipendenza, culminati con la morte di mia zia e poi la risoluzione di mio padre. Quindi a Schio i Pietribiasi sono ben conosciuti.

Ti pesa questo passato?

È una memoria che mi porto dietro e che inevitabilmente a Schio si faceva sentire. Da piccola non avevo ben chiaro quello che stava succedendo, ma una cosa era molto chiara per me: la difesa della memoria.  Ho sempre sentito questo forte impulso di dover difendere la mia memoria familiare, qualcosa che quando è così traumatica si tende a lasciare indietro, a cancellare. Fin da piccola avevo sempre questa mia macchinetta fotografica con cui filmavo tutto quello che mi capitava nella mia vita. Per esempio, il video di Come volevi essere è un excursus dal 2007 al 2014 di tutti i video che io ho fatto fin da piccolina.

Non dev'essere facile guardare in faccia qualcosa di così duro.

Non lo è, però penso che i traumi familiari siano in qualche modo ereditari. Quando sono nata mia zia era morta da pochi anni, quindi non ho vissuto direttamente la sua morte, ma percepivo questa assenza. C'era questa foto di lei che si vede spesso nel video de L'ultimo piano che è l'unica cosa che non cambia mai di quel set del video. Quella foto era diventata la carta da parati delle case in cui abbiamo vissuto.

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Quando hai iniziato a scrivere?

Appena ho scoperto come si teneva una cazzo di penna ho iniziato a scrivere e a suonare, tenendo le due cose molto staccate: da una parte scrivevo molto poesie e dall'altra suonavo molto la chitarra. Mio papà è chitarrista, quando avevo 7 anni c'era questa chitarra in palissandro più grande di me che gli era stata regalata dal padre di una gitana di cui si era innamorato in Spagna, anche se non so bene quanto sia romanzata e quanto no questa storia, in famiglia viviamo un realismo magico. Un giorno, dopo che più volte mi aveva chiesto di provare a suonare e mi ero rifiutata, sono andata da lui e gli ho chiesto che mi insegnasse. Qualche anno dopo per fare un regalo a mia madre le ho scritto una canzone.

Nelle tue canzoni si sente che parli di qualcosa che hai vissuto sulla tua pelle, soprattutto il bisogno di trovare un punto fisso che sia davvero tuo dove stare. Cos'è casa per te?

C'è una frase che ho letto di un libro poco tempo fa che diceva più o meno: "Se per me inferno è casa, cosa vuol dire per me amore?". Io ho vissuto in tante case diverse, sono stata un po' ospite da mio nonno che era un contadino, ho vissuto tutta la materna fino ai 6-7 anni con mio nonno, poi con i miei genitori, poi a 16 anni, non andando molto d'accordo con la situazione familiare che c'era, ho preso e sono andata all'ultimo piano di un palazzo popolare.

Così, da sola?

Stavo con questo ragazzo che era di origine senegalese, sono andata con lui in questo palazzo dove mi chiamavano "toubab", che in wolof, che è una delle lingue più parlate in senegalese, vuol dire bianca. Ho vissuto i primi sei mesi così, poi ho scalato la gerarchia di brutto e ho iniziato a parlare wolof anche io.

Quanto sei rimasta lì?

Fino ai 18 anni. Quando ho finito le superiori, il giorno in cui ho fatto il mio esame, sono partita e sono andata a Milano. Per tre anni pensavo di aver trovato una casa, poi è arrivata la pandemia. Stavo a Gorla, quartiere che io amo tantissimo. La chiamo la piccola Parigi, perché c'è la Martesana. È un forte dualismo quello che vivo io, lo chiamerei "vicissistanza": nel momento in cui mi trovo in una situazione stabile iniziano le paure. Come dicevo prima: "Se per me inferno è casa, cosa vuol dire per me amore?". Che cosa vuol dire vivere in una casa?

Adesso dove stai?

A Schio, ma di nuovo sto perdendo casa perché è finita una relazione dove vivevamo insieme. Però adesso ho fatto questa esperienza che non facevo da tanto: i miei genitori sono andati via in vacanza e io ho dovuto tenere il loro gattino, Pedro, e quindi sono ritornata nella casa dove sono cresciuta da sola.

Com'è ritornare in questo posto?

Ritornare a Schio è stato bellissimo, bisogna andare lontano per capire veramente dove stanno i tuoi piedi. Io a Schio sono legatissima, è una città che amo immensamente. Questi giorni qua a casa da sola è stato molto particolare, perché erano delle mura che difficilmente sentivo mie. Anche se vorrei tantissimo sentirle.

Riprendo la frase che hai citato prima per farti la stessa domanda: cosa vuol dire per te amore? Perché si sente nelle tue canzoni un rapporto travagliato con questo sentimento.

Io ammiro tantissimo il sentimento dell'amore, è uno dei più rivoluzionari. L'amore è il sentimento più anticapitalista che possa esistere, ora come ora, perché noi viviamo in una società dove siamo costantemente bombardati dal nostro stesso riflesso. L'amore è quell'unico sentimento, oltre alla morte, che sperimenta l'altro. D'altra parte non riesco mai a raggiungerlo o a lasciarmici andare. Come faccio ad annullare me stessa per l'altro, quando io sono l'unica casa, le uniche gambe che ho sempre avuto? Quindi mi incazzo.

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Al di là dell'amore che hai dato, quello che hai percepito in famiglia che tipo di amore è?

Tutta la mia infanzia è stata bellissima perché ho vissuto con mio nonno, che era un contadino. Lui parlava più con gli animali che con le persone, tranne che con me, perché vivevamo insieme, quindi era obbligato. Quello è stato un amore incondizionato, bellissimo. Mi ha insegnato l'amore unilaterale, quello che tu dai senza per forza ricevere niente in cambio. Con i miei genitori è stato molto altalenante. Ho altre due sorelle da due madri diverse e sono molto più grandi di me, quindi hanno un passato ancora più difficile del mio, ho provato tanta rabbia per mio padre per questo. Mia madre invece è una bibliotecaria molto silenziosa, tra me e lei c'è sempre stata una affinità elettiva, però so pochissimo di lei, è estremamente riservata.

Come hai conosciuto Taketo?

Un mio grande maestro è stato Andrea Rodini, il primo a farmi mettere lì a scrivere ogni giorno. Un giorno lui era in studio con Taketo, io gli ho inviato una mia pre-produzione, lui si mette ad ascoltarlo e Taketo fa: "Ma chi è questa?". Io ero nei campi di Schio, ricevo questa telefonata da un numero sconosciuto, rispondo e sento: "Sono Taketo Gohara". "Se, va là!". Non ci potevo credere. "No no sono io, ho sentito la tua demo, hai altre cose da inviarmi?". Gli ho girato una playlist su Soundcloud con una sessantina di brani, dopo un paio di giorni mi ha ricontattata per dirmi che mi avrebbe prodotto il disco.

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Quali musicisti ti hanno segnato di più?

Ho avuto varie epifanie nella mia vita. I primi in assoluto sono i Massimo Volume, il mio primo concerto, avevo qualcosa come 9 anni. Ricordo questo uomo al centro del palco con un cappello enorme in testa e sentivo la cassa della batteria in pancia, stavo malissimo. Sentivo che il mio corpo stava rispondendo a quella cosa. Mi sono fatta portare a casa prima della fine, il giorno dopo mi sono svegliata pensando: "Cazzo, che figo". Non mi ero mai sentita così stravolta da qualcosa. Poi Carmen Consoli, Afterhours, Motta. Di artisti esteri direi Noir Desir, PJ Harvey, Tricky, Angel Olsen, Anna von Hausswolff.

In Come volevi essere canti: "Se c'è un modo di baciare senza crescere". Hai trovato una risposta?

No, non c'è, ogni bacio ti responsabilizza. L'amore ti fotte. Quella canzone nasce dopo che ero tornata a Schio da Milano con la pandemia. Ricordo questa scena in cui mi siedo a tavola e i miei genitori mi chiedono: "Come avresti voluto essere senza la pandemia?". Ma maledetti, è una domanda che ho sempre voluto fare io a voi, com'è che la fate voi a me? Come avrebbero voluto essere se io non fossi mai arrivata? Perché quel baciare da cui è nato il loro amore ha implicato tutto il resto.

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L'articolo Lamante cerca casa di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2023-09-22 13:40:00

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