(I Winter Beach Disco - Foto da internet)
A fine novembre è uscito "After the fireworks we'll sail" il primo album dei laziali Winter Beach Disco pubblicato sotto etichetta Black Candy. Melodie fugaziane, ritmi sincopati e una certa predisposizione per il pop più obliquo. Sara Loddo li ha intervistati.
Per prima cosa le domande di routine. Chi sono i Winter Beach Disco? E come mai questo nome?
Ci siamo conosciuti sui gradini dell’università di Viterbo. Ognuno suonava con la propria band. Dopo aver organizzato insieme alcuni piccoli concerti siamo finiti tutti in una sala prove, come se fosse un progetto estemporaneo e divertente. Avevamo già un nome pronto e tre/quattro titoli ironici e corrosivi da musicare. Il nome è nato per gioco molto tempo prima della band. Partendo dall'immagine di una di quelle discoteche marine, stracolme d'estate, fantasticavamo sulla sua sorte nei freddissimi giorni invernali.
Avete realizzato diversi lavori autoprodotti prima di questo disco. Come avete incrociato la Black Candy?
La prima cosa che abbiamo tirato fuori è stato un demo registrato malissimo e che puoi ancora trovare in rete da qualche parte. La gente che ci stava intorno ha gradito parecchio e noi abbiamo continuato. Poi è uscito un ep autoprodotto, spedito ovunque. Infine amici “quotati” ci hanno suggerito alla Black Candy. A quanto pare loro non ci hanno pensato due volte, noi neanche. E siamo molto contenti di questo.
Le produzioni precedenti sono state accostate al rock’n’roll di matrice svedese, a la Hives per intenderci. E' un’etichetta che vi hanno affibbiato o è stata una scelta consapevole?
In tutta sincerità l’evento che ci fece passare dalle chiacchiere alla sala prove fu uno show degli International Noise Conspiracy. Ci piaceva quella mutazione dell’hardcore in un rock’n’roll modernizzato. Volevamo farlo anche noi. Poi sono ricominciate ad emergere tutte le varie influenze. Praticamente, ora, siamo d’accordo solo sui Fugazi. Sul resto troviamo intese temporanee e mutabili.
Cosa vi attrae di quella scena?
Invidiamo il modo con cui le band possono gestire la loro attività. Gli spazi che hanno, le agevolazioni, soldi e strumenti. Quando parli con gente di lì che suona sembrano alieni. La cosiddetta “scena” scandinava è piuttosto giovane, eppure sembra che venga presa molto seriamente da tutti: le qualità emergono più facilmente così come la visibilità all’estero.
E del garage-punk che opinione avete? C’è qualche affinità?
Il garage è un amore che per alcuni di noi era già presente prima della formazione del gruppo, per altri è maturato dopo. Siamo legati al revival degli anni 80 ma anche a gruppi più recenti, specie quelli licenziati dalla In The Red records.
Per me suonate più post-punk che rock’n’roll. Pensando all’Italia vi associo ad un gruppo come i Red Worms' Farm, vi riconoscete in questa definizione o non ho capito bene il vostro percorso?
Grazie, è un grande complimento questo. Ci piacciono moltissimo i RWF anche se penso che siamo piuttosto differenti musicalmente. Sicuramente abbiamo molto in comune con tutte le band che ricercano continuamente un modo personale di fare musica. Con alcuni personaggi sono anni che ci incrociamo, magari in situazioni più di nicchia. E’ bello ritrovarsi e vedere le differenti evoluzioni. A noi sembra che ci sia un bel fermento negli ultimi anni in Italia, pur se a volte rimaniamo interdetti davanti a scelte che appaiono un po’ presuntuose e modaiole.
Ci sono gruppi, italiani e stranieri, a cui vi sentite vicini?
Difficile rispondere in maniera oggettiva. Il problema, come accennato, è che con molti siamo amici e ci stimiamo. Ne cito qualcuno: Fine Before You Came, Altro, Death Of Anna Karina, Settlefish, Ex-Otago, Inferno.
Mi piacerebbe sentire un’auto-definizione su quello che fate. Sono valide anche denominazioni creative.
Guarda, la definizione più calzante e divertente l'ho letta in una delle recensioni del vecchio ep: "Refused meets Talking Heads". Non so se sia ancora valida, ma a noi piaceva!
Da cosa deriva il titolo dell’album? Dal ricordo delle conquiste adolescenziali post-fuochi d’artificio? Dalla forza purificatrice del fuoco? O da cosa?
Un po’ di tutto questo. Cercavamo qualcosa che esprimesse una sorta di “rinascita”, di scarto temporale, di passaggio ulteriore. L’idea ha preso lentamente forma anche nell’artwork. Non è stato facile per Jacopo della Heartfelt (che ha curato il progetto grafico del disco, NdR) starci dietro: gli avremmo proposto altre centinaia di foto e di suggestioni.
Oltre la musica cosa c’è nell’esistenza dei Winter Beach Disco?
C’è chi fa il fotografo, chi si occupa di ambiente e territorio da diverse prospettive, chi sogna di fare lo scrittore, e chi di essere un catalizzatore. Ma in realtà credo che volessimo tutti fare gli astronauti o i ciclisti o i palombari.
E le groupie invece? Ci sono?
No. Il concetto di groupie ci mette un po’ di tristezza. Le lasciamo volentieri alle rock star con i capelli piastrati.
I titoli delle vostre canzoni mi incuriosiscono, “Pink shoes”, “Kayoko and Cornelius”, “Gianni Bugno 2000”. Chi è la mente? E soprattutto hanno dei significati precisi o nascono da una scelta più o meno casuale?
Hanno un significato preciso. Magari il percorso generativo che seguono (dal titolo al testo o il contrario) è più accidentato. C’è un richiamo istantaneo al contenuto della canzone: per lo più storie che ci intrigano, ci affascinano o ci investono personalmente. Il titolo per noi deve avere un che di slogan, deve far cominciare a girare immagini nella testa di chi ascolta.
È la seconda volta che dedicate una canzone a Gianni Bugno. Da cosa deriva tutto questo amore?
La nuova versione è nata quasi per scherzo. E’ una canzone che all’epoca del primo EP incuriosiva chiunque ci ascoltasse. E’ semplicemente un omaggio ad un grande ciclista molto amato da tutti noi per il suo stile e che, tra l’altro, per un periodo ha guidato l’elicottero del 118 nei cieli della nostra città.
Su Myspace avete messo le recensioni del disco, tutte abbastanza positive. Il riscontro con il pubblico invece?
Qualche nuovo fan?
Si stanno avvicinando piano piano. Tenendo presente l’immensa mole di gruppi in circolazione è difficile farsi notare se non si è molto scaltri e lievemente paraculi. Ma non ci lamentiamo. “Lavoriamo” con lentezza.
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L'articolo Winter Beach Disco - Mail, 14-12-2007 di Sara Loddo è apparso su Rockit.it il 2008-01-15 00:00:00
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