Eleonora La Monica nasce a Roma un anno prima che cambi il millennio. Crescendo si avvicina al mondo delle rime, che inizia a confezionare con il nome di Leyla. È il momento giusto per farlo: la capitale ha una scena vivida, e, soprattutto, nel rap femminile, dopo anni di belle parole, inizia davvero a muoversi qualcosa, con artiste giovani e di talento che si prendono la scena.
Conosce DeRua, con cui dà vita al duo The Line Punch. Intanto porta avanti anche l'attività solista, ad aprile 2019 pubblica il singolo d’esordio Alberto Sordi, e successivamente, Casinò e Fame. Lo scorso 11 settembre è uscito il singolo Parabellum, antipasto di Viva, il suo primo album (per Honiro Rookies). Che ora Leyla ci racconta.
Com’è stato pubblicare e registrare il tuo primo album ufficiale con una quarantena di mezzo?
È stato difficile, ho iniziato a scrivere prima di firmare il contratto con Honiro a ottobre, ma a settembre ero già in fase di scrittura dei brani. Poi ho continuato a lavorare al disco tutto l'inverno, circa una settimana prima del lockdown avevo appena chiuso tutte le registrazioni. Mi sono ritrovata da un momento all'altro dall'essere sempre in studio, piena di cose da fare a una calma piatta totale. È stato tremendo.
Te lo sei tenuto nascosto in casa finora?
Accidenti, sì! Anzi, in pancia. A chi mi chiede com’è andata con questo disco, rispondo che è stato un parto, nel senso che è stato realmente “procreato” in nove mesi. È stato faticoso, ma, proprio come un figlio, non vedevo l’ora che “uscisse”.
Con Honiro Rookies com’andata?
Ho iniziato a gravitare attorno all'universo Honiro verso il 2018 quando ho vinto il One Shot Game con i The Punch Line. Da lì è iniziata una collaborazione abbastanza frequente, fino a quando mi è stato proposto un contratto: inizialmente avrei dovuto firmare per Honiro Ent, quando poi è arrivato il disco, mi è stato comunicato che sarebbe stato ideale uscire invece per Rookies, uno step successivo. Per me è stata un'emozione assurda. Seguo Honiro sin da quando ero piccola, siamo proprio cresciuti con questa realtà, io e gran parte della scena romana.
Immagino che tu ora abbia una voglia pazzesca di portare VIVA in tour?
Ho una voglia pazzesca di salire sul palco e incontrare le persone che mi stanno scrivendo in questi giorni. È una mancanza devastante, è come se letteralmente non esistesse metà del nostro lavoro. Il disco è importante, la sua lavorazione, le produzioni. Tutto quello che c'è dietro a un album è importantissimo, ma non poterlo condividere veramente con le persone rende tutto un po’ più vuoto. I commenti e le dimostrazioni d'affetto sui social riempiono sicuramente il cuore, ma in questo momento così particolare, la necessità di calore umano è ancora più opprimente.
Hai qualche punto di riferimento, un mito?
Sono una grande amante del rap, però se devo parlare d’idoli, per me, allora, l'unico mito rimarrà per sempre Michael Jackson. Conosco la sua discografia da quando avevo sette anni, mia madre mi ha fatto una testa enorme. Se dovessi invece citarti qualche nome più fresco, ultimamente mi sta piacendo molto Cardi B, Doja Cat. Nicki Minaj un po' meno, ma nella musica è così negli ultimi tempi, non c'è più quell'artista che dici “è lui, lo seguirò per tutta la vita”.
In Italia, invece, quali sono le rapper che ti piacciono?
Mi piace moltissimo Rose Villain, la seguo da tanto tempo, il modo in cui sta leggermente cambiando il suo stile senza snaturarsi mi piace fa impazzire. Sicuramente dobbiamo ringraziare Beba, senza di lei, sono convinta, emergere in questo mondo sarebbe stato ancora più difficile. Come attitudine però mi sento più vicina a Leslie, forse meno conosciuta a livello mainstream, ma sicuramente inraggiungibile a livello lirico.
Hai dedicato un brano a una frase tratta da Dirty Dancing: “Nessuno può mettere Baby in un angolo”. Come mai?
Dirty Dancing è un film femminista. In questi tempi, una frase del genere, anche se detta da un uomo. E alla fine della storia è lei che salva lui. La forza delle donne è sempre stata sottovalutata. E anche ora che qualche cambiamento è avvenuto, abbiamo ancora un bel po' di strada da fare.
Il nome che hai scelto, Leyla, da dove l'hai preso?
Da Mille splendidi soli di Khaled Hosseini, uno dei primi libri che ho letto al liceo. Uno di quei romanzi che ti suggerisce la professoressa, uno dei pochissimi che ho apprezzato tra quelli che mi sono stati consigliati a scuola. L'ho divorato e ho pianto dall'inizio alla fine, è stato un colpo al cuore continuo: Leila (con la i) è un personaggio di una forza inaudita. Un libro che andrebbe letto da tutti.
VIVA è un disco molto sincero e personale, il rap sta diventando più romantico e introspettivo?
Sta scomparendo quell'idea secondo cui il rap deve essere per forza uno scimmiottare l'America. Negli USA ha senso parlare di gang e argomenti simili, qui in Italia sinceramente non ci crede più nessuno. Il rap ha tante potenzialità, ha tante cosa da dire, per fortuna ci stiamo allontanando da quei cliché, finalmente parlare di rap italiano inizia ad avere un senso forte. È facile parlare di cose che non ci appartengono, è molto difficile esprimere le proprie emozioni, sono in pochi quelli che lo fanno, soprattutto quelli che lo fanno bene.
Alla fine Leyla è una dura o una tenera?
Io sono una tenerona. Forse perché cerco di sopire la mia aggressività nelle canzoni, ho scoperto che nella vita non è che serva poi così tanto. Mostro entrambe le facce della medaglia, non voglio mostrare un solo lato di me perché “fa più figo”, preferisco raccontarmi per quella che sono.
Sei soddisfatta, ti senti VIVA?
Io penso di non essermi mai sentita così, finalmente ho la possibilità di vedere i frutti del mio lavoro, ho faticato tantissimo e ora sono veramente contenta. Quando è uscito il disco per me è stata una liberazione, e sì sono VIVA!
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L'articolo Leyla: il mio rap femminista (come "Dirty Dancing") di Carlotta Fiandaca è apparso su Rockit.it il 2020-10-28 16:38:00
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