Sostanzialmente due amanti delle colonne sonore che si trovano al telefono e chiacchierano. Parlano di registi, di film, di compositori, di orchestre, accordature, spartiti, fino ad arrivare al peso culturale che ha la musica in Italia confrontato con il resto d'Europa. Uno è una star mondiale con quasi un milione di copie vendute, l'altro è un metallaro che ascolta di tutto, con molte band all'attivo, sicuramente un punto di riferimento per una particolare fetta della musica italiana. Ludovico Einaudi nell'intervista di Bruno Dorella.
Parto con una domanda di interesse personale: in un mondo di primedonne uno come lei, che è vicino al milione di dischi venduti e che riempie la Royal Albert Hall, sembra essere invece una persona disponibile, vera, persino riservata. Mi sembra una caratteristica dei "veri grandi" quella di non essere artefatti e di essere spesso più informali e disponibili di quanto si pensi. È una questione di carattere o lavora sul proprio ego?
Diciamo che è una questione di carattere, e poi devo dire che non mi interessa tanto quell’aspetto, mi interessa occuparmi del mio lavoro e farlo al meglio che posso, mi dedico a quello e non penso ad altre cose. Che poi il lavoro abbia una diffusione e tutto stia andando bene mi fa piacere, perché dà una prospettiva positiva a quello che sto facendo, però sono sempre immerso nella musica e non mi interessa tanto il resto.
Ha a che vedere con le sue origini piemontesi?
Sì è possibile, siamo di solito gente riservata, sobria, che pensa più al lavoro che al resto.
Una cosa che mi incuriosisce molto delle colonne sonore è il rapporto tra regista e musicista. Come si risolve questo incontro/scontro di ego? Come risolvete le eventuali incomprensioni o addirittura divergenze?
Come tutte le forme di collaborazione è questione di ascoltarsi a vicenda. Da parte mia vuol dire cercare di capire quali sono le esigenze e interpretarle. Talvolta possono essere diverse dal mio punto di vista iniziale, ma a volte si modificano e possono approdare a risultati che io non avevo previsto, che possono essere interessanti e persino migliori di quelli a cui avevo pensato io. Per cui è un lavoro di relazione, e come tutte le relazioni ce n’è di più facili e difficili, o a volte possono non funzionare del tutto, ogni tipo di esperienza ha i suoi risultati e le sue connotazioni diverse, proprio perché le persone in ballo sono diverse.
Ci sono esempi illustri: il primo film di Cassavetes fu affidato a Mingus, ma la cosa non funzionò. Tuttavia tra i brani scritti all'uopo ce n'erano alcuni che rimasero a lungo nel repertorio del contrabbassista.
Sì sì, credo che poi sia un caso piuttosto frequente, soprattutto ad Hollywood oggi, nelle grandi produzioni, credo succeda spesso che, a partitura finita e musica registrata, si cambi completamente intenzione e un musicista anche illustre venga comunque pagato, ma poi sostituito con un altro.
Clamoroso anche il caso di "2001 Odissea Nello Spazio", per cui fu chiamato Alex North che si presentò addirittura alla prima del film, per poi scoprire lì per lì che nessuna sua composizione era stata utilizzata, e che invece erano stati usati i celeberrimi temi di Ligeti, Strauss ecc.
Lei registra dei provini? Lavora di preferenza sul film già montato o segue le varie fasi della lavorazione?
Dipende, in alcuni progetti (per esempio "Sotto Falso Nome" di Andò) tutto viene fatto al millimetro, con il film già montato. In quel caso sono stato chiamato a sostituire un altro con cui avevano iniziato a lavorare, ma con cui la collaborazione non aveva funzionato e io ho lavorato con provini nei quali anche la parte orchestrale era tutta simulata. Poi, in seguito, tutta la partitura è stata risuonata dall’orchestra.
Le capita di suonare il tema dal vivo, in presenza del regista?
Dipende dal tempo che si passa insieme, ad esempio con Piccioni ci siamo trovati tante volte insieme a provare delle cose con il pianoforte. Mi è capitato anche di registrare con l’orchestra seguendo la scena, guardando il film. Quando feci "Dottor Zivago" con Campiotti c’era una scena molto lunga e difficile da realizzare, perché era un movimento molto lento che cresceva ed andava fatto col film, non c’era la possibilità di fare dei tagli, c’era anche un’accelerazione del tempo e quello l’ho fatto dirigendo e guardando il film. Altre volte ho suonato il piano con l’orchestra e con il film che scorreva. In questi casi il “take” di registrazione è da fare per intero, con la musica eseguita correttamente e i tempi che vanno a coincidere con la durata della scena.
Lei è tra coloro che stanno permettendo ai diversi tipi di musica di mischiarsi, e credo che sia una cosa auspicabile nonché un processo insovvertibile. Visto che siamo su Rockit e, pur trattando di diversi generi, Rockit ha un certo occhio di riguardo per l'indie-pop-rock, può dirci cosa l'ha colpita di recente in questo ambito?
Ultimamente direi di no, e questo devo dire un po’ mi dispiace, perché è sempre bello sentire della buona musica. Non dico che ci sia della cattiva musica, ma non mi sembra sia un momento in cui sia nato qualcosa di particolare rilievo. 10 anni fa usciva un gran disco dei Radiohead (credo si riferisca a uno dei dischi tra "The Bends", "OK Computer" e "Kid A", usciti in realtà molto più di 10 anni fa, ma citati in molte sue interviste tra i dischi rock più amati, NdR) e c’era un mondo ricco, con delle innovazioni, di spessore, con caratteristiche di emozione, complessità, ispirazione. Adesso non ho individuato delle cose che mi abbiano colpito in modo particolare. Ma può darsi che non le abbia scoperte io e che ci siano, non si può ascoltare tutto e tra quello che ho sentito ci sono delle cose di qualità, ma è qualcosa che rimanda a qualcos’altro che è già stato fatto, non si aprono nuove porte. Ci sono gruppi molto bravi, dal punto di vista musicale e tecnico, però non sento delle grandi ispirazioni dietro.
Naturalmente mi piacerebbe sapere se qualcosa l'ha colpita di recente anche in altri ambiti, visto che frequenta abitualmente anche world music, jazz, elettronica, e naturalmente la cosiddetta "classica".
La scena elettronica qualche anno fa mi aveva colpito molto col lavoro di Alva Noto, anche quello con Sakamoto. Dopo quell’esperienza non ho sentito recentemente cose che mi abbiano particolarmente incuriosito. C’è questa nuova scena di pianisti del nord Europa, l’islandese Olafur Arnalds, Dustin O’Halloran (ex Devics, che vive a Berlino, NdR), tutta una scena che forse nel nord Europa è seguita in un contesto più elevato culturalmente. Tutto fa più fatica a crescere qui, rispetto ad altri Paesi che frequento come la Germania o l’Inghilterra. La musica è l’ultima ruota tra gli interessi di questo Paese poco evoluto culturalmente.
Dispiace sentirle dire questo. Visto che deriva dalla sua esperienza diretta, lo prendo come un dato di fatto...
Deriva dalla mancanza di educazione musicale che c’è nelle scuole, è tutto un humus che manca... Basta andare poche ore a Berlino: ci sono 5 orchestre sinfoniche, teatri d’opera, club dove si fa ogni tipo di musica, un contesto più favorevole. Qui le cose bisogna proprio cercarsele e non sempre è facile farle. È un’abitudine culturale, e questo è il risultato.
A conferma di quanto detto cito le sue contaminazioni con l'elettronica (Robert Lippock, To Rococo Rot), la world music (in particolare la musica del Mali e Ballakè Sissoko, ma anche Gasparyan e Rodrigo Leao), il jazz (Fresu). Cosa aggiunge questa curiosità onnivora alla sua musica?
È l’occasione di aprire la mente, di imparare delle prospettive diverse, è un modo per crescere e confrontarsi, per introdurre nuove esperienze. Fa sempre bene. È un’alternanza al lavoro in solitudine. Ogni tanto è bello scambiarsi idee, ispirarsi a vicenda con una collaborazione, e si può fare con la musica senza barriere di linguaggio. La musica ti permette di comunicare con tutti.
Veniamo dunque a questo progetto di remix di "In A Time Lapse". I risultati sono spesso davvero interessanti e sorprendenti. Come è partita l'idea e come si sono sviluppate le collaborazioni?
Il lavoro è nato attraverso proposte che sono arrivate e sono state valutate strada facendo, senza peraltro avere la pretesa di dover condividere ogni lavoro al 100%. Personalmente penso che il lavoro di remix sia un’interpretazione da parte di qualcun altro, dando una nuova veste ad una musica, combinandola in modo creativo con l’apporto di un altro musicista. Questo poi non significa necessariamente che io avrei fatto così ogni remix, ma è proprio quello che mi piace: che ci siano delle cose che non avrei potuto immaginare, magari alcuni suoni che personalmente non avrei previsto o utilizzato. Il bello è che ci siano dei modi di vedere diversi e mi sembra che in questo caso sia venuta fuori una combinazione di prospettive musicali abbastanza differenziate, con alcuni lavori che mi piacciono in modo particolare, come i remix di "Experience" fatto da Starkey, così come trovo invece interessante l’interpretazione più minimal data da Lippock. Poi c’è il brano di Greta Svabo Bech che è fondamentalmente una canzone fatta su "Experience", che trovo anche un esperimento riuscito. Mi piace l’idea che la musica possa avere una vita che continua al di fuori di chi l’ha composta. È il bello della musica, si trasforma sempre, diventa altro, e questo è il mio punto di interesse in questa operazione.
Quindi ha lasciato piena libertà ai musicisti?
Assolutamente, non ho interferito in alcun modo, tranne con Greta, con delle piccole indicazioni di forma, una cosa molto limitata, niente di perentorio da parte mia.
Molte sue composizioni sono dichiaratamente ispirate da opere d'arte, viaggi, eventi. Non c'è soluzione di continuità tra vita e musica, tra passione e lavoro?
No, direi di no. La mia vita ruota intorno a questa cosa, quindi tutto ciò che avviene nella mia vita fa parte di una passione, e tutto diventa fonte di ispirazione.
Purtroppo non ho modo di farle ascoltare dei brani e chiederle un parere, cosa che mi sarebbe piaciuta molto. Le chiedo se conosce il lavoro di alcuni compositori di colonne sonore, non tutti "a tempo pieno". Un paio di colonne portanti nel "gusto" degli indie rockers: "Dead Man" di Jarmusch (colonna sonora strepitosa di Neil Young)...
È una colonna sonora che ho amato subito perché se non sbaglio è un unico brano che ricorre per tutto il film. Non ricordo esattamente le modalità con cui l’ha fatta, ma mi piaceva molto il risultato e questa scelta radicale di creare un’atmosfera suggestiva ed omogenea, tutta intorno a un tema. Una scelta felice ed un risultato originale. Un’altra colonna suonata sul film era quella di "Ascensore Per Il Patibolo" fatta da Miles Davis.
E il lavoro di Badalamenti sui film di Lynch?
Lo conosco da "Twin Peaks" a "Mulholland Drive". Oltre al lavoro di Badalamenti che mi piace molto (anche se non so di recente cos’abbia fatto) mi piace anche il lavoro che Lynch faceva, credo con un ingegnere del suono, amplificando suoni reali che diventavano come degli elementi musicali dentro il film. Mi sembrava molto efficace e potente.
Riferisco due affermazioni fatte da un collega specializzato in colonne sonore e gliele pongo come domanda. La prima è: è vero che per lavorare nel mondo delle colonne sonore bisogna trasferirsi a Roma?
Diciamo che in un certo periodo felice del cinema italiano molte produzioni erano fatte a Roma. Forse è così anche oggi e se uno si vuole dedicare a quello in modo seriale è probabile che a Roma abbia più occasioni di frequentare un mondo legato al cinema. Personalmente io, facendo altre cose, non sono forse la persona giusta per rispondere a questa domanda, e come lei sa non sono mai andato a stare a Roma, ho percorso un’altra strada.
La seconda è: è vero che quello delle colonne sonore è un mondo di pianobaristi?
Mah... è possibile che ci sia qualcuno che viene da quella scuola e personalmente non ci vedo niente di male, ci sono bravi musicisti che suonano in bar o alberghi (ricordo una pianista bravissima in un albergo di Atene, con una cultura musicale incredibile), però mi sembra un’affermazione che lascia il tempo che trova. Nino Rota ha fatto grandi colonne sonore e ha tutta un’altra storia. Non riesco neanche a capire bene il senso di questa affermazione.
Recentemente mi sono interessato all'accordatura aurea. Ha mai suonato o ascoltato una partitura suonata a 432 Hz?
Ho ascoltato qualcosa però non dal vivo. Qualcuno ha fatto anche una trasposizione di un mio brano a 432, forse elettronicamente, e il risultato non mi aveva colpito, suonava solo tutto più strano.
Potrebbe essere un’esperienza interessante proporre delle esecuzioni a 432?
Potrebbe essere interessante, vorrei sentire l’effetto per capire, non saprei.
Perché secondo lei ha avuto un successo così istantaneo, nonostante fosse voluta da Hitler e avversata ad esempio da Verdi? Forse per praticità?
Forse... Adesso tra l’altro c’è una tendenza a suonare ancora più alti, 442, che personalmente trovo un po’ esagerata, preferisco il 440. Dovrei ascoltare il 432 e magari mi innamoro di quello...
Recentemente la Sony ha acquisito il catalogo della Cramps, e pare sia intenzionata a pubblicare tutto in special price. In questo catalogo ci sono anche i suoi esordi con il gruppo prog-rock-fusion Venegoni & Co. Che ricordo ha di quel periodo e di questa etichetta veramente storica?
Era un periodo molto vivace, in cui anche Milano permetteva incontri, incroci, la possibilità di accogliere delle sperimentazioni che oggi sono più difficili da creare, delle situazioni molto alternative e indipendenti, festival che erano aperti alle esperienze più disparate ed anche estreme. La Cramps raccoglieva parte di queste esperienze, dagli Area alla musica contemporanea (anche Cage) ed era in quel periodo l’unica etichetta in Italia che proponeva queste musiche e aveva dunque un suo valore. Ma se devo paragonare la Cramps all’ECM scelgo l’ECM, perché ha poi continuato con un lavoro più profondo.
Tanti oggi piangono la fine del mercato discografico, del supporto, dimenticando che quella del supporto è una storia lunga circa un secolo, mentre quella della musica è parecchio più lunga. Oltre alla tradizione orale e alle esecuzioni del vivo, la musica è circolata per secoli in forma scritta. Oggi pochissimi leggono la musica, anche tra musicisti e addetti ai lavori. Crede che il medium, il modo in cui la musica viene fruita, influenzi la composizione e percezione della musica stessa? C'è una bella differenza tra leggere uno spartito e immaginare, ascoltare un mp3 in bassa qualità o assistere ad un concerto dal vivo? Questo influenza il compositore?
Il mezzo ha sempre influenzato la creazione. Penso alle Messe composte nel '600-700. Bach o Mozart dovevano tenere conto dei tempi della funzione, così come un concerto per pianoforte e orchestra doveva rientrare all’interno di un programma con una certa durata. I dischi in vinile avevano a loro volta una durata dipendente dal contenitore, quando poi si è passati al cd la creazione è raddoppiata perché c’era a disposizione un contenitore diverso, col doppio dello spazio. Oggi che non ci sono più contenitori obbligati, che si può pubblicare in digitale un brano di qualunque durata, mi sembra che ci siano delle forme musicali che sono in qualche modo rimaste immutate, ad esempio la forma-canzone che dura tra i 3 e i 4 minuti. Vedremo le conseguenze di questi cambiamenti nel futuro, quando si creeranno nuove prospettive, nuovi formati. Non ci sarà più l’idea di doversi adattare per forza a un tempo limitato. Poi c’è l’esperienza dal vivo, che è un’altra cosa ancora.
Il suo Live from Home può considerarsi un passo verso una nuova forma di fruizione della musica?
Quello è stato un esperimento che, per quello che mi riguarda, è stato molto interessante, ed ha avuto dei risultati di partecipazione e ascolto assolutamente imprevisti. È nato come un esperimento tecnologico (provare a utilizzare la rete per un evento live) e penso sia interessante cimentarsi con progetti che sperimentino le possibilità tecniche del nostro tempo.
Un live registrato senza pubblico, in casa, e poi messo a disposizione di centinaia di migliaia di click sulla rete..
Be', in questo senso è stato anche interessante partecipare all’iTunes festival, che è stata una cosa ancora più grande. Lì c’era il pubblico, ma poi c’è stato un pubblico molto più numeroso su scala mondiale che ha seguito l’evento in rete.
Dall’altra parte, lei stesso ha composto anche musiche che esistono come spartito e vengono eseguite dal vivo, ma non sono mai state registrate, sbaglio?
La maggior parte delle musiche che ho pubblicato per pianoforte sono state registrate. Ce ne sono altre, partiture di brani con organici diversi, o orchestra, che invece non sono mai state registrate.
Quasi un legame tra futuro (un concerto per youtube) e passato (la musica scritta su carta, mai registrata)
Ogni tanto li guardo, sto mettendo in ordine il mio archivio, prima o poi mi piacerebbe registrarle e rivederle.
A proposito di medium, lei ha lavorato per teatro, danza, cinema, pubblicità, ha un contesto preferito a cui abbinare le sue composizioni?
No, diciamo che ovviamente teatro e cinema sono mezzi potenti e interessanti da esplorare, poi personalmente dedico la maggior parte del mio tempo all’attività concertistica e a scrivere per me e il mio gruppo. Ma non escludo di continuare a lavorare in questi contesti.
"Time Out", disco del 1988, sembra ancora memore dell'esperienza con Venegoni & Co. 4 anni dopo esce "Stanze", un disco che, sebbene composto per arpa elettrica, ci fa già intravedere quello che sarà il futuro stile di Ludovico Einaudi. Cosa è successo in quei 4 anni?
"Time Out" era un lavoro di liberazione in cui cercavo di capire come ripartire dopo esperienze importanti ma che non mi corrispondevano in modo totale, quelle con il conservatorio, l’avanguardia, Berio (il suo maestro, NdR) ecc. Riprendevo in mano il mio passato e provavo a capire come tutti questi elementi potevano stare insieme. Con "Stanze" invece c’è stato un lavoro più meditato, ho cominciato a togliere tutte le cose che avevo messo dentro "Time Out", che forse erano troppe. Quindi è stato un lavoro di sottrazione, di ricerca di un linguaggio più essenziale che però potevo controllare in modo più preciso. Una ricerca di pulizia, la definizione di uno spazio che prima era troppo affollato. Come quando si entra in una stanza e ci sono troppe cose, troppi elementi, e si comincia a togliere per arrivare ad un equilibrio che la rende precisa..
Davvero le mani non tremano davanti alla Royal Albert Hall tutta esaurita?
No, in quel caso devo dire che mi sono trovato in una situazione di pieno controllo di quello che stavo facendo. Non l’avrei detto (ride, NdR), ma quella serata è riuscita molto bene, nonostante ci fossero, oltre alle 5000 persone, tanti altri impegni di contorno, come la ripresa di un dvd. Ero sottoposto a tante prove ma mi ero preparato bene. Direi che è andata alla grande.
Pensando alla sua musica per "Aprile" di Nanni Moretti, mi viene da chiudere chiedendole se e come l'hanno colpita i fatti recenti di politica interna, che paiono chiudere quella vicenda politica iniziata proprio con le elezioni del 28 Marzo 1994, laddove inizia il film di Moretti.
Mi sembra che abbiamo passato troppo tempo ad occuparci di cose che hanno rallentato uno sviluppo del nostro Paese, 20 anni occupati da questioni che hanno completamente offuscato argomenti ben più importanti. Mi sembra sia l’ora giusta per cambiare strada.
E così finisce il tempo a mia disposizione. Devo tenermi nel cassetto le altre domande che avevo in serbo, quella su "This Is England" e la compresenza tra rock steady e la musica di L.E, quella su "Sotto Falso Nome" e le musichette da Buddha Bar che compaiono ogni tanto e che mi sarebbe piaciuto sapere se sono state scritte dal Maestro, quella su Morricone e i western di Leone, quella sul post rock, quella su Yann Tiersen (e quella sulla scena del post-Amelie, che io chiamo “scena del basso albertino”, e questa la lascio a chi la musica l’ha studiata davvero, come Nicola Manzan), quella sulla direzione artistica di Verucchio, quella sul loop e la funzione rituale della ripetizione in musica, quella su Berio, quello sulla famiglia Einaudi, quella su sua figlia Jessica, musicista anche lei, trapiantata a Berlino come anch’io feci anni fa e come tutti gli artisti dovrebbero fare per almeno un periodo della loro vita, quella in cui mi bullavo di fare qualche colonna sonora anch’io, e chissà se mai gli era capitato di vedere qualcuno dei miei film.. Chissà, magari ci scappava un giro alla Royal Albert Hall... Ma niente da fare, è passata un’ora ed ha un’altra intervista. Anche stavolta ho perso il treno per Londra.
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L'articolo Ludovico Einaudi intervistato da Bruno Dorella di Bruno Dorella è apparso su Rockit.it il 2013-12-06 00:00:00
COMMENTI (2)
Bruno, ci sarebbe da scrivere un libro. E potresti farlo tu :) Grazie a tutti e due di questo scorcio...
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