Via Tucidide 56 a Milano è un luogo che abbiamo imparato a conoscere bene. Da fabbrica di ceramiche a sorta di isola artistica alla periferia della città, posto magico in cui si trovano studi di registrazione, show room, studi di fotografia e quant’altro. C’è chi ci vive in Tuci, come viene amabilmente soprannominata, chi gira delle bellissime live session nel proprio loft, ed è facile incrociare più di qualche musicista una volta varcato il cancello di ingresso. Quale posto migliore per fondare un’etichetta discografica? È proprio qua, nella loro sede, che abbiamo incontrato Francesco Frigerio, Matteo Colciago e Ludovica Borzelli, tre amici conosciutisi conosciuti al master di editoria e produzione musicale in IULM e fondatori di Salad Days Records, label che ha trovato un tesoro sommerso nella discografia italiana: il lo fi.
Non stiamo parlando del lo fi in senso ampio, quindi dell’attitudine DIY di registrare alla bene e meglio la propria musica con scarsissimi mezzi, ma di quella nicchia proliferata su internet – in particolare su SoundCloud – negli ultimi anni. Un termine ombrello che si identifica per lo più con una musica da sottofondo dal suono sporco, con l’effetto grattato del vinile, sample jazz, bpm rallentati ed echi hip hop, quei “beats to relax/study to” diventati virali grazie alla ragazzina di profilo con la testa china sui libri, il cui nome è, guarda caso, Lo Fi Girl. E di cui si trova un modellino proprio nel loft che Francesco, Matteo e Ludovica utilizzano come quartier generale.
“È partito un po’ per gioco”, spiega Francesco. “Eravamo a casa, durante il primo lockdown, e Matteo e io ci siamo divertiti a fare dei montaggi su YouTube con l’allora presidente Conte che parla su dei pezzi lo fi. Visto che i video hanno iniziato a girare un po’, un sacco di producer ci hanno contattato. Semplicemente parlando con quelli che ci avevano scritto abbiamo scoperto chela lo fi è un genere fatto da tantissimi italiani”. Artisti come Enra, Camomilla, Slowheal, XXIII, H.1, Laazy, dai centinaia di migliaia di ascolti sulle piattaforme e, allo stesso tempo, ben nascosti sotto la superficie.
Aggiunge poi Matteo: “Prima è nata Bonsai Publishing, società di edizioni. Questi ragazzi dal punto di vista del diritto d’autore non sapevano nulla, quindi serviva qualcuno che li aiutasse”. Chiude Ludovica: “Abbiamo avuto la fortuna che fosse un aspetto totalmente scoperto, siamo arrivati al momento giusto. E soprattutto siamo riusciti a stringere un rapporto stretto con loro, che spesso sono ragazzi molto diffidenti”, dice Ludovica.
Da qua il trio inizia a esplorare i meandri di una nicchia dal potenziale incredibile. “Quando abbiamo iniziato a parlare con questi ragazzi, sono rimasto davvero colpito dal fatto che si possa creare un modello sostenibile per fare musica da indipendenti, visto che questi guadagnavano solo dagli stream”, racconta Francesco. In effetti è abbastanza un’utopia, nel mercato discografico di oggi, riuscire a trarre un guadagno decente dalle piattaforme di streaming, ma la lo fi proprio per come nasce permette un ascolto prolungato e ripetitivo, anche per 5-6 ore consecutive. Un’abitudine d’ascolto che l’algoritmo sta imparando ad assecondare. Si tratta di un sottofondo gradevole, una sorta di rumore bianco che invece è color arcobaleno, che permette di nascondersi sotto la superficie, senza diventare invasivo. Ludovica mi fa anche vedere un canale YouTube di “studio condiviso”, in cui un ragazzo si filma per ore mentre è concentrato a studiare, come supporto per chi sta cercando di fare la stessa cosa in camera sua. In sottofondo, ovviamente, chill lo fi per aumentare il focus.
Ed è un po’ questo il mio “problema” con il genere. Per come la percepisco io, la lo fi rimane indietro, è come se la tanto bistrattata musica per ascensore venisse sdoganata, trovasse una dignità che per il mio modo di ascoltare e vivere la musica non riesco a comprendere. Mi aiuta Francesco a entrarci più dentro: “È evidente che la componente funzionale della lo fi sia intrinseca: è pensata e viene realizzata per fare compagnia, per essere ascoltata in maniera passiva. Però io ascolto anche Dua Lipa in maniera passiva, non è il genere in sé a fare la differenza. Poi c’è un livello di ascolto diverso dove ti rendi conto che l’essenza cinematica della lo fi riesce a farti fare un viaggio, riesce anche ad arredare quello che stai facendo. Se la ascolti mentre stai leggendo un libro enfatizza la situazione in cui ti trovi, oppure se la ascolti dopo una giornata stressante le frequenze e i bpm riescono a calmarti. E poi ascoltandone tanta ti rendi conto che è un genere difficilissimo da “maneggiare”, devi essere un polistrumentista fatto e finito. Più la ascolti con cognizione di causa e più ti prende”.
Una sorta di implementazione della realtà, un supporto per amplificare le sensazioni che stiamo vivendo, quindi. Sono già più intrigato rispetto all’innato scetticismo friulano che cercava di annebbiarmi la mente. Per esempio, si può portare dal vivo un genere simile? L’impressione è che sia prettamente un’esperienza d’ascolto domestica, in un ambiente controllato e tranquillo, mi è difficile immaginarmi portare questo mondo dall’online all’offline. Ed è proprio qua che Salad Days sta lavorando con il suo format Salad Sundays, un aperitivo musicale con esibizione degli artisti dell’etichetta. “Nasce prima di tutto come festa di inaugurazione della label, non ti nascondo che è stato anche abbastanza faticoso gestire la logistica di 15 producer che vengono da tutta Italia”, commenta Francesco. “L’idea è quella di implementare il dj set con delle parti suonate dal vivo dai ragazzi, realizzare dei visual appositi, anche strutturare bene il live per valorizzare le particolarità dei singoli artisti”.
In realtà è un tipo di live che sta già prendendo piede. In Nord Europa, per esempio, la lo fi ha un pubblico affezionato, fa aggregazione, è uno show che riesce a far uscire gli artisti dalla cameretta e metterli sul palco. Che può sembrare una cosa banale, ma è l’ostacolo più grosso per i producer lo fi: “Tanti di loro non avevano mai fatto un dj set, la maggior parte di loro non aveva mai fatto un live set. Già quello era un bello scalino da superare”, evidenzia Matteo. Senza contare le contaminazioni col pop più da classifica, vedi per esempio il successo dideath bed (coffee for your head) di Powfu e beabadoobee, che stanno portando sempre più fuori il lo fi dalla sua nicchia (per modo di dire).
E ora che Salad Days ha iniziato a costruire una buona reputazione, che il mondo attorno se ne sta accorgendo e, soprattutto, che il progetto si sta rivelando sostenibile all’interno del mercato discografico – impresa titanica –, c’è l’intenzione di alzare l’asticella. “L’idea è che questo poi diventi una base solida su cui poi costruire progetti a fondo perduto, in cui ti puoi permettere di rischiare di più”, rivela in chiusura Francesco. “Questo sarebbe un cuscino su cui appoggiare i nostri sogni, puoi lavorare senza avere la foga o l’ansia di avere successo subito”.
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L'articolo Lo fi ma col botto di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2022-06-07 15:00:00
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