Ho passato una serata in sua compagnia, nella confortevole tana napoletana in cui lavora.
Intorno a noi mentre parliamo ci sono una chitarra, un giradischi e dei vinili, tanti pass tra cui quello di Sanremo, un busto di San Gennaro e un quadro con uno dei Vesuvius di Andy Warhol affisso al muro. L’artista simbolo della pop art, parlando della serie di 18 opere dedicate al vulcano campano, disse “Per me l’eruzione è un’immagine sconvolgente, un avvenimento straordinario ed anche un grande pezzo di scultura […] Il Vesuvio per me è molto più grande di un mito: è una cosa terribilmente reale.”.
Qualsiasi napoletano si troverà d’accordo con lui pensando all’immagine evocativa di questa minaccia sempre presente con cui i partenopei sono abituati a convivere in cambio di uno splendido panorama. Così come quel quadro è stata la carriera di Livio negli ultimi mesi: in eruzione, emozionante, colorata, reale.
Nel tempo passato insieme abbiamo parlato del simbolo copertina di Montecalvario, un ex voto a forma di cuore, di Nino D’Angelo e Sanremo, di Napoli e della sirena Partenope, dei talent, della street credibility, di un paio di santi (scaramanticamente inneggiati come portafortuna in un mix di sacro e profano tutto napoletano) di come trasformare l’ansia in emozione positiva e , off record, perfino del doppiaggio del Re Leone.
Come mai hai scelto il cuore/ex voto come simbolo di Montecalvario?
Sono sempre stato legato a questo simbolo, perché in una chiesa di Napoli non lontana da casa mia in cui entravo spesso da piccolo ne vedevo tanti e mia madre mi ha spiegato poi che si tratta di ex voto, associati alle richieste di grazia.
Sei uno dei pochi che si crea la fanbase sul territorio, andando a suonare in maniera capillare in giro per l’Italia e a breve anche in Europa.
Sembra quasi strano ora, ma i musicisti sono sempre stati abituati a fare promozione andando a suonare dal vivo. Preferisco fare concerti e vedere di persona come e quanto funziona la mia musica; lo preferisco anche alle ospitate nei club dove la gente difficilmente si ritrova lì per te, ma è più nel mood “clubbing”. Spesso conosco persone in altre città che, incuriosite da una canzone, vengono al concerto per approfondire. I live sono sempre una sfida, lo saranno ancora di più all’estero. Sarò a Bruxelles e Parigi a breve così da chiudere in bellezza questi mesi importanti per me. E’ stato un anno intenso, posso fare sempre di meglio, ma sono soddisfatto. Dopo aver calcato il palco di Sanremo anche la dimensione del live è cambiata per me, gestisco bene l’emozione e l’adrenalina. Quando quest’anno ho aperto e chiuso le Universiadi di Napoli cantando allo Stadio San Paolo: mi sono ritrovato davanti uno stadio iconico pieno di gente con i telefoni illuminati per fare un video della mia esibizione e non ho provato ansia, solo una scarica di adrenalina incredibile.
Quest’anno è iniziato con la tua partecipazione a Sanremo insieme a Nino D’Angelo, raccontaci come è andata.
“Un’altra luce” non è nata per il Festival. Ci tenevo molto perché la sentivo una canzone diversa, come qualcosa che avrei potuto far avvicinare solo da un Maestro. Quando ho avuto modo di creare la connessione con Nino e l’abbiamo registrata, lui stesso mi ha detto che era il brano perfetto per andare a Sanremo. Nino è una leggenda della musica italiana, mi ha presentato tutti e mi ha dato l’opportunità di farmi vedere sotto una luce diversa. Ne ha anche approfittato per passarmi il testimone su un palco così importante. Uno di quei palchi che rispetto molto e che ha ancora uno spessore, non come quelli dei talent in cui il focus è sull’intrattenimento televisivo e non sulla musica. I talent sono contesti in cui al concorrente conviene andare già con un piano sul “dopo” consapevole di essere all’interno di uno spettacolo che potrebbe esaurirsi in breve tempo. Una cosa che a distanza di tempo mi inorgoglisce è che per la gente io non sono più “Livio di Sanremo”, ma da allora a oggi ho dato modo di farmi conoscere di più con altri brani come “A casa mia”. Il dopo Sanremo è stato difficile, confermare sia i numeri che il legame creato con la città è stata una sfida che ritengo vinta. Sono contento.
Mi parlavi dei talent: ora che questo mondo si sta avvicinando anche al rap e a un mondo più simile a te, ti vedresti in un futuro come giudice?
Non mi reputo capace di giudicare un altro artista. L’arte è soggettiva e magari ci si potrebbe trovare in un momento in cui non sia ha la totale visione di ciò che si sta giudicando. Immagina se qualcuno avesse proposto la trap 40 anni fa in un talent e qualcuno l’avesse giudicata male fermandone la crescita, ora ci ritroveremmo senza un pezzo di cultura contemporanea.
Hai scelto di utilizzare il napoletano come lingua da subito o ti è venuto con il tempo? E come è iniziato questo percorso nella musica?
Quando ero proprio agli inizi, ti parlo di quando avevo 15 anni, mi è venuto spontaneo rappare in napoletano, poi nel tempo puntando alla comprensione ho deciso di usare l’italiano. Per un breve periodo ho scritto anche in inglese, perché lo parlo come seconda lingua, ma ho ripreso il napoletano quando alla fine del 2016 mi hanno chiamato per Gomorra e ho deciso di accettare sia per l’esperienza in sé sia con l’idea di comporre qualcosa per la colonna sonora. Nel gennaio 2017, quando sono stato preso nel cast di Gomorra, abitavo a Milano. Il ritorno a Napoli mi ha sorpreso al punto di essere come uno schiaffo in faccia, la città mi è ritornata tutta addosso ed è stato automatico per me scrivere “Surdat” in napoletano. Ci ho preso tutte le mie esperienze e le ho condensate in un pezzo. L’ho registrata in Inghilterra con Tommaso Colliva, un produttore che ha vinto un Grammy con i Muse. In questa canzone ho investito tutti i miei risparmi e mi è andata bene, perché è stata presa nella colonna sonora della serie e da lì è iniziato tutto. Durante la registrazione di Gomorra avevo già scritto altre canzoni, con in mente un ep di 5 pezzi, ma alla fine ho aspettato di fare un album quando è subentrata la collaborazione con Nino D’Angelo e la notizia di Sanremo. Io ho sempre avuto pazienza nelle cose, a volte è meglio pazientare un po’ in più per ottenere un risultato migliore. Sia la lingua napoletana che la dedica a Montecalvario non significano che io faccio solo questo e sarò solo questo, ma sono un omaggio al punto da cui sono partito, una dedica a casa mia.
Napoli che è anche al centro di un nuovo tipo di narrazione nell’ultimo periodo, in cui ti inserisci perfettamente.
Napoli è un punto di partenza, sempre all’avanguardia. Ci sono degli eventi ciclici che mettono ogni tanto alla luce questa sua caratteristica. Nel pieno degli anni ‘70 e ‘80 con Pino Daniele, Napoli Centrale, James Senese era un polo musicale; lo è stata anche nei ‘90, per quanto riguarda la cultura urban, con i 99 Posse, la Famiglia, Speaker Cenzou, i Co’ Sang. Ora siamo in un momento di nuovo rinascimento culturale: Clementino, Luché, i Nu Guinea, Liberato, stanno facendo ritornare la luce sulla città.
Da pochi giorni è uscito il remix del tuo ultimo singolo con Coco “Adda Passà”, come mai hai scelto questa canzone?
Questa canzone non ha la struttura per essere un singolo, ma ci tenevo molto a valorizzarlo perché è legata a delle situazioni e a un periodo dell’anno a cui tengo particolarmente. A volte, seguendo le dinamiche di mercato, si perdono alcuni brani a cui gli artisti tengono dal punto di vista emotivo, ma io penso che a costo di non fare per forza delle “hit” sia giusto far sentire a chi mi ascolta anche quali sono i pezzi in cui credo al di là di ogni logica di mercato. Ho questa amicizia con Corrado da tempo e abbiamo deciso di lavorare insieme al remix. Anche con Samurai Jay tutto è nato dall’amicizia: Samurai Jay è molto in gamba, è un chitarrista molto bravo ed è una persona che mi piace molto, per questo mi è venuto naturale lavorarci per “A casa mia”.
A proposito di scrittura di canzoni, in alcuni testi fai degli accenni all’utilizzo dei social network, strumenti che ormai accompagnano la nostra vita anche nelle relazioni sentimentali e nelle relazioni artista-ammiratore. Come ti trovi a gestire direttamente i tuoi social network e che ne pensi dello strumento in genere?
I social network spesso ti portano a fingere di essere in un certo modo, il mercato musicale ti costringe a entrare in alcune dinamiche. E’ una cosa che io non faccio e starci a contatto a volte mi affatica. L’aspetto positivo è il contatto diretto con le persone che mi seguono, di cui sento l’affetto. In generale comunque per trasmettere qualcosa come artista, se vuoi essere te stesso, devi essere coerente. Una volta spenti i social, se vieni a vedere chi sono io veramente, soprattutto essendo legato molto alla cultura urban, non puoi ritrovarmi diverso da come mi rappresento online. Se vieni a fare un “check” su di me, trovi esattamente ciò che vedi nei video, ciò di cui mi senti parlare nelle canzoni, è una cosa a cui tengo molto. Sono fiducioso sul fatto che questo traspaia. Al di là del marketing e dei social media comunque, se le canzoni funzionano, se c’è la melodia, riescono a toccare il cuore della gente.
Possiamo aspettarci un nuovo disco a breve?
Ho già un concept in mente, nel momento in cui deciderò di mettermici mi basteranno, credo, pochi mesi. Spegnerò tutto e mi ci dedicherò, ma non voglio ancora darmi una scadenza perchè sto riflettendo molto su ciò che faccio musicalmente e ciò che dico, non mi sento spinto per forza dalla necessità di fare uscire un pezzo al mese, ma preferisco scegliere di fare le cose come dico io. Intanto comunque sto scrivendo anche per altri artisti, di cui non posso ancora parlare, ma di cui saprete a breve.
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L'articolo Livio Cori: "Non sono un tipo da talent, l'arte è sempre soggettiva" di CristinaFontanarosa è apparso su Rockit.it il 2019-11-06 15:02:00
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